giovedì 14 novembre 2019

Disordine sotto il cielo


 Roma, 25 giugno 2019 : «Lavoriamo per abolire il Canone Rai» ha annunciato il vicepremier Luigi Di Maio. Dichiarazione avvenuta in buona compagnia di chi, Salvini, ne ha fatto un cavallo di battaglia. Passa poco più di un mese, l’8 agosto, il Governo cambia e propone un nuovo programma dove, al punto 11, si legge che si intende avviare una riforma del sistema delle telecomunicazioni. 

Ora è successo che ieri sera ci perviene il testo di una proposta di Legge, firmata dalla deputata Paxia, (poche ore dopo aver rilasciato dichiarazioni alla stampa) datata 16 luglio scorso dove nel titolo si legge: “Abolizione del canone di abbonamento alle radioaudizioni e alla televisione e della relativa tassa di concessione governativa”. Da notare che prima di ieri di questo testo non se ne trovava la versione ufficiale. 

Pochi se ne sono accorti (a parte il solito bene informato Angelo Zaccone Teodosi) e ancora meno quelli che se preoccupano. Un rapido giro di telefonate a Viale Mazzini e si sente dire “Le solite c…ate” …”perché perdere tempo con queste amenità” e così via. Sarà, forse hanno ragione loro. Però, in mancanza di meglio, proviamo a ragionare.  La deputata Paixa appartiene al M5S, lo stesso partito di Governo che ha in cantiere una proposta di riforma firmata dalla deputata Liuzzi e del senatore Di Nicola che nei giorni scorsi ha promosso un dibattito sulla riforma della governance Rai. Nei giorni scorsi, inoltre, il solerte Anzaldi (renziano di Italia Viva) si associa al coro dell’anti canone e inizia la raccolta firme. Il retroterra di queste iniziative, da non dimenticare, è la famosa indagine SWG del 2016 con la quale si rilevava che il canone “è la tassa più odiata dagli italiani” perché, aggiungeva il Censis, la Rai non offre in cambio prodotti di qualità. Allora, non sembra poi tanto peregrino interrogarsi sul perché “a volte ritornano” tali iniziative che, ripetiamo e sottolineiamo, non sembrano poi tanto lontane dal sentire comune di tanti parlamentari.

Attenzione: la Paixa propone la “sostituzione “ del canone con la fiscalità generale e la revisione dei tetti di affollamento pubblicitario. Il finanziamento del Servizio Pubblico dovrebbe avvenire con il 30% dal bilancio dello Stato, fino al 40% dall’imposta sui servizi digitali (quali sono e a quanto ammontano?), fino al 20 % da una tassa sui ricavi delle emittenti commerciali, e fino al 10 % da una tassa sui ricavi delle pay Tv. Si tratta di un meccanismo complesso e si riferisce pure a tassazioni tutte da definire nelle modalità e nella quantità. Attenzione: non è un eresia affrontare questo tema. Ora, intendiamoci, che sia grande la confusione sotto il cielo è cosa nota, però, forse, un filo piccolo piccolo di preoccupazione farebbero bene ad averlo a Viale Mazzini. Certo, in questi giorni hanno ben altro a cui pensare: le nomine incombono e le idee sono confuse. Come pure, forse, all’interno del M5S un filo piccolo piccolo di chiarezza non sarebbe del tutto negativo.

Ora, è bene ricordare il mantra che ci vede tutti concordi: il canone è garanzia di autonomia e pluralismo per il Servizio Pubblico ma …ma… fino a punto in cui questa pietra miliare viene messa in discussione da due elementi: l’uso improprio che ne fa il Governo e l’uso talvolta improprio che ne fa l’Azienda. I due elementi spesso combaciano. Però, bisognerà pur spiegarlo a chi paga il canone che ne vale la pena.

Ieri l’Eco di Bergamo e oggi Leggo con un breve trafiletto danno notizia dell’inizio della poderosa opera di alfabetizzazione informatica avviata dal Servizio Pubblico con il comico siciliano che da ieri ha iniziato le trasmissioni su Rai Play. Che stranezza: le grandi firme della carta stampata forse lo hanno dimenticato, visti i risultati sia in digitale che sul Web (vedi i dati Auditel Digitale pubblicati ieri). Ce ne faremo una ragione e attendiamo i nuovi dati per la prossima settimana.

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