Se avete voglia, prendetevela comoda: oggi andiamo andiamo
lunghi e non parliamo di Rai mentre nei prossimi giorni torneremo sull'Enciclica di Papa Francesco.
Se i concetti non sono giusti le opere non si compiono, se
le opere non si compiono arte e morale non prosperano, se arte e morale non
prosperano, la giustizia non è precisa, se la giustizia non è precisa, il paese
non sa dove poggiare (Confucio).
Lo spunto per queste riflessioni ci è venuto
in occasione di quanto è successo domenica scorsa con la mancata
partita tra la Juventus e il Napoli. Si è trattato di un raro caso di
confusione di tempi e modalità di azione politica, di un esempio unico di
irrazionalità decisionale. Era tutto molto prevedibile ed era sufficiente
fissare regole semplici nei tempi opportuni.
Poi, in questi giorni alcune parole sono risuonate
particolarmente pesanti: morale e libertà. Citiamo il Presidente del Consiglio
Giuseppe Conte: “App Immuni: un dovere morale scaricarla” (Ansa) e poi “Il Governo
ha l'obbligo, il dovere morale, di portare a casa il Recovery Plan”. Per quanto
riguarda invece il tema libertà ci riferiamo direttamente alla limitazione di
quelle personali e collettive imposte dalla drammatica emergenza del
Coronavirus.
Si tratta di argomenti molto complessi e delicati da
maneggiare, specie quando siamo costretti ad affrontarli sotto la pressione delle
circostanze terribili che stiamo attraversando. Intanto ci limitiamo ad un paio
di osservazioni e a porre qualche domanda.
Un Governo, quale che esso sia, può intervenire nella sfera
della “morale” collettiva? Vi proponiamo la lettura di un breve saggio di
Norberto Bobbio del 1986 (link: http://temi.repubblica.it/micromega-online/norberto-bobbio-etica-e-politica/
). È possibile ritenere che al Governo spetta la gestione dell’interesse
pubblico e non la direzione dei principi ispiratori cui invece deve
sottomettersi. In altre parole, la morale la detta la Costituzione e al Capo
dell’Esecutivo è demandato il compito di farla rispettare e di sostenerne gli
indirizzi. Quando un Governo mette la mani nelle coscienze degli individui,
nella loro sfera individuale, si prospetta una pericolosa deriva. Quando è
necessario “imporre” e magari con l’uso dei militari ciò che è bene e ciò che è
male, si prospetta il fantasma della resa incondizionata della ragione sull’emozione.
Questo governo si sta manifestando propenso ad usare immagini “forti” ai limiti
della violenza audiovisiva, come quelle della fila dei camion dell’esercito che
portavano via le bare dei tanti defunti a causa del Covid. Come se si volesse dare un monito: cittadini attenzione!!!
Se non vi comportate bene vi possiamo anche mandare i carri armati sotto casa. Cosa
potrà succedere quando (tra poco) potrà scadere il divieto di licenziamento? Quando
le piccole medie imprese non avranno più i sussidi economici previsti per
questo periodo? Quando arriveranno a pesare sulla “sanità sociale” centinaia di
migliaia di cittadini disoccupati alla caccia di risorse necessarie per
sopravvivere?
Ora il dibattito si riassume in termini molto semplici con
alcune domande:
Fino a quando e fino a quanto è lecito limitare il libero
esercizio di partecipazione ad attività sociali come le manifestazioni
religiose, le feste, lo sport, spettacolo, l’arte e cultura in generale? Ci potrà
essere un limite temporale e uno dimensionale? Quando potrà essere dichiarata
la fine dello stato di emergenza o meglio quando potrà essere dichiarata la
fine della pandemia? Durante questo periodo di “sospensione” fino a che punto è
lecito ridurre o limitare la socialità degli individui in nome della prevalenza
della salute? La sanità mentale (oltre che morale) è strettamente collegata
quella sociale. Ci sarà un momento, e temiamo non molto lontano, dove ci si
dovrà chiedere in modo radicale se sarà più importante mettere al primo posto
la “sanità” economica degli individui e delle loro famiglie oppure sarà
necessario fare perno ancora sulla sanità clinica? Citiamo un articolo di Gina
Kolata, comparso sul NYT lo scorso maggio e ripubblicato da L’Internazionale ( https://www.internazionale.it/notizie/gina-kolata/2020/05/21/quando-come-finisce-pandemia
) : “Oggi, chiedersi ‘quando finirà tutto questo’ significa essenzialmente
domandarsi quando arriverà la conclusione sociale”, spiega il dottor Jeremy
Greene, storico della medicina dell’università Johns Hopkins. In altre parole,
può accadere che la fine non arrivi perché l’epidemia è scomparsa, ma perché la
popolazione si è stancata di vivere nel panico e ha imparato a convivere con la
malattia”.
Oggi, 6 ottobre 2020, è un giorno molto diverso da quanto è
iniziata la pandemia, da quando tutto era completamente (o relativamente)
inatteso e tutti eravamo completamente impreparati. Oggi la scenario, anche
epidemiologico, è radicalmente diverso e dovrebbe non ingenerare facile
ottimismo ma nemmeno giustificare eccessivo pessimismo. Ce lo dicono i numeri,
ce lo dicono le definizioni che vengono fornite sugli aspetti specifici che caratterizzano
la diffusione del virus e ce lo dicono coloro che sostengono che siamo vicini
ad una possibile soluzione della pandemia con l’arrivo di un vaccino oppure con
l’adozione di protocolli terapeutici efficaci a guarire dal Covid, come pure sembra
avvenire con relativo successo. Le drammatiche statistiche giornaliere ci
dicono che aumentano i contagiati ma non in pari proporzione i malati; i numeri
che ci vengono forniti ci dicono che il numero dei decessi, pur sempre comunque elevato, rientra in una soglia di drammatica
statistica che appartiene ad una dimensione fisiologica di un Paese dove, ogni
anno, muoiono oltre 600 mila persone per le più diverse patologie. Si pensi, ad
esempio, alla cirrosi epatica dovuta all’alcolismo: avete mai avuto la
percezione che si tratti di una emergenza sanitaria? Eppure non è contagiosa quanto
un virus ma trasmette la sua pericolosità con pari violenza in termini di vite
umane e costi sociali, e oggi anche nelle fasce di popolazione più giovane. Attenzione
ad un piccolo aspetto linguistico: fino a poche settimane addietro si parlava
di “distanziamento sociale”. Ora quasi nessuno usa più questa definizione per
gli evidenti aspetti negativi che vi sono contenuti. Appare del tutto evidente
che questa concezione/definizione mina alle radici il senso della convivenza
civile dove l’aspetto sanitario è una parte del tutto, non il solo e forse non
il principale problema se rapportato anche ad altri problemi clinici che milioni di persone, ogni
giorno, sono costretti ad affrontare e che pure hanno dovuto soccombere di
fronte all’emergenza Covid.
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