martedì 2 aprile 2024

La RAI e uno dei suoi tanti scheletri negli armadi

Foto di Amy da Pixabay

Aprire qualche vecchio armadio e tirare giù qualche scheletro imbalsamato può essere utile e vantaggioso. Il vantaggio più rilevante si palesa quando si capisce perché lo scheletro è rimasto ben chiuso nell’armadio e, di conseguenza, aiuta a capire oggi, proprio oggi, perché è utile rileggere la sua storia proprio alla vigilia di una delle battaglie più strategiche si svolgeranno prossimamente: quella sulla vendita o fusione di RAI Way con EiTowers.

Prima di tirare giù lo scheletro, leggiamo uno stralcio di quanto scrive oggi il quotidiano Domani  a proposito delle intenzioni del Governo (che non coincidono con quelle del Piano Industriale): “Una fusione che sarebbe vantaggiosa per F2i, e Fininvest, perché EiTowers potrebbe scaricare nel nuovo gruppo il suo maggior indebitamento (oltre 700 milioni rispetto ai 140 di Rai Way), e avvantaggiarsi della maggior redditività di Rai Way grazie alla generosità dell'affitto pagato da Rai (oltre 200mln aggiungiamo noi!). La decisione del governo non risolve dunque i problemi strutturali del bilancio di Rai; ma permette un'eventuale fusione che costituirebbe per F2i e Fininvest una via di uscita vantaggiosa dal business delle torri”.

Tutto ha inizio il 24 aprile 2014 con il famigerato Decreto IRPEF (Spending Review) dove, all’art. 21.3, si legge che “Ai fini dell'efficientamento, della razionalizzazione e del riassetto industriale nell'ambito delle partecipazioni detenute dalla RAI S.p.A., la Società può procedere alla cessione sul mercato, secondo modalità trasparenti e non discriminatorie, di quote di Rai Way, garantendo la continuità del servizio erogato”. Tutto questo è stato necessario per sostenere il prelievo forzoso di 150 mln a danno della Rai.

E già da queste poche righe si intuisce subito il ginepraio che sta per scatenarsi: le “modalità trasparenti e non discriminatorie” non sono proprie del mercato azionario come invece poi si andrà a realizzare. A seguito di questa iniziativa del Governo Renzi (PD) in Cda si apre un profondo dibattito che porterà alla sua spaccatura e all’emergere di una divisione con il DG Gubitosi che, successivamente, giudicherà “inopportuno” il ricorso contro il provvedimento.

Tutta la manovra del Governo è segnata da rilevanti dubbi di costituzionalità e per chiarirne i lineamenti vengono interpellati tre noti costituzionalisti: Alessandro Pace (19 Maggio 2014), Michele Ainis (28 maggio 2014) e Enzo Cheli (12 giugno 2014). Leggiamo alcuni passaggi essenziali:

AINIS: “Tale società, del resto, ricopre un ruolo strategico nella conformazione complessiva della Rai: 2.300 siti, 23 sedi, 600 dipendenti, un valore economico che Mediobanca stima attorno a 600 milioni. Ma soprattutto Rai Way costituisce un perno essenziale per garantire le prestazioni cui è tenuta la concessionaria del servizio pubblico.

A norma di legge (art. 45 del d.lgs. n. 177 del 2005), quest’ultimo viene demandato infatti a una società per azioni attraverso lo strumento della concessione, che a sua volta ha per oggetto sia la costruzione degli impianti, sia l’attività di diffusione dei programmi (P. Caretti, Diritto dell’informazione e della comunicazione, Bologna 2001, pagg. 113 ss.). Il primo adempimento, dunque, precede – logicamente e giuridicamente – il secondo: senza la disponibilità e il controllo delle strutture che permettono la diffusione del segnale, l’offerta televisiva pubblica rimarrebbe un’astrazione, un corpo senza gambe. Questo significa che l’ipotesi della cessione totale di Rai Way (prefigurata, sia pure come eventualità da sottoporre a una decisione concertata fra la Rai e il governo nazionale, dall’art. 21, comma 3, secondo alinea, del decreto legge n. 66) inocula un elemento d’irragionevolezza nel sistema normativo. Certo, in tale scenario Rai s.p.a. potrebbe pur sempre noleggiare (a quale prezzo?) le «torri» che diffondono il segnale. Ma in ogni caso l’azienda pubblica ne rimarrebbe impoverita – in termini strutturali, se non anche in termini economici – e ciò introduce un ulteriore profilo d’irragionevolezza nel decreto legge n. 66.”.

PACE: premesso che il DL 66 è contrario a quanto previsto dall’art. 55 del t.u. 177 del 2005, ne consegue che giocoforza tutti gli atti che ne discendono, in primis la “sottrazione” di 150 mln che da origine a tutta la manovra,  appaiono manifestamente illegittimi.

CHELI: nella prima parte del suo documento si evidenzia un parere che sembra schierarsi a favore del DL 66 mentre nella seconda parte articola le obiezioni in merito a due argomenti: l’irragionevolezza della norma e il mancato coinvolgimento del Parlamento.

La somma dei tre pareri “pro veritate” sarebbe bastato e avanzato per sostenere ragionevolmente il ricorso alla Corte Costituzionale che però invece, irragionevolmente, non viene sostenuto e tutto poi annega nella palude che ci ha condotto fino al punto attuale. Perché negli anni successivi chi poteva e doveva intervenire non è intervenuto? Se non si chiarisce il passato non si comprende il presente e non si guida il futuro.

Allo stesso modo: perché non è stato affrontato e approfondito il profilo di incostituzionalità della riduzione del canone recentemente approvata dal Governo?

La storia ritorna: potrebbe essere proprio questo uno dei primi atti che il nuovo Cda Rai sarà chiamato ad adempiere. Una volta gettato il dado, poi difficile tornare indietro. Per questo è necessario che i nuovi consiglieri siano “eletti” e non “nominati” subito con i criteri formulati dal MFA. Si può fare, si deve fare!

CANDIDIAMOCI TUTTI !!!

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