martedì 27 ottobre 2020

Rai e Netflix + BloggoRaiReport

Attenzione: come vi abbiamo scritto nei giorni scorsi, il blog prova a cambiare modalità di relazione con i propri lettori. Ci siamo resi conto che alcuni contenuti non si prestano ad essere diffusi attraverso il Blog, anche perché sappiamo che molti lo leggono attraverso un cellulare. Vi abbiamo proposto un elenco di argomenti che intendiamo approfondire. Da oggi è disponibile in via sperimentale un BloggoRaiReport sul tema CDN, di grande rilevanza strategica per il Servizio Pubblico. Per averlo è sufficiente inviarci una mail.

Argomento del giorno. Parliamo dell’idea che il ministro Franceschini sta portando avanti per creare una sorta di Netflix italiana. Andiamo con ordine e rendiamo onore al merito: tra i primi a parlare di una cosa del genere fu il presidente Rai, Marcello Foa, già nel settembre 2018, poco dopo il suo insediamento a Viale Mazzini, quando dichiarò a Prima Comunicazione “Sogno una Rai che si avvicini a Netflix, una Raiflix”. Negli stessi giorni anche l’AD Fabrizio Salini ha affermato che “Così la Rai sfiderà Netflix per conquistare i giovani”. Da ricordare che giusto un anno prima tra Rai e Netflix venne sottoscritto un accordo di cessione di importanti fiction italiane (Montalbano, Don Matteo, il Paradiso delle signore) per arrivare poi all’accordo dello scorso febbraio quando Rai ha venduto a Neflix i diritti di diffusione di 80 film (61+19). Infine, lo scorso giugno, Eleonora Andreatta, passa armi e bagagli a Neflix, con grande scorno e scandalo.  Attenzione: parliamo di qualcosa che si ibrida con Rai, mentre la notizia si legge oggi sul Foglio con il titolo: “Franceschini vuole fare la Netflix italiana con 10 milioni e Cdp, Ma già esiste e purtroppo costa 1,8 miliardi: si chiama Rai” con la firma di Luciano Capone e Carla Stagnaro potrebbe racconare un'altra storia. Potrebbero essere cose diverse o forse il ministro non pensava alla Rai, come del resto non ci pensano alcuni suoi colleghi. Leggiamo di cosa si tratta: “L'idea del ministro per i Beni culturali è quella di creare, a partire dai 10 milioni di euro affidati a Cassa depositi e prestiti, "una piattaforma digitale pubblica, a pagamento, la quale possa offrire a tutta Italia e tutto il mondo l'offerta culturale del nostro Paese". No, non sembra proprio la Rai quella che ha in mente Franceschini e abbiamo anche il dubbio che possa avere ben chiaro cosa sia Netflix, quanto costa, come funziona e su quale modello industriale poggia.  Anzitutto il costo: per rendere fruibile “anytime and anywhere with any device”” quel tipo di piattaforma occorre una montagna di soldi, parliamo di miliardi di euro e con i 10 milioni di CdP ci compri a malapena le cialde del caffè. La macchina di produzione e di realizzazione di contenuti è mostrusa se paragonata alle nostre: ci lavorano circa 9000 dipendenti che poggiano su un fatturato di oltre 20 miliardi di euro. Sono in grado di distribuire contenuti in quasi tutte le lingue del mondo con una velocità e qualità di trasmissione rilevante oltre che essere in grado di intercettare tendenze e profilazione dei consumatori/abbonati come pochi altri possono fare. Utilizzano algoritmi proprietari, big server e big data di dimensioni considerevoli. Il loro modello industriale è semplice ”think global, act local”. 

E veniamo alla “missione”. Rai è un Servizio Pubblico per accedere al quale i cittadini devono pagare un canone e in cambio ricevono informazione, educazione e intrattenimento. Rai non deve perseguire logiche di profitto o inseguire dividendi agli azionisti come invece può fare Netflix: il solo “dividendo” potrebbe essere la sua credibilità e autorevolezza. È improponibile ogni similitudine. 

Veniamo al cuore del problema e leggiamo un altro passo dell’articolo del Foglio: “ … Oppure, da uomo intelligente e sottile quale è, ha voluto prendere una posizione coraggiosa, esprimendo in modo obliquo ciò che milioni di italiani pensano e dicono esplicitamente: la Rai non sarà mai capace di diventare una Netflix, di "proiettare nel futuro" lo spettacolo italiano e di raggiungere i giovani attraverso le nuove tecnologie. Non solo: è talmente inefficiente che Cdp, con soli dieci milioni di capitale, potrebbe fare ciò che l'azienda di Viale Mazzini non è capace di fare con quasi due miliardi all'anno.” Ecco, esattamente questo il nodo centrale: cioè la percezione dell’Azienda pubblica nell’agenda politica, la sua collocazione, il suo peso, la sua rilevanza e la sua dimensione futura. 

In questo contesto, non stupisce affatto che qualcuno possa vagheggiare ipotesi di Netflix alla matriciana e combacia bene con un “sentiment” da tempo assai diffuso e che tocca il nervo maggiormente scoperto di Rai in questo momento: le risorse economiche. Gira che ti rigira, si punta sempre al portafoglio sia in forma di canone che in forma di pubblicità. Un giorno si richiede la riforma del primo, il giorno successivo la riduzione della quota di mercato della seconda. La sostanza non cambia: la preda è la Rai che si dovrebbe ridimensionare nel numero delle reti e testate, nella quantità di dipendenti, nelle risorse indispensabili a farla funzionare. Intendiamoci: sono necessarie e urgenti modifiche profonde e radicali nei suoi pilasti fondanti: la riforma dell’intero sistema delle TLC, degli assetti normativi, della struttura di mercato, delle nuove dimensioni tecnologiche.  

Infine, sgombriamo il campo da qualche fantasia velleitaria: Rai Play non potrà mai essere nemmeno lontanamente parente di Netflix per mille buone ragioni ed è sufficiente passare dall’una all’altra per rendersene conto, semplicemente , senza nemmeno perdere molto tempo a discutere. Nota a margine: provate a cercare su RaiPlay le puntate storiche di Montalbano e poi fateci sapere.


bloggorai@gmail.com

 

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