Come spesso avviene, la storia si ripete e difficile sapere
in anticipo se sotto forma di farsa o di tragedia. Con una sola differenza rispetto
al passato: una vaga connotazione politica che rende la vicenda Amadeus
leggermente anomala. Dal nostro punto di vista, diciamo sommariamente degli
interessi della Rai e del Servizio Pubblico (in questo caso una sola entità) è
un bene o un male, un vantaggio o una perdita? Non è facile rispondere. Diciamo
anzitutto che Amadeus, secondo stime ufficiose, “vale” circa 100 mln di
introiti pubblicitari che sarebbe in grado di attirare. Se fosse vera questa
cifra, per le casse di Viale Mazzini sarebbe un colpo difficile da sopportare. Già
mancano i soldi della riduzione del canone (quando arriverà la prima rata?) e
già potrebbero mancare i soldi (190 mln messi a bilancio del Piano industriale)
della probabile vendita di una quota di Rai Way (niente affatto scontata per
la nota opposizione di una parte significativa del Governo) e, infine con gli
ascolti che non viaggiano certo a gonfie vele, per il prossimo Cda il panorama
finanziario si prospetta alquanto cupo e pure l’Azienda potrebbe pagare pegno.
In altri termini: per la cosiddetta TeleMeloni prossima ventura e per il suo uomo forte all’Avana
(Rossi) non c'è gran che da stare allegri.
Allora, sommariamente, proponiamo un ragionamento forse cinico ma efficace: un principio generale di strategia militare sostiene che tutto ciò che svantaggia il nemico avvantaggia il nostro (pingue ed esanime) esercito. Amadeus che se ne va è indubbiamente una perdita secca e uno smacco per SergioRossi, almeno da un punto di vista economico. Dunque, il “nostro” esercito dovrebbe essere relativamente contento dell’autogol che si è inflitto il nemico?
Poi c’è il versante politico. Far passare il messaggio, sostenere
a gran voce che questa governance e verosimilmente ancor più quella che potrebbe
venire (visti i chiari di luna) danneggia la RAI e sottolinea la loro incapacità a dirigerla è un “bene”.
Da non dimenticare poi quanto abbiamo letto di presunte “pressioni” (smentite
da Viale Mazzini) verso il conduttore. I personaggi di rilevo che se ne sono
andati si possono considerare una colpa e non un merito di questa gestione? Certamente,
evidenzia in modo clamoroso che il controllo politico governativo è comunque
un danno a priori rinforzato ancor più da una considerazione complementare: i
criteri di scelta dei manager sono del tutto arbitrari e privi di ogni caratteristica
di criteri di valutazione comparata sulla loro competenza, capacità e
professionalità (non parliamo di autonomia dalla politica ... of course). Sono scelti perché
“amici” e tanto basta.
Dunque, tappeti d’oro ad Amadeus che fugge e un Giletti che
rientra? No. Non è sufficiente. C’è qualcos’altro da aggiungere. Spesso e volentieri
si dimentica, si pone in secondo piano il ruolo o il “peso” che rivestono i
cosiddetti “agenti artistici” che insieme alle case di produzione fanno il
bello e il cattivo tempo a Viale Mazzini. Nulla avviene mai per caso e
figuriamoci in queste circostanze. Che ruolo potrebbe aver giocato il suo ex
agente Lucio Presta in questa partita? Chi ha sostenuto o avversato la scelta
di Amadeus? Cominciamo a dire che il candidato verosimilmente più forte a sostituire
il conduttore sia un certo De Martino che sembra essere, appunto, della scuderia
Presta. Ma questa è robetta, gossippetto. Il punto centrale è nel baricentro
intorno al quale ruotano queste vicende che quasi mai vedono gli interessi dell’Azienda
prevalere ma solo quelli specifici, e ben remunerati, dei soggetti esterni. Se la
Rai non si libera da questi giochetti sottobanco, non ci sono speranze.
Chiudiamo sempre a proposito di “scappati da casa”: un certo
Giovanni Minoli che nei giorni scorsi ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Napoli
per Un Posto al Sole. Un merito del genere non si nega a nessuno però pochi
hanno ricordato una vicenda che vale la pena essere riproposta. Il mai sufficientemente
compianto Riccardo Laganà, a gennaio dello scorso anno, sollevò il caso (nota
al Cda del 31/1/2023) ricordando tutta la vicenda dei diritti de “La Storia
siamo noi” ceduti a Minoli con un accordo sottoscritto dall’allora DG Mauro
Masi per un valore di circa 2,5 mln e, a quanto scrive chiaramente Laganà, mai
transitato per il Cda che ne avrebbe dovuto avere diritto e competenza essendo
stimato il valore reale tra i 30 e i 60 mln. Il Fatto Quotidiano del 22 luglio
dello scorso anno ha titolato: “Finita la trattativa Stato-Minoli. La Rai
ricompra ciò che era suo - Nel 2010 Masi regalò al giornalista i
diritti de “La Storia siamo noi”, che ora se li rivende per circa un milione”. Pochi
giorni dopo questo articolo, nella notte tra il 9 e il 10 agosto, Riccardo ci
ha lasciato e agli interrogativi che ha posto (tanti) è probabile che nessuno
darà mai risposta.
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