lunedì 4 novembre 2019

La corda in casa dell'impiccato

C’è poco da girarci intorno: la Rai è e continua (forse continuerà) ad essere preda e ostaggio della politica e dei partiti. Leggete, ad esempio, il titolo e il contenuto del pezzo di ieri sul Corriere a firma Antonella Baccaro: “Rai, alta tensione sugli incarichi. Il PD sul Tg1, FdI chiede spazio”. Singolare notare che oltre al Corriere, anche buona parte della carta stampata recitava lo stesso copione, con gli stessi nomi in ballo, come se i vari articoli fossero tutti frutto di una stessa matrice, di uno stesso ragionamento e con gli stessi nomi. Ho alle spalle circa 40 anni di questo mestiere e un pizzico di fiuto mi è rimasto: quando la farina è più o meno simile è uscita dallo stesso sacco. Il tema però è l’infinita riproposizione della stessa minestra riscaldata più volte. Non appena si apre (semmai fosse chiusa) una stagione di nomine è un fiato il tempo impiegato dai famelici lupi dei partiti (sulla politica è necessario altro ragionamento) per dire che Tizio è in  quota me, Caio è sempre stato iscritto al tuo partito e Sempronio vanta amicizia influenti a destra come a mancina e quindi è “necessario un riequilibrio” perché magari siamo alla vigilia delle delicatissime elezioni in Emilia Romagna e “non si può consentire una informazione di parte” (i virgolettati sono parzialmente anonimi). Verrebbe da ripetere quella stanca litania di chi si lamenta di questa liturgia ormai consolidata: quanto pesa un partito  in Parlamento e quanto pesa dentro la Rai. Ad un tot di risultati elettorali o di quota di governo, spetta una rete come pure un Tg oppure, boccone ghiottissimo, una delle nuove direzioni.

Ripetiamo l’incipit: c’è poco da girarci intorno. Gli stessi partiti che vorrebbero, propongono, auspicano una riforma della Rai sono gli stessi che ora, subito, domattina, esigono e pretendono che a dirigere Viale Mazzini ci siano donne o uomini di loro stretta fiducia o, ben che vada, a loro vicini o simpatizzanti. Non gli viene lentamente il pensiero che potrebbe essere la volta buona la possibilità che queste nuove future nomine vengano effettuate con criteri trasparenti sulla base di esperienza, capacità, professionalità e indipendenza. Il fatto stesso che Tizio o Caio sia considerato “in quota”  o “gradito” potrebbe essere motivo sufficiente  per assegnarli un punteggio “ad escludendum”. È pure incomprensibile gli stessi partiti non sostengano  questo criterio di nomina basata sul merito possa essere  garanzia anche per loro. Come non pensare che un direttore “in quota” può reggere lo spazio di un Governo o di un equilibrio politico, pronto a cadere non appena sopraggiunge uno nuovo. Quindi: affidabilità vicino allo zero. Come non ricordare che il Piano Industriale è stato approvato subito dopo un presunto e mai smentito incontro tra l'AD e il segretario del PD Nicola Zingaretti?
Questo Governo avrebbe in mente di avviare un percorso di riforma del Sistema delle telecomunicazioni. C’è poco da stare tranquilli. Al suo interno, per quanto detto, di sistema per ora importa poco: importante che Tizio Caio o Sempronio possano occupare posti a loro graditi … non si sa mai.
A suo tempo, il consigliere Laganà voto contro il Piano industriale proprio su questo terreno “Nel piano industriale non ci sono le mie richieste di trasparenza relative ai percorsi professionali, criteri di merito…”si legge su PrimaOnLine dello scorso 8 marzo. Lo vogliamo vedere ora all’opera in queste circostanze insieme alla consigliera Borioni (che pure ha votato contro il Piano industriale) "La riforma aziendale offre tante nuove poltrone ai partiti. E i programmi di approfondimento finiranno tutti sotto un solo direttore, saranno a rischio così le trasmissioni più coraggiose come Report e Petrolio" (repubblica.it del 28 febrbaio). Staremo a vedere quando si tratterà di nominare un direttore di rete noto per aver gongolato come un bebè per aver riportato Raffaella Carrà in video con un format banale comprato dal solito potente agente di turno. Dovrebbe essere lo stesso direttore che dovrebbe gestire una rete dove buona parte del day time è di “proprietà” di una nota società di produzione esterna (Endemol: dal Corriere dello scorso 27 ottobre). Ci sarà da ridere …o piangere .. scegliete voi.

Comunque, di corda in casa dell’impiccato non ne parlano solo i partiti ma anche una parte di dirigenza Rai che, è sempre bene ricordarlo, non ha fatto il Concorso nazionale pubblico per titoli e meriti per diventare o essere assunto come dirigente. Non sono pochi coloro che hanno fatto un terno al lotto e quelli che invece se la sono guadagnata sul campo e non poche volte si sono visti scavalcare nel ruolo e nelle competenze dai nuovi arrivati da fuori che pure loro di concorsi per titoli e meriti ne hanno fatti ben pochi.  Su questo schema è costruita l’architettura manageriale di Viale Mazzini: a fronte di tanti capaci, esperti e di elevata capacità professionale convivono altri con un coacervo di ingerenze, di vicinanze, di similitudini, di compiacenze con i partiti dove succede, talvolta, di riscontrare livelli di inefficienze, di incapacità e di cultura aziendale di livello spesso discutibile.

Ad onore di cronaca e memoria ricordiamo alcune dichiarazioni del presidente Adrai, Luigi Meloni, rilasciate lo scorso 13 maggio all’ADN quando venne chiamato a difendere i dirigenti Rai da Matteo Salvini che li voleva licenziare: “Ad e Presidente persone perbene ma non hanno autonomia sufficiente … Pur di togliere di mezzo tutte queste idiozie e attacchi ingiustificati, siamo pronti anche alla privatizzazione. Abbiamo le capacità di stare sul mercato, basta che non ci vengano calate dall'alto leggi che minano la nostra capacità competitiva”.

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