mercoledì 17 gennaio 2024

Tempi moderni: tra la gogna e la fogna

Foto di Mohamed Hassan da Pixabay

La prima impressione che il passo della RAI nel nuovo mondo dei “social” fosse stato valicato l’abbiamo avuta durante lo scorso Festival di Sanremo quando esplose la faccenda ambigua e sanzionata di  Amadeus che ha pubblicizzato Instagram. A questa storia si è legata la presenza in trasmissione di Fedez che ha pure scatenato tante polemiche e alimentato un flusso impressionante di “contatti” sulle diverse piattaforme. Leggiamo su Fanpage: “Secondo una ricerca pubblicata dall’istituto Nielsen, solo su Instagram, Facebook e Twitter sono stati pubblicati 1,9 milioni di contenuti. Il 44% in più rispetto all’anno scorso. Dai dati di TikTok invece leggiamo che i contenuti marchiati Sanremo 2023 hanno creato 1,5 miliardi di visualizzazioni. Nel 2022 si erano fermati a mezzo miliardo”. I numeri Auditel, a confronto, sono bazzecole irrilevanti. Ovviamente, un fenomeno del genere stimola interessi, più o meno torbidi, un flusso di soldi di pari livello alimentando un florido mercato di merci, prodotti audiovisivi e persone.

Ma, ciò che più ci interessa è ragionare, seppure molto approssimativamente, sul senso comune, sulla percezione collettiva che ne deriva dallo svilupparsi incontrollato di questo fenomeno. Il mondo “social” è una realtà con la quale facciamo i conti, ci piaccia o meno, sia che ne siamo coinvolti direttamente sia che la osserviamo con atteggiamento distaccato e leggermente ostile (chi vi scrive usa a malapena la messaggeria e osserva con fastidio amici, parenti e conoscenti che smanettano in ogni momento su qualche “social”) ed investe ogni ambito della società, dalla politica alla letteratura. In questi giorni è successo il noto fatto di cronaca culminato con il suicidio di Giovanna Pedretti e si legge spesso il termine “gogna” mediatica come fattore responsabile per una possibile istigazione a compiere il gesto drammatico finale. In questa vicenda è rimasto coinvolto anche un giornalista RAI per l’ultima intervista fatta alla Pedretti. Ci è tornato in mente un testo importante che ha fatto scuola in materia: I giustizieri della Rete, pubblicato nel 2015 a firma di Jon Ronson (pure ieri citato da un interessante articolo di Gianluca Nicoletti su La Stampa). Vivamente consigliato.

Ecco affiorare la domanda, l’interrogativo che vogliamo porre: la RAI, il Servizio Pubblico, quanto e come partecipa a questi fenomeni? Premessa: speriamo ci si possa perdonare se usiamo un termine poco gentile ma che rende perfettamente l’idea di quanto vogliamo affrontare. Si tratta di definire la differenza tra “gogna” e “fogna” mediatica dove, in buona sostanza, alla prima si vede relegato il/la colpevole di turno mentre alla seconda partecipano in molti (con una certa affinità metaforica con la “rete”). Affiniamo l’interrogativo: la RAI, il Servizio Pubblico, alimenta questa seconda deriva o ne è del tutto estranea? Grosso modo, a spanne, abbiamo l’impressione che spesso e volentieri la “narrazione” RAI è parte di questo flusso e non tanto e non solo nella trattazione dei singoli fatti di cronaca ma nel far parte attiva, sostenere, diffondere e alimentare dinamiche “social” dagli effetti incontrollabili. 

Fate attenzione a quante trasmissioni RAI, a quanti conduttori/conduttrici o servizi giornalistici fanno costante riferimento a “like” a “follower” a “influencer” a “hastag”, a pollici alti o bassi sui vari Instagram, FB, Tik Tok e via trotterellando per non dire della presenza costante degli stessi "influencer" all'interno dei programmi. Si è arrivati al punto di poter sostenere, forse in modo non del tutto improprio, che il “successo” di una trasmissione televisiva possa derivare da quanto traffico positivo genera sui “social”. La competizione non è più nel merito del prodotto audiovisivo, nel contenuto, ma nel traffico “social” in grado di generare, in quante “pillole” si può suddividere per essere poi diffuse in rete.

Si sta formando, consolidando, un modello, uno stile giornalistico sulla falsariga di questo “mood” ormai largamente diffuso. Piccolo esempio:  abbiamo in mente una trasmissione da poco tempo in onda su RAITre che sembra la fotocopia, in peggio, di una analoga della concorrente: stesso ”stile” giornalistico del genere “Scusi, Lei spaccia?” di salviniana memoria. Stesso “approccio” aggressivo, violento, utile per colpire l’emozione più che la ragione che è poi, in fin dei conti, la benzina con la quale si alimenta il “sentiment dei social” che guarda poco alla sostanza e molto alla forma che deve essere breve, sintetica quanto basta per essere diffusa con una “storia” su Instagram. Il microfono e la telecamera usati come randello necessari  solo per ottenere la risposta già preconfezionata dal giornalista che incalza. Ribadiamo la domanda: la RAI, Il Servizio Pubblico, come si colloca in questo contesto?

Bene, o meglio, forse male ma andiamo avanti.

Domani si volgerà un importante Cda  Viale Mazzini dove si dovrebbe affrontare il Nuovo Contratto di Servizio e il parallelo (anche se dobbiamo ribadire che si tratterebbe di un subordinato) Piano Industriale. Come da tradizione ormai consolidata, tutto si vorrebbe coperto da un minaccioso segreto. Molti tacciono e ciononostante qualcosa si viene a sapere. Cosa succederà domani? Si voterà cosa e come voteranno i consiglieri, specie quelli che, teoricamente, dovrebbero rappresentare “l’opposizione”? Prenderanno atto e voteranno a favore o si asterranno in nome di un presunto interesse dell’Azienda o si opporranno allo scempio e alla confusione alla quale sono costretti ad assistere? Se ci fossero biglietti per assistere allo spettacolo, prenotiamo subito un posto.

Bruto sulla Piana di Filippi “Ah se solo sapessi la fine di questo giorno…”

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