Storia n. 1: RAI Way
Succede spesso, come si usa dire, che la Storia si ripete ed
assume forme diverse nelle varie circostanze. La storia di RAI Way segue lo
stesso percorso con la variante che non muta forma da farsa a tragedia: è
sempre la stessa.
La storia recente di RAI Way inizia il 14 giugno 2014 quando
la Camera vota la mozione di fiducia al Governo Renzi insediato a Palazzo Chigi
da pochi mesi (febbraio) e a forte trazione PD. È un governo di coalizione sorto
sulle ceneri del precedente governo di Enrico Letta (entrato negli annali
rimanendo “sereno”) anch’esso di coalizione ma con il partito di Berlusconi.
Quel giorno, insieme alla fiducia, viene votato anche il
famigerato decreto IRPEF che prevedeva l’erogazione di 80 euro in busta paga ai
lavoratori con meno di 24 mila euro l’anno: tutta benzina per la prossima
campagna elettorale europea che, infatti, va a buon fine e Renzi incassa un
rilevante successo. Su questa onda lunga, ad ottobre, si comincia a parlare di
introdurre nella Legge di stabilità la riduzione del canone da 113 a 100 euro e
poi, nel 2017, ai 90 attuali (che da quest’anno diventeranno 70).
Il Decreto Irpef 2014 contiene la pietra miliare del
trappolone: si legge all’art. 21 “3. Ai fini dell’efficientamento, della
razionalizzazione e del riassetto industriale nell'ambito delle partecipazioni
detenute dalla RAI S.p.A., la Società può cedere sul mercato, secondo
modalità trasparenti e non discriminatorie, quote di società
partecipate, garantendo la continuità del servizio erogato. In caso di
cessione di partecipazioni strategiche che determini la perdita del controllo,
le modalità di alienazione sono individuate con decreto del Presidente del
consiglio dei ministri adottato su proposta del Ministro dell’economia e delle
finanze d’intesa con il Ministro dello sviluppo economico. 25 4. Le somme da
riversare alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, di cui
all’articolo 27, comma 8, primo periodo, della legge 23 dicembre 1999, n. 488,
sono ridotte, per l’anno 2014, di euro 150 milioni”.
Banche e “bande” varie fanno festa e preparano il brindisi e cantano in coro “Alla Borsa … alla Borsa …”. Un pò meno a Viale Mazzini dove però è accampata una delle “bande” più solerti e sensibile a questa sirena e si frega le mani solo al pensiero. Il 9 settembre RAI Way si presenta a Piazza Affari e chiede l’ammissione alla quotazione. Nel frattempo, al VII piano c’è grande tensione che sfocia a novembre in un voto del Cda che delibera un ricorso contro il prelievo forzoso dei 150 milioni da parte del Governo. Il DG in carica, Luigi Gubitosi, commenta “E’ inopportuno” … il ricorso … of course! Gli danno una mano il sottosegretario alle TLC Antonello Giacomelli “Un voto determinato solo da logiche politiche e personali, all'insegna del tanto peggio tanto meglio. Sia ben chiaro, comunque, che tutto questo non indebolisce affatto, semmai rafforza, la volontà del governo di liberare la Rai e il servizio pubblico dalle vecchie logiche" e rinforza il concetto Matteo Orfini (PD) con “Un'azienda come la RAI non può più funzionare così. Cambiamo la governance subito. Per salvarla e rilanciarla”. Da tenere a memoria: detto da lui, detto dal PD. Abbiamo visto come è andata a finire. E' successo, semplicemente che il 16 gennaio 2016 prende forma la Legge 220 sulla riforma della governace RAI: il Governo prende possesso di Viale Mazzini e istituisce l'AD (e non il DG!!!).
Al voto in Cda la presidente Tarantola si astiene. Vengono richiesti pareri pro veritate a tre noti e autorevoli costituzionalisti: Enzo Cheli, Michele Ainis e Alessandro Pace. In sintesi sostengono che “non si può fare”: Ainis “… configura viceversa una violazione macroscopica della Carta costituzionale: la sottrazione alla Rai di 150 milioni di euro dal gettito del canone radiotelevisivo è senz’altro illegittima, e per molteplici ragioni …” poi Pace “…non vi sono dubbi sulla manifesta illegittimità costituzionale…” e infine Cheli “… possibili censure d’incostituzionalità della norma in esame…”.
Come non detto: il loro parere finisce negli atri fumosi e
polverosi del sottoscala e ben pochi si curano di dargli seguito. Il Cda RAI spaccato
abbozza e la quotazione in Borsa prende forma. Il 19 novembre lo champagne scorre
a fiumi: missione compiuta. Quello che passa pressoché inosservato o almeno non
valutato correttamente è il perno ciclopico sul quale si ancora il
trappolone: come abbiamo riportato sopra, il Decreto Irpef dice
testualmente che RAI “… può cedere sul mercato, secondo modalità trasparenti
e non discriminatorie…” ovvero come avviene sempre e comunque quando si tratta
di alienazione di beni pubblici cioè la gara. E la quotazione in Borsa
NON è una gara ad evidenza pubblica, anzi. Da quel momento in poi la
valanga dirompe senza nessuna opposizione. Il titolo parte a poco meno di 3
euro e ben presto inizia a volare garantendo lauti dividenti agli azionisti,
ben pagati tramite l’oneroso contratto di Servizio che lega RAI a RAI Way, oggi
uguale a circa 210 milioni l’anno. Bilanci della quotata alla mano: la quota di
profitti generati da attività commerciali proprie di RAI Way sono quasi
invariate introno ai 30/34 mln/anno mentre il “canone” RAI cresce in misura
costante per l’adeguamento all’inflazione. In altre parole, gli azionisti
vivono di rendita senza alcuna preoccupazione di reperire profitti in modo autonomo
sul mercato, tanto ci pensa Viale Mazzini a rifornire la cassa.
Passano solo poche settimane e le carte vengono messe in tavola e alla fine di febbraio 2015 Mediaset lancia un’OPA ostile ma … non si può fare: il capitale di controllo deve rimanere sopra il 51%. I “Fondi” (controllano circa il7%) sembrano ripiegare ed assumono un basso profilo, lavorano sotto traccia fintanto che, a marzo 2022, prendono carta e penna e scrivono a Mario Draghi: leggiamo su Repubblica.it del 1 marzo 2022 “ … per questo i tre fondi stranieri chiedono una governance allineata alle best practices di mercato con una piena accountability del management cui affidare l'elaborazione (e la successiva implementazione) di un piano industriale finalizzato alla creazione di valore per tutti gli azionisti". Il piano sarebbe quello di fondere Rai Way con la rivale EI Towers (60% F2i e 40% della Mfe dei Berlusconi), dando vita al gigante tricolore delle torri tv, come già fatto da Tim e Vodafone per le torri tlc di Inwit”.
Ora come allora, la grande preoccupazione dei Fondi e
il controllo societario della futura società delle torri ovvero chi comanda. Che
succede allora? Semplice: passano pochi giorni e il Governo firma il decreto
con il quale si autorizza a scendere sotto il 51% e si legge nel documento che
sarà possibile “… fino al limite del 30 per cento, come effetto di una o più
operazioni straordinarie, incluse una o più operazioni di fusione, e di
cessioni effettuate mediante modalità e tecniche di vendita in uso sui mercati,
incluso il ricorso, singolo o congiunto, ad un’offerta pubblica di vendita e ad
una trattativa diretta. 3. In caso di operazioni straordinarie, RAI S.p.A.
assicura la definizione di appropriati accordi di gestione e governance, e
essere assicurato, il mantenimento della quotazione delle azioni di RAI Way o
della società operazione”. Attenzione: il documento non parla di “controllo
societario” ma solo di “appropriati accordi” ed è tutto dire.
Ora come allora, i “Fondi” riprendono carta e penna e
scrivono al Governo di turno (Meloni) “Altolà dei fondi su Rai Way: “Nozze o
ce ne andiamo”. “Vendere sul mercato allontanerà gli investitori”- I fondi
Amber, Kairos e Artemis, azionisti di Rai Way, scrivono al cda della Rai
chiedendo di non procedere alla vendita di quote di Rai Way, paventata dalla
stessa Rai in un comunicato dello scorso 14 dicembre, ma di valorizzare la
controllata, proprietaria della rete che diffonde il segnale dell'emittente
pubblica, attraverso una fusione con l'altra grande società di torri di
broadcasting, Ei Towers, sui cui viaggia il segnale di Mediaset e di cui sono
soci F2i (60%) e la stessa Mediaset (40%)” da La Stampa del 12 gennaio scorso.
Eccoci arrivati ai giorni nostri, quando la faccenda, il dossier,
ora come allora, diventa politico.
Segue … ora potrebbe arrivare il bello ... quando i duri cominciano
a giocare.
bloggorai@gmail.com
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