lunedì 12 ottobre 2020

La Rai: il grande macigno nella palude

Prendetevela comoda. La storia che vi stiamo per raccontare è lunga, complessa, articolata, contorta e potrebbe avere un happy end forse nemmeno poi tanto felice. Si tratta di una pentola che ribolle con tanti ingredienti dentro e non è facile ricondurre tutto ad una stessa minestra. Richiede, inoltre, la necessità di dover sovrapporre diversi piani di lettura: politico, tecnologico ed economico. Ammettiamo in premessa che abbiamo incontrato qualche difficoltà a raccogliere informazioni e collegare i vari frammenti del puzzle e non tutto ci è chiaro come, allo stesso tempo, dobbiamo fare uno  sforzo per non innamorarci di concetti o iniziative che potrebbero fuorviare la lettura dei fatti.

Veniamo al dunque e diciamo subito quale macigno è stato lanciato nello stagno. Secondo quanto abbiamo potuto sapere e verificare, per il prossimo 18 novembre la Rai “avrebbe” ricevuto l’incarico di promuovere e organizzare gli “Stati Generali del sistema Audiovisivo nazionale”. Il titolo, la data e la committenza potranno  non essere esattamente esatti ma la sostanza rimane. “Avrebbe” è tra virgolette perché non è escluso che ci possano essere ripensamenti e, segnatamente, per quanto questa iniziativa potrebbe irritare una parte della compagine di governo (il PD) . In discussione, a quanto sembra, è chi ha il cerino in mano della proposta: è stato Conte a sollecitare questa iniziativa oppure è farina del sacco Foa/Salini (o viceversa?). Bella domanda, ardua risposta. 

L’ultima volta che è successa una cosa del genere è stata a marzo 2018 su  iniziativa di Francesco Rutelli quando, intorno al tavolo vennero chiamati tutti i soggetti interessati e, per quanto abbiamo potuto verificare, il grande assente era, appunto, la Rai (https://www.ilmessaggero.it/spettacoli/cinema/stati_generali_dell_audiovisivo_pronti_a_fare_sistema_per_battere_i_nuovi_big_dell_intrattenimento-3633353.html ) come lo è stata, appunto, nelle precedenti occasioni dove si è discusso dei grandi temi che pure la interessavano (vedi consultazioni al MISE di fine agosto sul tema rete unica). Altra occasione dove si è parlato di Stati generali è stato l’appuntamento promosso dal Governo a giugno scorso dove, pure in quella occasione, hanno parlato quasi tutti eccetto la Rai (Giancarlo Leone: ripartire tutti ma con maggiori risorse). Ora, intendiamoci, che questo avvenimento possa accadere è certamente positivo, è importante e necessario. Che, inoltre, venga assegnato il compito di organizzarlo a Rai è altrettanto positivo: sarebbe la prima volta, dopo mesi di grigio, che al Servizio Pubblico nazionale viene riconosciuto il ruolo di primo player del sistema delle TLC, la cui riforma non è possibile se non si passa attraverso la sua stessa riforma, a partire di quella sulla Governance superando la Legge del 2015. Da questo punto di vista non possiamo che essere soddisfatti. Ma però, ma però… qualcosa merita di essere approfondito e per farlo occorre fare qualche passo indietro e altri di lato. Poniamo anzitutto un tema: perché questa iniziativa allargata a tutto il sistema e non solo alla Rai, al Servizio Pubblico, che pure merita attenzione “speciale e particolare”? Evidente come gli interessi in gioco degli altri broadcasters, degli OTT, dei produttori, degli agenti e compagnia cantando possono essere e sono opposti e in contrapposizione tra loro? Chiamare tutti intorno allo stesso tavolo può apparire come una specie di “buttarla in caciara” dove tutto si annebbia e si stempera nella logica di dover accontentare tutti per non scontentare nessuno.

Ora torniamo a ieri. Stava per trascorrere un tranquillo pomeriggio d’autunno bigio e umido. Riposino pomeridiano, passeggiatina da solo lungo il Tevere, senza mascherina e ben lontano da altri esseri umani, prima che anche questa sana attività motoria ci verrà impedita. Quando, d’un tratto, un nostro attento ed esperto lettore (che ringraziamo vivamente) ci ha richiamato una notizia che ci era sfuggita. Lo scorso venerdì Aldo Fontanarosa su Repubblica.it ha pubblicato un articolo dal titolo “Rete unica per Internet, la condizioni della Rai: i nostri canali a tutti e gratuitamente . Il servizio pubblico vuole che gli italiani possano vedere i suoi programmi anche senza avere un abbonamento con un operatore di telecomunicazioni”. Tombola !!! In effetti, si tratta non tanto di una notizia ma di una “interpretazione fuori dal sen fuggita” (chi ha passato l’informazione e a quale fine?) di significato enorme quanto più di un possibile orientamento che alcuni potrebbero essere interessati a perseguire sul futuro del Servizio Pubblico. Ulteriore passo indietro. Il 10 settembre il Cda Rai si è riunito e, al termine, ha rilasciato un comunicato dove di legge che ha approfondito “… i temi relativi allo sviluppo della banda ultralarga attraverso le varie iniziative sulle quali la Rai è impegnata, tra cui la content delivery network, la sperimentazione del trasporto attraverso la partnership di Open Fiber dei contenuti in altissima definizione su reti in fibra ottica, l’estensione dei servizi RAI nelle cosiddette aree bianche del Paese e la partecipazione dell’Azienda nelle attività di sviluppo del 5G nonché i rischi e le opportunità future che il progetto di Rete Unica UBB rappresenta per la RAI”. Dunque, si è discusso il documento presentato dal CTO, Stefano Ciccotti su “Scenari evolutivi delle Reti UBB e riflessi per RAI” e nessuno, per quanto siamo riusciti a sapere, ha toccato i riflessi “economici” dei problemi sul tappeto. Il documento presentato dal CTO che abbiamo avuto il piacere di visionare, solo a pag. 29 affronta questo passaggio, laddove si legge “Capacità di fornire contenuti “free to air” letto “in senso lato” vuol dire che non devo per forza essere abbonato alla connettività di uno specifico operatore ( broadband) per accedere al contenuto ad esempio oggi chiunque con un TV e un’antenna può ricevere il segnale Rai 1 DTT, mentre questo non è vero per lo streaming di Rai 1 perchè è necessario avere un contratto con un operatore telco (costo connessione, limite mensile sulla quantità di dati, ecc”. Non è molto chiaro il significato di questo passaggio ma, in primo luogo non è affatto chiaro cosa possa significare lato utente. Da non dimenticare che in tutto il documento non è mai citata la parola magica “canone”. E non è cosa da poco. Il titolo e il sommarietto di Fontanarosa non lascerebbero adito a dubbi: “…Il servizio pubblico vuole che gli italiani possano vedere i suoi programmi anche senza avere un abbonamento con un operatore di telecomunicazioni… Oggi chiunque vuole vedere un canale o una trasmissione della tv pubblica può farlo sempre, ovunque e soprattutto gratis. E così dovrebbe funzionare anche sulla rete unica di Internet. La richiesta della Rai è dirompente. Gratis vuol dire che gli italiani potranno vedere la Rai, via Internet, anche senza pagare un abbonamento con un operatore tlc (Tim, Vodafone, Fastweb, Linkem e gli altri). In altre parole, gli italiani - anche se non abbonati - avrebbero accesso a un'area gratuita di Internet, una zona franca dove sarebbero disponibili i canali e le trasmissioni della Rai”. A parte il fatto che non ci risulta esattamente che oggi la tv pubblica si possa vedere sempre, ovunque e gratis: un abbonamento telefonico si deve pur pagare da qualche parte ma, non si dice una parola che intanto gli italiani sono costretti, da una legge dello Stato, a pagare il canone Rai in bolletta e che questo, oggi, costituisce un fondamento del Servizio Pubblico radiotelevisivo. Cosa significa Rai gratis per tutti? Cioè, senza canone? Il costo del servizio pubblico dovrebbe/potrebbe essere inserito nella fiscalità generale? Cioè, se i telespettatori si doteranno di una smart tv  e/o di un apparato privo di sintonizzatore, come la precisazione ministeriale dettaglia puntualmente, per vedere i canali Rai sulla rete si può essere esonerati dal pagamento del canone? A chi conviene questa opportunità? Chi si gioverebbe di un passaggio che vedrebbe, forse giocoforza, la Rai abbandonare le sue fonti di risorse canone e pubblicità, come molti vorrebbero? Come al solito, dall’albero delle pere non cascano mele e pure gli stormir di foglie hanno senso e significato, si tratta solo di capire da che parte soffia il vento e, in primo luogo, chi soffia e alimenta il vento e verso quale direzione.  il Contratto di concessione IMPONE a Rai di diffondere i propri contenuti a tuti. Non è azzardata l'ipotesi che qualcuno abbia in mente di garantire i costi dell'accesso alla rete a carico delle casse Rai. Cosa tutt’altro che facile ma non impossibile se si imposta il problema in modo adeguato, come a molti potrebbe convnire e non poco.

Ed ora veniamo ad un passo laterale e si riferisce ad un ambito più regolamentare. Il presidente della Commissione di Vigilanza Alberto Barachini avrebbe convocato il ministro dell’economia Gualtieri, azionista di maggioranza di Viale Mazzini, per essere audito in merito a come si intende fronteggiare la grave economiche che si prospetta per le casse Rai già a partire dal prossimo anno. In discussione c’è la necessità di sapere quali indirizzi intende perseguire il governo in merito a quali risorse assegnare alla Rai e a quanto si possa metter emano ad un diverso assetto del mercato pubblicitario. Per quanto abbiamo potuto sapere, su questa audizione ci sono molte riserve. Vedremo. Da tenere poi indebito conto che il "regolatore" AgCom si è insediato ufficialmente da pochi giorni. 

Nel frattempo, da non dimenticare mai, tanto per rimanere sul tema “costi” lato utente  c’è sempre in ballo la transizione al DVB-T2 che pure avrà un impatto sulle casse delle famiglie quando, a partire da settembre 2021, saranno obbligate cambiare televisore o comprare nuovi decoder. Sarà un dettaglio, ma questo passaggio per Rai, come pure per gli altri broadcasters digitali terrestri, potrebbe significare lasciare per strada qualche milione di utenti che, giocoforza, si vedranno “indirizzati” verso la televisione in rete. 

E veniamo alla nota finale: di rete unica da alcune settimane si parla sempre meno e tutto il progetto sembra incanalato in un ristretta logica di operazioni finanziarie più che di politica industriale del Paese. Il governo su questo tema investe molta della sua credibilità e gli Stati generali potrebbero tornare molto utili. Ancor più se poi, infine, questa iniziativa sarebbe in grado di giovare quella parte che auspica o trama per una proroga dell’attuale Cda. Punto.

Scusate la lunghezza. Abbiamo scritto tanto ma non tutto. Quanto basta per muovere le acque della palude.

 bloggorai@gmail.com

 ps: il post di oggi era dedicato al DPCM sul Covid. Lo pubblicheremo aggiornato.

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