Il 28 novembre 2018 su questo blog compare il post con
questo titolo: “Voragine. «Sperammo, invano, che la televisione in Italia
non arrivasse mai» era il titolo di un articolo di Paolo Monelli su La
Stampa dei primi anni '50, poco prima dell'inizio ufficiale delle trasmissioni
Rai. Sperammo anche noi che il "cambiamento" arrivasse a Viale
Mazzini ma, a quanto si vede, non solo non è arrivato ma sembra aver peggiorato
quanto già andava male”.
Questa mattina ci occupiamo di cambiamento non tanto e non solo della Rai ma di un ambiente, di un contesto sociale, economico e tecnologico che sembra porre più problemi che soluzioni.
Questa mattina ci occupiamo di cambiamento non tanto e non solo della Rai ma di un ambiente, di un contesto sociale, economico e tecnologico che sembra porre più problemi che soluzioni.
Iniziamo dalla Rai: non vogliamo ripetere la solita
lamentela, giustificatissima, sul fatto che da tempo di Viale Mazzini si parla
solo per sapere se Tizio, Caia o Semproni@ (genere indefinito) occuperanno o
meno una nuova poltrona o se verranno rinnovati nei contratti. Per tutto il
resto, un muro di imbarazzante silenzio. Ci limitiamo ad osservare come questo prime semestre, nefasto e funesto, ha visto emergere un paradosso: da un
lato la televisione, e segnatamente quella presunta di “servizio pubblico” ha
ripreso tutta la sua centralità e rilevanza, dall’altro ha fatto emergere la
contestuale marginalità e complementarietà rispetto ad altre piattaforme, ad
altre offerte editoriali e tecnologiche. La Rai si è fatta vanto di avere raggiunto
record di ascolti in occasioni drammatiche (la Messa del Papa) e li è finita,
sommersa da un mare di repliche e fondi di magazzino.
Ora, si spera, dovremmo essere nella fase successiva all’emergenza
ed ecco che spunta fuori una nuova versione del “cambiamento”, cioè “tutto
rimane come prima”. Nei giorni scorsi c’è stato relativo clamore per il presunto
incontro Salini-Conte dove si sarebbe ipotizzata una proroga dell’attuale Cda. A
parte le osservazioni di natura legislativa di potestà dispositiva in capo al
Parlamento e non al Governo (almeno questo!) è emersa una curiosa fantasia: si
vorrebbe organizzare una specie di Stati generali del Servizio Pubblico per
dibattere su una nuova forma di governance in grado di superare la Legge del 2015. Non ci
crediamo possa essere possibile per mille buoni motivi ma riteniamo che
qualcuno voglia precostituire un escamotage finalizzato, appunto a predisporre questa
ipotesi di proroga. Vediamo nel dettaglio. L’attuale Cda scade esattamente fra
un anno. Nel mezzo ci sono elezioni regionali, elezioni di sindaci di città
importanti e l’inizio del semestre bianco per l’elezione del Presidente della Repubblica. Appare del tutto
evidente che di riformare la Legge del 2015 non se ne parla proprio: non ci
sono i presupposti “politici” e di conseguenza i tempi “tecnici”. Per non dire
che sarebbe assai improbabile discutere di governance a lasciare fuori il tema
canone e pubblicità, come abbiamo letto nei giorni scorsi. Allo stesso tempo,
arrivare all’estate del 2021 con l’obbligo di rinnovare gli attuali vertici Rai
potrebbe costituire un intralcio non del tutto irrilevante. Paradossale che
sia, potrebbe convenire a tutti “congelare” la situazione attuale e ci potrebbe
anche essere un ulteriore argomento a conforto: il Piano industriale attualmente
in frigorifero, in attesa di scadenza come lo yoghurt, anche questo in scadenza
il prossimo anno. Qualcuno potrebbe sempre osservare (visto il coro – in verità
non sempre e non del tutto convinto - di consenso che ha avuto sia dal PD che
dal M5S) che si potrebbe recuperare questo tempo perduto a causa di “forza maggiore”
per il Coronavirus e quindi un alibi ulteriore.
Torniamo dunque al tema della centralità del Servizio
Pubblico. La pressoché assoluta mancanza di dibattito su questo tema è segnalato
anche da una storia che ora vi raccontiamo. Circa due anni addietro, il sottoscritto
insieme ad altri numerosi e autorevoli colleghi di varia provenienza
(istituzionale, politica, accademica, giornalistica, etc) abbiamo dato vita ad
una serie di incontri finalizzati, appunto, a dibattere e riflettere su quale
potesse essere il futuro, il destino, la
nuova missione del Servizio Pubblico Radiotelevisivo in Italia, alla luce dei
nuovi paradigmi sociali, culturali e tecnologici che stanno emergendo. Ci sono stati
numerosi incontri con dibattiti articolati, posizioni non sempre convergenti,
obiettivi spesso confusi ma pur sempre si è trattato di un tavolo, forse l’unico
in Italia negli ultimi anni, dove qualcuno parlava del futuro della televisione.
Ora succede che anche questo tavolo, questa sede di confronto, si è indebolita
ai limiti della sua sopravvivenza. Ha scritto uno dei suoi partecipanti “Siamo
ad un vero giro di boa in cui mi pare che si stia dissolvendo il famigerato
partito RAI in maniera strutturale. È un destino davvero beffardo, proprio
nella congiuntura quale la pandemia che ha reso centrale e indispensabile
l'idea di un servizio pubblico universale come luogo di elaborazione e
contrasto al contagio, dalla sanità al welfare sociale, si spegne
inesorabilmente l'architrave dell'azienda pubblica radiotelevisiva. Ho visto i
dati ultimi dell'utenza della TV via streaming, dove la RAI sprofonda, e si
conferma che senza un'immersione nei nuovi linguaggi digitali non si rimane
legati alla contemporaneità, come
qualcuno forse potrebbe ricordare pedantemente che era stato detto a chi
tenacemente pensava che il primato della RAI fosse inattaccabile. Ora siano al
redde rationem e la RAI ha illanguidito il suo legame sociale e paradossalmente
patisce anche un'indifferenza della politica da cui pensava di diversi
difendere”. Argomento suggestivo e si accompagna, per quanto ci riguarda, ad un
interrogativo che da tempo abbiamo posto: per quanto tempo ancora si potrà chiedere il
pagamento di un canone in cambio di un servizio non sempre pubblico e di un
prodotto editoriale e informativo non sempre adeguato?
Morale della favola,
almeno per il momento: sarà necessario prendere atto che un ciclo di storia di
questo Paese che ha visto la Rai al centro della sua narrazione si sta per concludere. Questo Paese è cambiato
profondamente nei linguaggi, nei comportamenti, negli stili di vita, nelle sue prospettive
di crescita e sviluppo e questa Rai non sembra più in grado di reggere il confronto,
non sembra più avere ne forza propria e tantomeno forza “esterna” proveniente
dai partiti che la dovrebbero sostenere che, anzi, non fanno passare giorno senza che venga lanciata
una nuova minaccia, palese o occulta.
bloggorai@gmail.com
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