giovedì 14 luglio 2022

KPI: una minaccia la giorno toglie la Rai di torno

Foto di mohamed Hassan da Pixabay

Chiediamo scusa ai nostri lettori: vi abbiamo scritto e ripetuto più volte che la minaccia più grave che incombe sulla Rai è la restrizione delle risorse, il canone in particolare. Ebbene, non è solo così: ci sono manacce altrettanto gravi ed incombenti.

Alla nostra veneranda età siamo ancora in grado di leggere (con adeguate lenti di ingrandimento), scrivere (con l’ausilio di un buon dizionario e grammatica aggiornata) e poco dar di conto (meglio lasciar perdere). Ci supporta però una discreta memoria e un ottimo archivio. Inoltre, abbiamo la fortuna di aver accesso a tanti documenti originali spesso tenuti gelosamente chiusi nei cassetti. A giugno 2018, per esempio, prima ancora che venisse insediato il precedente Cda di Salini/Foa, entrammo in possesso del famigerato Piano Industriale compreso degli altrettanti famigerati 5 allegati (per un totale di oltre 800 pagine) e del noto Allegato 4 sul “Piano per l'informazione Rai 2019–2021” che molti giornalisti convegnisti fanno finta di ignorare oppure non ne conoscono proprio l’esistenza (magari se lo chiedono a Fuortes è possibile che ne abbia una copia). Abbiamo poi la copia del precedente Contratto di Servizio (tutto’ora in vigore) e, per pura curiosità siamo andati a cercare in questo ciarpame polveroso una parolina, un acronimo, che forse ci era sfuggito: KPI.

Questa parolina magica e minacciosa è emersa in modo sottilissimo in calce al documento che Fuortes e Soldi hanno fatto finta di ignorare e non voluto presentare l’altro giorno al CNEL, ovvero il “Processo e linee guida del Cds 2023-27” dove prima vi si fa cenno a pag. 7 con “Altra sfida è quella di poter individuare degli indicatori che, come avviene per altri PSM europei, rendano misurabili sia gli obiettivi sia ciò che viene realizzato” e poi l’acronimo viene citato a pag. 14 laddove nel confronto con gli altri PSM europei si cita il caso Germania (KPI non specificati) e Italia (???) dove si legge “KPI non specificati ma con obblighi specifici”. Dopo di che, a partire da pag. 17 si legge in calce a destra in grassetto rosa “KPI da definire”.

vedi:

O Santa Pace! Che mai vuole dire ‘sta storia del KPI? Quando ne siamo venuti a conoscenza e abbiamo saputo che sarebbe la Presidente Soldi la musa ispiratrice di tanta bellezza (insieme al fenomenale “nice to have” che ci ha mandato in brodino di giuggiole) è partito un senso di stupore e sorpresa che non abbiamo provato dai tempi dell’adolescenza studentesca. Di corsa abbiamo “googlato” KPI e abbiamo trovato: “Key Performance Indicators”. Prima di addentraci a capire di cosa si tratta, siamo scesi di corsa in cantina ad aprire le scartoffie degli anni passati e vedere se mai questo termine fosse mai comparso da qualche parte, almeno nei “grandi documenti” ovvero Concessione e giù pe li rami. Per fortuna che la cantina è fresca ed abbiamo potuto cercare con cura e ben presto abbiamo potuto constatate che de ‘sta roba non vi sono tracce.

Allora, ci è venuto subito da pensare “vuoi vedere che la Presidente sbagliata” come vien definita da alcuni (nel senso amichevole cioè doveva essere lei l’AD) ha avuto una intuizione geniale che nessuno prima ha mai avuto???” Cioè, se abbiamo inteso bene ma non ne siamo molto sicuri, sembra che la Soldi vorrebbe ancorare il prossimo contratto di Servizio che non a caso andrà a scadenza proprio a ridosso del rinnovo della Concessione nel 2027 a meccanismi tali per cui, in sintesi, la controparte ovvero lo Stato dice alla Rai, più o meno “io ti do i soldi se ti comporti bene”. Suggestiva, interessante, non c’è che dire. Ci tocca tonare a “goglare” KPI per cercare di capire storia, significato e applicazioni tecniche, giuridiche nonché sociali di tale temine.

Ora, premesso che non siamo esperti in materia, ma qualcosa, a spanne, non ci torna.  Anzitutto ci sovviene un dubbio atroce che ci porta direttamente al cuore della natura primigenia del Servizio Pubblico Radiotelevisivo che è tale per definizione, altrimenti si potrebbe chiamare Servizio Privato di Radiotelevisione o qualcosa di simile. O no? O qualcuno già sta pensando ad introdurre piccoli e sottili criteri di “privatizzazione concettuale” strisciante, perfida e malvagia che porterebbero la Rai a somigliare ad un normale azienda che “produce bulloni” come qualche buonpensante ebbe a dire anni addietro? Quale è la “cultura” dove nasce e si sviluppa questo acronimo? Visto pure che, come si legge nel documento citato, anche negli altri PSM europei non vi sono tracce?

Perché e quale logica supporta questa proposta? Quali vantaggi ne ricaverebbe il Servizio Pubblico con l’introduzione di questi KPI? Siamo certi che tra i nostri lettori esperti ed autorevoli ci sarà qualcuno in grado di darci una mano a trovare riposte convincenti.

A proposito di “minacce” oggi leggiamo su Il Foglio “Cairo all'assalto della Rai” e la preda sarebbe il canone. Confessiamo ai nostri lettori e temiamo di non dire un’eresia: ci corre il dubbio che, almeno concettualmente e specificamente sul terreno dell’informazione, forse, non avrebbe tutti i torti a sostenere una richiesta del genere.

bloggorai@gmail.com


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