sabato 27 gennaio 2024

RAI: il gioco si fa duro, sporco e cattivo

Foto di Pete Curcio da Pixabay

Se ne avete voglia, prendetevela comoda e leggete con calma e attenzione: i dettagli sono importanti.

Storia n. 1: RAI Way

Succede spesso, come si usa dire, che la Storia si ripete ed assume forme diverse nelle varie circostanze. La storia di RAI Way segue lo stesso percorso con la variante che non muta forma da farsa a tragedia: è sempre la stessa.

La storia recente di RAI Way inizia il 14 giugno 2014 quando la Camera vota la mozione di fiducia al Governo Renzi insediato a Palazzo Chigi da pochi mesi (febbraio) e a forte trazione PD. È un governo di coalizione sorto sulle ceneri del precedente governo di Enrico Letta (entrato negli annali rimanendo “sereno”) anch’esso di coalizione ma con il partito di Berlusconi.

Quel giorno, insieme alla fiducia, viene votato anche il famigerato decreto IRPEF che prevedeva l’erogazione di 80 euro in busta paga ai lavoratori con meno di 24 mila euro l’anno: tutta benzina per la prossima campagna elettorale europea che, infatti, va a buon fine e Renzi incassa un rilevante successo. Su questa onda lunga, ad ottobre, si comincia a parlare di introdurre nella Legge di stabilità la riduzione del canone da 113 a 100 euro e poi, nel 2017, ai 90 attuali (che da quest’anno diventeranno 70).

Il Decreto Irpef 2014 contiene la pietra miliare del trappolone: si legge all’art. 21 “3. Ai fini dell’efficientamento, della razionalizzazione e del riassetto industriale nell'ambito delle partecipazioni detenute dalla RAI S.p.A., la Società può cedere sul mercato, secondo modalità trasparenti e non discriminatorie, quote di società partecipate, garantendo la continuità del servizio erogato. In caso di cessione di partecipazioni strategiche che determini la perdita del controllo, le modalità di alienazione sono individuate con decreto del Presidente del consiglio dei ministri adottato su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze d’intesa con il Ministro dello sviluppo economico. 25 4. Le somme da riversare alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, di cui all’articolo 27, comma 8, primo periodo, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, sono ridotte, per l’anno 2014, di euro 150 milioni”.

Banche e “bande” varie fanno festa e preparano il brindisi e cantano in coro “Alla Borsa … alla Borsa …”. Un pò meno a Viale Mazzini dove però è accampata una delle “bande” più solerti e sensibile a questa sirena e si frega le mani solo al pensiero. Il 9 settembre RAI Way si presenta a Piazza Affari e chiede l’ammissione alla quotazione. Nel frattempo, al VII piano c’è grande tensione che sfocia a novembre in un voto del Cda che delibera un ricorso contro il prelievo forzoso dei 150 milioni da parte del Governo. Il DG in carica, Luigi Gubitosi, commenta “E’ inopportuno” … il ricorso … of course! Gli danno una mano il sottosegretario alle TLC Antonello Giacomelli “Un voto determinato solo da logiche politiche e personali, all'insegna del tanto peggio tanto meglio. Sia ben chiaro, comunque, che tutto questo non indebolisce affatto, semmai rafforza, la volontà del governo di liberare la Rai e il servizio pubblico dalle vecchie logiche" e rinforza il concetto Matteo Orfini (PD) con “Un'azienda come la RAI non può più funzionare così. Cambiamo la governance subito. Per salvarla e rilanciarla”. Da tenere a memoria: detto da lui, detto dal PD. Abbiamo visto come è andata a finire. E' successo, semplicemente che il 16 gennaio 2016 prende forma la Legge 220 sulla riforma della governace RAI: il Governo prende possesso di Viale Mazzini e istituisce l'AD (e non il DG!!!). 

Al voto in Cda la presidente Tarantola si astiene. Vengono richiesti pareri pro veritate a tre noti e autorevoli costituzionalisti: Enzo Cheli, Michele Ainis e Alessandro Pace. In sintesi sostengono che “non si può fare”: Ainis “… configura viceversa una violazione macroscopica della Carta costituzionale: la sottrazione alla Rai di 150 milioni di euro dal gettito del canone radiotelevisivo è senz’altro illegittima, e per molteplici ragioni …” poi Pace “…non vi sono dubbi sulla manifesta illegittimità costituzionale…” e infine Cheli “… possibili censure d’incostituzionalità della norma in esame…”.  

Come non detto: il loro parere finisce negli atri fumosi e polverosi del sottoscala e ben pochi si curano di dargli seguito. Il Cda RAI spaccato abbozza e la quotazione in Borsa prende forma. Il 19 novembre lo champagne scorre a fiumi: missione compiuta. Quello che passa pressoché inosservato o almeno non valutato correttamente è il perno ciclopico sul quale si ancora il trappolone: come abbiamo riportato sopra, il Decreto Irpef dice testualmente che RAI “… può cedere sul mercato, secondo modalità trasparenti e non discriminatorie…” ovvero come avviene sempre e comunque quando si tratta di alienazione di beni pubblici cioè la gara. E la quotazione in Borsa NON è una gara ad evidenza pubblica, anzi. Da quel momento in poi la valanga dirompe senza nessuna opposizione. Il titolo parte a poco meno di 3 euro e ben presto inizia a volare garantendo lauti dividenti agli azionisti, ben pagati tramite l’oneroso contratto di Servizio che lega RAI a RAI Way, oggi uguale a circa 210 milioni l’anno. Bilanci della quotata alla mano: la quota di profitti generati da attività commerciali proprie di RAI Way sono quasi invariate introno ai 30/34 mln/anno mentre il “canone” RAI cresce in misura costante per l’adeguamento all’inflazione. In altre parole, gli azionisti vivono di rendita senza alcuna preoccupazione di reperire profitti in modo autonomo sul mercato, tanto ci pensa Viale Mazzini a rifornire la cassa.

Passano solo poche settimane e le carte vengono messe in tavola e alla fine di febbraio 2015 Mediaset lancia un’OPA ostile ma … non si può fare: il capitale di controllo deve rimanere sopra il 51%. I “Fondi” (controllano circa il7%) sembrano ripiegare ed assumono un basso profilo, lavorano sotto traccia fintanto che, a marzo 2022, prendono carta e penna e scrivono a Mario Draghi: leggiamo su Repubblica.it del  1 marzo 2022 “ … per questo i tre fondi stranieri chiedono una governance allineata alle best practices di mercato con una piena accountability del management cui affidare l'elaborazione (e la successiva implementazione) di un piano industriale finalizzato alla creazione di valore per tutti gli azionisti". Il piano sarebbe quello di fondere Rai Way con la rivale EI Towers (60% F2i e 40% della Mfe dei Berlusconi), dando vita al gigante tricolore delle torri tv, come già fatto da Tim e Vodafone per le torri tlc di Inwit”. 

Ora come allora, la grande preoccupazione dei Fondi e il controllo societario della futura società delle torri ovvero chi comanda. Che succede allora? Semplice: passano pochi giorni e il Governo firma il decreto con il quale si autorizza a scendere sotto il 51% e si legge nel documento che sarà possibile “… fino al limite del 30 per cento, come effetto di una o più operazioni straordinarie, incluse una o più operazioni di fusione, e di cessioni effettuate mediante modalità e tecniche di vendita in uso sui mercati, incluso il ricorso, singolo o congiunto, ad un’offerta pubblica di vendita e ad una trattativa diretta. 3. In caso di operazioni straordinarie, RAI S.p.A. assicura la definizione di appropriati accordi di gestione e governance, e essere assicurato, il mantenimento della quotazione delle azioni di RAI Way o della società operazione”. Attenzione: il documento non parla di “controllo societario” ma solo di “appropriati accordi” ed è tutto dire.

Ora come allora, i “Fondi” riprendono carta e penna e scrivono al Governo di turno (Meloni) “Altolà dei fondi su Rai Way: “Nozze o ce ne andiamo”. “Vendere sul mercato allontanerà gli investitori”- I fondi Amber, Kairos e Artemis, azionisti di Rai Way, scrivono al cda della Rai chiedendo di non procedere alla vendita di quote di Rai Way, paventata dalla stessa Rai in un comunicato dello scorso 14 dicembre, ma di valorizzare la controllata, proprietaria della rete che diffonde il segnale dell'emittente pubblica, attraverso una fusione con l'altra grande società di torri di broadcasting, Ei Towers, sui cui viaggia il segnale di Mediaset e di cui sono soci F2i (60%) e la stessa Mediaset (40%)” da La Stampa del 12 gennaio scorso.

Eccoci arrivati ai giorni nostri, quando la faccenda, il dossier, ora come allora, diventa politico.

Segue … ora potrebbe arrivare il bello ... quando i duri cominciano a giocare.

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