lunedì 4 luglio 2022

Rai: tra Contratto di Servizio e Piano Industriale grande il disordine sotto il Cielo

 

Foto di Thaliesin da Pixabay

Nei prossimi giorni il Cda Rai si dovrebbe occupare del nuovo Piano Industriale proprio mentre per giovedì è prevista l’audizione in Vigilanza del Ministro Giorgetti sulle linee guida del nuovo Contratto di Servizio. Formalmente appare un "fuori sync" che si fatica a raccordare. 

Proponiamo un modesto contributo di riflessione per cercare di rimettere le cose in ordine. L’architettura che regola i rapporti tra lo Stato Italiano e la Rai prevede almeno due pilastri fondamentali: il contratto di Concessione (in scadenza nel 2027) e il Contratto di Servizio che ne è sua diretta emanazione e corollario. Si tratta di ambiti giuridici “obbligatori” e inderogabili mentre il Piano Industriale non ha la loro stessa forza di Legge. Il Piano ha rango subordinato al Contratto, ne è subordinato al punto di essere  esplicitamente previsto come mandato dall’art. 25 congiuntamente al Piano Editoriale (peraltro mai nemmeno preso in considerazione).  

La riflessione su questo aspetto dovrebbe indurre a prudenza nella collocazione cronologia degli impegni da assumere rispetto ai due documenti. Lo abbiamo già scritto in sintesi: normativa e logica imporrebbero che prima si disegna la cornice (il Contratto) e poi lo strumento per essere applicato (il Piano). La normativa e la logica non viaggiano separate ma dovrebbero rispondere ad un unico disegno, organico e contestuale: fornire alla Rai il perimetro entro il quale indirizzare la sua azione “… sulla base della definizione di adeguate risorse, rese disponibili dalle quote di canone destinate al servizio pubblico”. Questo passaggio non è irrilevante ne subordinato: sottolinea esattamente la “ratio” del Piano che difficilmente può trovare sostegno senza adeguate e sufficienti risorse finanziarie sulle quali contare in modo certo e assoluto. Ora, come è ben noto a tutti, se c’è una cosa che, al momento è tutt’altro che certa e assoluta è esattamente la risorsa canone che, sempre come noto, è sottoposta ad una ipotesi di revisione del modalità di riscossione che potrebbe influire in modo assai rilevante a renderlo da poco ma certo come avviene oggi a sempre poco ma incerto come potrebbe avvenire già dal prossimo anno (da ricordare che una stima ottimistica pesa circa 300 mln di evasione).

In buona sostanza c’è un forte nesso tra contenuto e contenitore, tra forma e sostanza, tra cornice e quadro. Come si può dibattere di un contenitore se non è chiara la materia che dovrà contenere?  

Torniamo alla normativa: la Concessione del 2017 prevede che ogni 5 anni venga stipulato un nuovo Contratto di Servizio e quello attuale è in scadenza quest’anno, ovvero, è tutt’ora in pieno vigore.  Ne consegue che quanto disposto, ovvero il Contratto di Servizio, segue la stessa cadenza e successione, ovvero deve essere rinnovato ogni tre anni. In punta di diritto, necessario ricordare che l’attuale Piano 2018/22 è stato approvato dal Cda Rai il 6 marzo 2019 e poi è stato “sospeso” causa Covid il 20 febbraio 2020 (vedi “Il Consiglio ha pertanto deciso, all’unanimità, di rinviare l’implementazione del piano industriale e delle direzioni per generi. Questo significa che fino al 31 dicembre le Reti opereranno secondo le modalità attualmente in vigore. Anche il budget 2020 sarà rinviato di conseguenza”). Dunque, un Piano che nasce in ritardo e poi “congelato” è, di fatto, un Piano monco nei tempi, nella forma e nella sostanza per le sue diverse inadempienze e comunque, ciononostante, rimane nelle sue piene funzioni di operatività almeno per tutto l’anno in corso.  

Cosa giustifica allora lo spostamento repentino del baricentro di attenzione e interesse del Cda dal Contratto di Servizio al Piano Industriale che questo vertice vorrebbe effettuare? Perché invertire la logica che invece dovrebbe costituire il binario della sua funzionalità ancor più in considerazione della mancanza assoluta del suo tassello di riferimento ineludibile (la certezza delle risorse) peraltro previsto dalla normativa laddove prevede esplicitamente che il Piano debba confortato da “risorse certe”?  Perchè non approfittare della "fortunata" congiuntura della contemporanea presenza sul tavolo di ben tre livelli di nuova normazione (legge di riforma, Contratto e Piano) per disegnare un nuovo modello di Servizio Pubblico che possa poggiare su fondamenta economiche certe e "garantite" una vola definita la nuova modalità di risscossione del canone?

Ancora più incongruente appare la scelta di sovvertire l’ordine di attenzione tra Contratto di Servizio e Piano industriale anche alla luce dei recenti pronunciamenti avvenuti sia da parte Agcom dello scorso Marzo (vedi “Linee-guida sul contenuto degli ulteriori obblighi del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, ai sensi dell’articolo 59, comma 6, del testo unico dei servizi di media audiovisivi - quinquennio 2023-2027”) sia da parte della Presidenza del Consiglio (vedi “Atto di indirizzo per la definizione delle linee guida sul contenuto del contratto di servizio 2023-2028”). Da notare la piccola e significativa differenza tra i due documenti: il primo si riferisce al quinquennio 2023-27 e il secondo a quello 2023-28.

Conclusione: non ci sarebbe nessuna necessità ed urgenza di affrontare questi due impegni con questi tempi e con questa progressione. Non regge nemmeno l’ipotesi, suggerita in vario modo, di far marciare il secondo (il Piano) in funzione del primo (il Contratto) per una evidente e banale considerazione: gli impegni editoriali e quindi le linee di azione aziendale, vengono definiti in ordine a quanto “indirizzato” dal Contratto e non viceversa. Il Piano ha la sola funzione di raccogliere le indicazioni del Contratto e renderle “fattibili” in relazione alle risorse di cui dispone. Se ancora siamo alle “linee guida” non ancora operative come è possibile anche solo immaginare gli ambiti di attuazione che il Piano dovrebbe “mettere a terra”? A proposito di risorse: necessario tenere in conto un passaggio di assoluto rilievo strategico: la vendita di Rai Way (o parte di essa) non ancora definire nei tempi, nei modi e nella sostanza.

Ecco allora che siamo indotti ad entrare in un campo dove la normativa e la logica hanno poco spazio: la politica. Siamo a luglio 2022 e ogni giorno è buono per considerarsi in piena campagna elettorale in vista delle elezioni 2023. Nessuno oggi è in grado di prevedere l’entità dello tsunami che si potrà abbattere sulla scena parlamentare e, di conseguenza, su quella di Viale Mazzini. “Facit’ ammuina…” può essere una ipotesi di interpretazione tanto semplice e banale quanto suggestiva ed efficace che permette di sostenere che, in mancanza di meglio, qualcuno si può scrollare di dosso il forte sospetto che l’unica cosa nuova fatta da questo  AD sia stata “resuscitare” almeno solo una parte del vecchio Piano industriale del suo predecessore Salini  e tanto vale allora provare ad intestarsene uno nuovo, magari con la pretesa di "far quadre il bilancio" vedi pure la recente Relazione della Corte dei Conti.  

Per tutto il resto “… grande è la confusione sotto il cielo e dunque la situazione NON è per niente eccellente” (il Grande Timoniere potrà comprendere la parafrasi).

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