Ci ha lasciato un visionario. Ci ha lasciato un sognatore. Ci ha lasciato un costruttore. Ci ha lasciato una persona che univa e includeva. Ci ha lasciato una persona votata alla pace e non complice della guerra. Ci ha lasciato una persona che salvava e non abbandonava. Ci ha lasciato una persona che aveva progetti e programmi non per se stesso ma per chi gli stava intorno. Ci ha lasciato una persona alla quale ci piacerebbe somigliare, con la quale ci piacerebbe lavorare e costruire. Ci ha lasciato una persona che qualcuno ha avuto il coraggio di candidare alla presidenza della Rai...
Gino Strada ci ha lasciato: ci ha lasciato anzitutto un eredità morale e culturale fenomenale che non ha costo e non ha prezzo, è lì, disponibile a chiunque voglia raccoglierla, in qualsiasi modo. Grazie Gino.
Un grazie particolare anche per averci lasciato questo ultimo scritto sulla guerra in Afghanistan pubblicato su La Stampa proprio nei giorni scorsi, alla quale anche il nostro Paese ha partecipato:
Si parla molto di Afghanistan in questi giorni, dopo anni di coprifuoco
mediatico. È difficile ignorare la notizia diffusa ieri: i talebani hanno
conquistato anche Lashkar Gah e avanzano molto velocemente, le ambasciate
evacuano il loro personale, si teme per l’aeroporto. Non mi sorprende questa
situazione, come non dovrebbe sorprendere nessuno che abbia una discreta
conoscenza dell’Afghanistan o almeno buona memoria. Mi sembra che manchino -
meglio: che siano sempre mancate - entrambe. La guerra all’Afghanistan è stata
- né più né meno - una guerra di aggressione iniziata all’indomani dell’attacco
dell’11 settembre, dagli Stati Uniti a cui si sono accodati tutti i Paesi
occidentali.
Il Consiglio di Sicurezza - unico organismo internazionale che ha il
diritto di ricorrere all’uso della forza - era intervenuto il giorno dopo
l’attentato con la risoluzione numero 1368, ma venne ignorato: gli Usa
procedettero con una iniziativa militare autonoma (e quindi nella totale
illegalità internazionale) perché la decisione di attaccare militarmente e di
occupare l’Afghanistan era stata presa nell’autunno del 2000 già
dall’Amministrazione Clinton, come si leggeva all’epoca sui giornali pakistani
e come suggerisce la tempistica dell’intervento. Il 7 ottobre 2001 l’aviazione
Usa diede il via ai bombardamenti aerei.
Ufficialmente l’Afghanistan veniva attaccato perché forniva ospitalità
e supporto alla “guerra santa” anti-Usa di Osama bin Laden. Così la “guerra al
terrorismo” diventò di fatto la guerra per l’eliminazione del regime talebano
al potere dal settembre 1996, dopo che per almeno due anni gli Stati Uniti
avevano “trattato” per trovare un accordo con i talebani stessi: il
riconoscimento formale e il sostegno economico al regime di Kabul in cambio del
controllo delle multinazionali Usa del petrolio sui futuri oleodotti e gasdotti
dall’Asia centrale fino al mare, cioè al Pakistan. Ed era innanzitutto il
Pakistan (insieme a molti Paesi del Golfo) che aveva dato vita, equipaggiato e
finanziato i talebani a partire dal 1994.
Il 7 novembre 2001, il 92 per cento circa dei parlamentari italiani
approvò una risoluzione a favore della guerra. Chi allora si opponeva alla
partecipazione dell’Italia alla missione militare, contraria alla Costituzione
oltre che a qualunque logica, veniva accusato pubblicamente di essere un
traditore dell’Occidente, un amico dei terroristi, un’anima bella nel migliore
dei casi. Invito qualche volonteroso a fare questa ricerca sui giornali di
allora perché sarebbe educativo per tutti. L’intervento della coalizione
internazionale si tradusse, nei primi tre mesi del 2001, solo a Kabul e
dintorni, in un numero vittime civili superiore agli attentati di New York. Nei
mesi e negli anni successivi le informazioni sulle vittime sono diventate più
incerte: secondo Costs of War della Brown University, circa 241 mila persone
sono state vittime dirette della guerra e altre centinaia di migliaia sono
morte a causa della fame, delle malattie e della mancanza di servizi
essenziali. Solo nell’ultimo decennio, la Missione di assistenza delle Nazioni
Unite in Afghanistan (Unama) ha registrato almeno 28.866 bambini morti o
feriti. E sono numeri certamente sottostimati.
Ho vissuto in Afghanistan complessivamente 7 anni: ho visto aumentare
il numero dei feriti e la violenza, mentre il Paese veniva progressivamente
divorato dall’insicurezza e dalla corruzione. Dicevamo 20 anni fa che questa
guerra sarebbe stata un disastro per tutti. Oggi l’esito di quell’aggressione è
sotto i nostri occhi: un fallimento da ogni punto di vista. Oltre alle 241 mila
vittime e ai 5 milioni di sfollati, tra interni e richiedenti asilo,
l’Afghanistan oggi è un Paese che sta per precipitare di nuovo in una guerra
civile, i talebani sono più forti di prima, le truppe internazionali sono state
sconfitte e la loro presenza e autorevolezza nell’area è ancora più debole che
nel 2001. E soprattutto è un Paese distrutto, da cui chi può cerca di scappare
anche se sa che dovrà patire l’inferno per arrivare in Europa. E proprio in
questi giorni alcuni Paesi europei contestano la decisione della Commissione
europea di mettere uno stop ai rimpatri dei profughi afgani in un Paese in
fiamme.
Per finanziare tutto questo, gli Stati Uniti hanno speso
complessivamente oltre 2 mila miliardi di dollari, l’Italia 8,5 miliardi di
Euro. Le grandi industrie di armi ringraziano: alla fine sono solo loro a
trarre un bilancio positivo da questa guerra. Se quel fiume di denaro fosse
andato all’Afghanistan, adesso il Paese sarebbe una grande Svizzera. E
peraltro, alla fine, forse gli occidentali sarebbero riusciti ad averne così un
qualche controllo, mentre ora sono costretti a fuggire con la coda fra le
gambe. Ci sono delle persone che in quel Paese distrutto cercano ancora di
tutelare i diritti essenziali. Ad esempio, gli ospedali e lo staff di Emergency
- pieni di feriti - continuano a lavorare in mezzo ai combattimenti, correndo
anche dei rischi per la propria incolumità: non posso scrivere di Afghanistan
senza pensare prima di tutto a loro e agli afghani che stanno soffrendo in
questo momento, veri “eroi di guerra”.
Oggi non abbiamo molta voglia di scrivere di più. È faticoso dover avere a che fare con un mondo popolato di tanti picconatori, di demolitori, di separatori, di risparmiatori, di complottisti, di portatori infetti di visioni grette e limitate, di pavidi e timorosi, di quelli che “basta arrivare a fine mese” oppure di quelli che “… si però è bravo”, di quelli che non sognano e di quelli che non rischiano nulla perché “… non si sa mai”. Ma la fatica ci passa perché siamo convinti che c’è pure un altro mondo possibile, ci sono altre persone, ci sono altre visioni, ci sono altre immagini.
bloggorai@gmail.com
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