martedì 20 ottobre 2020

La Caritas, lo scontro sociale, Auditel e la Rai

Non passa settimana senza che ci venga proposto un Rapporto che, solitamente, viene poco preso in adeguata considerazione. Il primo che vi proponiamo è quello rilasciato dalla Caritas Italiana dal titolo "Gli anticorpi della solidarietà", pubblicato in occasione della Giornata mondiale di contrasto alla povertà (17 ottobre), cerca di restituire una fotografia dei gravi effetti economici e sociali dell’attuale crisi sanitaria legata alla pandemia da Covid-19. I dati della statistica pubblicati definiscono lo scenario entro il quale ci muoviamo: il nostro Paese registra nel secondo trimestre del 2020 una marcata flessione del Pil; l’occupazione registra un calo di 841mila occupati rispetto al 2019; diminuisce, inoltre, il tasso di disoccupazione a favore però di una vistosa impennata degli inattivi, cioè delle sempre più numerose persone che smettono di cercare lavoro. Sembra dunque profilarsi il tempo di una grave recessione economica che diventa terreno fertile per la nascita di nuove forme di povertà, proprio come avvenuto dopo la crisi del 2008. Ce n’è a sufficienza per dedicare paginate di giornali, speciali dei vari telegiornali e quant’altro. La Caritas denuncia una emergenza sociale che non è e non sarà meno grave, meno devastante, di quella del Coronavirus eppure una notizia del genere scompare rapidamente nel mare dei vari bollettini di guerra quotidiani. Leggiamo ancora: “Analizzando il periodo maggio-settembre del 2019 e confrontandolo con lo stesso periodo del 2020 emerge che da un anno all’altro l’incidenza dei “nuovi poveri” passa dal 31% al 45%: quasi una persona su due che si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. Aumenta in particolare il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovani, dei nuclei di italiani che risultano in maggioranza (52% rispetto al 47,9 % dello scorso anno) e delle persone in età lavorativa”.

Il Rapporto Caritas predispone un quadro di potenziale scontro sociale: da un lato chi deve vivere e sopravvivere nell’incertezza economica e dall’altro chi è in grado di resistere con meccanismi di tutela non eguali per tutti, non sufficienti per tutti e non duraturi nel tempo. Quanto potrà reggere questa tensione?

Sarebbe sufficiente sovrapporre questi dati con quelli delle altre emergenze sociali che si stanno evidenziando, a partire dalle altre sanitarie non direttamente connesse al Covid. Nei giorni scorsi è stato denunciato il numero impressionante di pazienti che hanno dovuto sospendere o annullare trattamenti e terapie per patologie gravi, rinviare accertamenti diagnostici importanti. L’immunologo Alberto Mantovani ha parlato di milioni di situazioni di questo tipo. Recentemente è stato pubblicato un rapporto sui rischi sociali delle turbe psichiche (https://www.axa.com/en/press/publications/A-Report-on-Mental-Health-and-Wellbeing-in-Europe ) che non saranno pure meno gravi di quelle cliniche.

Se invece vogliamo avvicinarci ai nostri temi, riportiamo una sintesi telegrafica del Rapporto Auditel Censis presentato ieri al Senato. Il titolo è “L’Italia post-lockdown: la nuova normalità digitale” e si dice chiaro e tondo che il nostro Paese è incamminato sulla strada dell’innovazione digitale ma non tuti camminano con le stesse scarpe. Il digital divide è ancora forte e divide chi ha facile accesso alla rete e chi invece non possiede nessuna connessione. L’esempio più illuminante è la famosa (fumosa) questione dell’App Immuni: milioni di persone non la scaricano per il semplice motivo che non hanno un cellulare idoneo a farlo e certamente non gli si può chiedere in questo momento di dover acquistarne uno nuovo. Torniamo al Rapporto Auditel: “il 31,7% delle famiglie italiane ha fatto acquisti di prodotti non alimentari su internet;  il 20,8% ha svolto attività di studio a distanza (per il 15,2% era la prima volta); il 17,5% ha lavorato in smart working (per l’11,3% era la prima volta). Il lockdown, quindi, ha rappresentato un formidabile acceleratore di innovazione per le famiglie, spingendo anche quelle che erano rimaste più indietro a dotarsi di una connessione internet che le rendesse in grado di svolgere quante più possibili attività a distanza. Infatti: - sono aumentati gli italiani che si collegano alla rete (47 milioni e 200mila, pari all'80,6% della popolazione con più di quattro anni); - è aumentata la frequenza dei collegamenti (42 milioni e 200mila italiani, pari al 72,1% della popolazione con più di quattro anni, si connettono tutti i giorni); - è aumentato il numero dei device utilizzati”. La crisi del Covid spinge inesorabilmente verso un nuovo modello di fruizione dei prodotti audiovisivi e, segnatamente, verso un consumo non lineare. La battaglia tra broadcast e broadband è solo all’inizio.

Veniamo a qualche problemuccio di Viale Mazzini e dintorni. Abbiamo letto nei giorni scorsi che nel corso dello scorso Cda è stato presentato un documento dove si esponevano ipotesi di “aggiustamenti” per contenere i costi in vista di possibili deficit di bilancio, abbiamo letto che si vorrebbe chiudere Rai Sport e annullare l’avvio dei canali istituzionale e inglese. Due sole semplici osservazioni (poi ci torneremo): le nomine dei due canali sono state fatte pochi mesi addietro. Ma che la situazione economica fosse critica lo si sapeva e perché allora procedere? Ma l’aspetto più grave è che si voglia rivedere “il perimetro di applicazione del Contratto di Servizio” e quindi non dare seguito a specifici impegni inderogabili e imprescrittibili. Unilateralmente non si può recedere da un vincolo specifico previsto dalla Legge. Punto. Non c’è altro da aggiungere se non l’interrogativo su chi possa essere e perché ha avuto questa trovata geniale.

Infine, riportiamo una dichiarazione di Andrea Martella (PD) a margine della presentazione del Rapporto Auditel: “La Rai ha bisogno di un sistema di governance nuovo, che nel nuovo ecosistema dell’informazione la metta in condizione di competere recuperando quell’autonomia e quell’indipendenza strutturale che rappresentano le condizioni indispensabili per garantire il pluralismo e la qualità proprie del servizio pubblico”. Attenzione: si tratta del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’editoria.

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