martedì 6 ottobre 2020

Aggiornamento: morale e libertà


Se avete voglia, prendetevela comoda: oggi andiamo andiamo lunghi e non parliamo di Rai mentre nei prossimi giorni torneremo sull'Enciclica di Papa Francesco.

Se i concetti non sono giusti le opere non si compiono, se le opere non si compiono arte e morale non prosperano, se arte e morale non prosperano, la giustizia non è precisa, se la giustizia non è precisa, il paese non sa dove poggiare (Confucio). 

Lo spunto per queste riflessioni ci è venuto in occasione di quanto è successo domenica scorsa con la mancata partita tra la Juventus e il Napoli. Si è trattato di un raro caso di confusione di tempi e modalità di azione politica, di un esempio unico di irrazionalità decisionale. Era tutto molto prevedibile ed era sufficiente fissare regole semplici nei tempi opportuni.  

Poi, in questi giorni alcune parole sono risuonate particolarmente pesanti: morale e libertà. Citiamo il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte: “App Immuni: un dovere morale scaricarla” (Ansa) e poi “Il Governo ha l'obbligo, il dovere morale, di portare a casa il Recovery Plan”. Per quanto riguarda invece il tema libertà ci riferiamo direttamente alla limitazione di quelle personali e collettive imposte dalla drammatica emergenza del Coronavirus.

Si tratta di argomenti molto complessi e delicati da maneggiare, specie quando siamo costretti ad affrontarli sotto la pressione delle circostanze terribili che stiamo attraversando. Intanto ci limitiamo ad un paio di osservazioni e a porre qualche domanda.

Un Governo, quale che esso sia, può intervenire nella sfera della “morale” collettiva? Vi proponiamo la lettura di un breve saggio di Norberto Bobbio del 1986 (link:  http://temi.repubblica.it/micromega-online/norberto-bobbio-etica-e-politica/ ). È possibile ritenere che al Governo spetta la gestione dell’interesse pubblico e non la direzione dei principi ispiratori cui invece deve sottomettersi. In altre parole, la morale la detta la Costituzione e al Capo dell’Esecutivo è demandato il compito di farla rispettare e di sostenerne gli indirizzi. Quando un Governo mette la mani nelle coscienze degli individui, nella loro sfera individuale, si prospetta una pericolosa deriva. Quando è necessario “imporre” e magari con l’uso dei militari ciò che è bene e ciò che è male, si prospetta il fantasma della resa incondizionata della ragione sull’emozione. Questo governo si sta manifestando propenso ad usare immagini “forti” ai limiti della violenza audiovisiva, come quelle della fila dei camion dell’esercito che portavano via le bare dei tanti defunti a causa del Covid.  Come se si volesse dare un monito: cittadini attenzione!!! Se non vi comportate bene vi possiamo anche mandare i carri armati sotto casa. Cosa potrà succedere quando (tra poco) potrà scadere il divieto di licenziamento? Quando le piccole medie imprese non avranno più i sussidi economici previsti per questo periodo? Quando arriveranno a pesare sulla “sanità sociale” centinaia di migliaia di cittadini disoccupati alla caccia di risorse necessarie per sopravvivere?

Ora il dibattito si riassume in termini molto semplici con alcune domande:

Fino a quando e fino a quanto è lecito limitare il libero esercizio di partecipazione ad attività sociali come le manifestazioni religiose, le feste, lo sport, spettacolo, l’arte e cultura in generale? Ci potrà essere un limite temporale e uno dimensionale? Quando potrà essere dichiarata la fine dello stato di emergenza o meglio quando potrà essere dichiarata la fine della pandemia? Durante questo periodo di “sospensione” fino a che punto è lecito ridurre o limitare la socialità degli individui in nome della prevalenza della salute? La sanità mentale (oltre che morale) è strettamente collegata quella sociale. Ci sarà un momento, e temiamo non molto lontano, dove ci si dovrà chiedere in modo radicale se sarà più importante mettere al primo posto la “sanità” economica degli individui e delle loro famiglie oppure sarà necessario fare perno ancora sulla sanità clinica? Citiamo un articolo di Gina Kolata, comparso sul NYT lo scorso maggio e ripubblicato da L’Internazionale ( https://www.internazionale.it/notizie/gina-kolata/2020/05/21/quando-come-finisce-pandemia ) : “Oggi, chiedersi ‘quando finirà tutto questo’ significa essenzialmente domandarsi quando arriverà la conclusione sociale”, spiega il dottor Jeremy Greene, storico della medicina dell’università Johns Hopkins. In altre parole, può accadere che la fine non arrivi perché l’epidemia è scomparsa, ma perché la popolazione si è stancata di vivere nel panico e ha imparato a convivere con la malattia”.

Oggi, 6 ottobre 2020, è un giorno molto diverso da quanto è iniziata la pandemia, da quando tutto era completamente (o relativamente) inatteso e tutti eravamo completamente impreparati. Oggi la scenario, anche epidemiologico, è radicalmente diverso e dovrebbe non ingenerare facile ottimismo ma nemmeno giustificare eccessivo pessimismo. Ce lo dicono i numeri, ce lo dicono le definizioni che vengono fornite sugli aspetti specifici che caratterizzano la diffusione del virus e ce lo dicono coloro che sostengono che siamo vicini ad una possibile soluzione della pandemia con l’arrivo di un vaccino oppure con l’adozione di protocolli terapeutici efficaci a guarire dal Covid, come pure sembra avvenire con relativo successo. Le drammatiche statistiche giornaliere ci dicono che aumentano i contagiati ma non in pari proporzione i malati; i numeri che ci vengono forniti ci dicono che il numero dei decessi, pur sempre  comunque elevato, rientra in una soglia di drammatica statistica che appartiene ad una dimensione fisiologica di un Paese dove, ogni anno, muoiono oltre 600 mila persone per le più diverse patologie. Si pensi, ad esempio, alla cirrosi epatica dovuta all’alcolismo: avete mai avuto la percezione che si tratti di una emergenza sanitaria? Eppure non è contagiosa quanto un virus ma trasmette la sua pericolosità con pari violenza in termini di vite umane e costi sociali, e oggi anche nelle fasce di popolazione più giovane. Attenzione ad un piccolo aspetto linguistico: fino a poche settimane addietro si parlava di “distanziamento sociale”. Ora quasi nessuno usa più questa definizione per gli evidenti aspetti negativi che vi sono contenuti. Appare del tutto evidente che questa concezione/definizione mina alle radici il senso della convivenza civile dove l’aspetto sanitario è una parte del tutto, non il solo e forse non il principale problema se rapportato anche ad altri  problemi clinici che milioni di persone, ogni giorno, sono costretti ad affrontare e che pure hanno dovuto soccombere di fronte all’emergenza Covid.

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