Il Contratto di Servizio RAI 2023-2028 appena pubblicato in
GU nasce male e finisce peggio. Lo abbiamo già scritto e lo ribadiamo ancora
più oggi: è un documento nefasto, inconsistente, fumoso, dannoso e finalizzato
sostanzialmente a ridurre il peso, il ruolo e le prospettive di sviluppo della
RAI e del Servizio Pubblico.
Il primo segnale della piega che avrebbe preso il dibattito
per la sua elaborazione è datato dicembre 2021 quando Stefano Luppi, allora apprezzato dirigente RAI e
particolarmente esperto sul tema, incaricato del coordinamento del gruppo di
lavoro, viene rimosso e sostituito con una risorsa esterna, Cinzia Squadrone,
già ex direttrice marketing, alle dirette dipendenze della Presidente
Soldi. Perché sia avvenuto quel cambiamento e perché sia stata chiamata una
persona esterna all’Azienda non è stato mai chiarito . Su questo argomento
venne presentata pure una interrogazione parlamentare dalla Lega. Tutti gli
altri partiti nemmeno se ne sono accorti. Da allora la valanga non solo non si
è fermata ma ha aumentato di volume e pericolosità a tutto danno della RAI e del Servizio
Pubblico.
La facciamo breve, anche se nel merito c'è ancora tanto da dire. Dallo scorso gennaio cominciano a circolare le prime bozze e
in Vigilanza si svolgono audizioni con i diversi soggetti interessati. Merita
di essere citata quella con il Presidente AgCom, Giacomo Lasorella, del 3
agosto e del quale abbiamo pubblicato un ampio stralcio lo scorso anno (https://bloggorai.blogspot.com/2023/09/rai-un-secondo-piccolo-scoop-palle.html). Il passaggio essenziale costituisce uno dei pilastri della valutazione
critica di questo Contratto: il famigerato Allegato 1 (leggi più avanti).
Andiamo con ordine e riassumiamo i quattro pilastri di
sabbia sul quale si regge l’architettura del Contratto.
A. Le risorse. In
premessa si legge “… in coerenza con le
risorse economiche pubbliche derivanti dal canone riconosciute a Rai, indicare
con chiarezza gli impegni e gli obblighi del contratto di servizio”. Il concetto di "coerenza" viene poi ripetuto 8 volte nel testo completo. Si stabilisce dunque un nesso
contrattuale fondamentale tra risorse assegnate e obblighi previsti. Se non che, per un verso la risorsa
assegnata, ovvero il canone, non è più chiara e definita come dovrebbe: la recente
riduzione dell’importo e la sua indeterminatezza del suo futuro, persino nelle modalità di riscossione, rendono questa
risorsa, di fatto, effimera e precaria. Ne consegue che anche gli obblighi
subiscano la stessa fine ed assumano la stessa natura: non sono più
contemplati come nel dettagliato Art. 25 del precedente Contratto, ma vengono
marginalizzati nel famigerato Allegato 1 del quale, per molto tempo si è temuto
perfino che non venisse pubblicato in GU. Da osservare che il temine
“pubblicità” non compare mai nel testo mentre compare una sola volta (art. 14)
un concetto interessante: “ … il gettito
derivante dal canone destinato all’offerta televisiva, nonché i ricavi
pubblicitari connessi alla stessa …” si riferisce al sostegno all’industria
audiovisiva nazionale.
In buona sostanza, si ribadisce che la RAI può e deve
contare “prevalentemente” sulla risorsa canone per l’espletamento della sua
natura primigenia di Servizio Pubblico ma non fa riferimento alcuno a come
debbano essere impegnate le risorse da pubblicità che pure portano nelle casse
di Viale Mazzini diverse centinaia di milioni. Tantomeno si specifica in
alcun modo quali sono le attività
editoriali di Servizio Pubblico da quelle commerciali. Vedi “Art. 18. Contabilità separata 1. È
fatto divieto alla Rai di utilizzare, direttamente o indirettamente, i ricavi
derivanti dal canone per finanziare attività non inerenti al servizio pubblico”
e Art. 19 “Art. 19. Sostenibilità
economica del contratto 1. Le risorse economiche pubbliche derivanti dal
canone riconosciute a Rai devono essere coerenti con il perimetro degli
obblighi di servizio pubblico al fine di assicurare annualmente, per la durata
del contratto, la necessaria corrispondenza tra attività delegate, correlati
costi sostenuti e finanziamento pubblico prevista dall’art. 61, comma 3, del
TUSMA”. Da osservare un passaggio dell’Art. 17 (Gestione economica-finanziaria) dove si legge che “La Rai è
tenuta, altresì, ad adottare criteri tecnici ed economici di gestione idonei a
consentire il raggiungimento di obiettivi di efficienza aziendale e di
razionalizzazione del proprio assetto organizzativo”. Cioè esattamente
quanto rilevato dalla Corte dei Conti che da anni ripete sempre lo stesso
concetto senza averne adeguato riscontro.
B. Gli “Obiettivi
misurabili”. In premessa si legge che la RAI deve “. assicurare una massima cogenza degli obblighi assunti nel contratto di
servizio, in particolare attraverso l’introduzione di obiettivi misurabili, e
la relativa pubblicazione periodica, nonché potenziando le modalità, gli
strumenti e gli organi di verifica dell’attuazione dei suddetti obiettivi”.
Si tratta dei famigerato KPI (Key Performance Indicator), tanto cari alla
concettualizzazione, alla cultura e alla natura privatistica delle imprese. Nel
caso della Rai, del Servizio Pubblico Radiotelevisivo chi definisce questi
obiettivi “misurabili” e quali potrebbero essere? Da un punto di vista
strettamente contrattuale l’ambito di definizione dovrebbe essere lo steso
contratto: io Stato ti erogo un contributo/canone a condizione che tu RAI, ad
esempio, raggiungi un pubblico “giovane” in prime time sulle tre reti
generaliste. Oppure che tu RAI raggiungi una quantità di streaming di RAI Play
fissato in X, oppure che la testata giornalistica “all news” raggiunga almeno
il 10% di share e così via. Oppure, più banalmente, che ogni anno si
raggiungano risultati quantificabili e verificabili di operazioni di
contenimento ed efficienza dei costi. Per non dire poi della “misura”: quali i
parametri di giudizio e valutazione? Come vengono definiti e con quali strumenti
vengono verificati? Sintesi: fumo allo stato puro.
C. La “Digital Media
Company”. Cosa è una “Digital Media Company” normale e cosa è una “Digital
Media Company di Servizio Pubblico”? La
prima si riferisce ad un suo ambito di azione e riferimento che è il mercato,
la seconda invece si riferisce ad un suo ambito di azione e riferimento che è
il pubblico, ovvero i cittadini tutti che pagano, appunto, il canone. Non è un
caso che il termine “pubblico” che pure durante il dibattito in Vigilanza è
stato richiesto l’inserimento nel testo sia poi svanito nel nulla. Infine, una
“Digital Media Company” costa e non poco: costa in termini tecnologici,
editoriali e organizzativi e, semplicemente, la RAI non possiede le risorse
sufficienti ed adeguate per avviare una prospettiva del genere.
D. Il famigerato
“Allegato 1”. La voragine di tutto il Contratto. La mettiamo per ultima tra
i pilastri di argilla sui quali poggia il Contratto ma non è il tema meno
rilevante. Aver escluso dall’interno del contratto l’art. 25 sugli obblighi
specifici come era nella precedente versione non è casuale come pure non era
casuale la volontà di non volerlo pubblicare in GU (poi rientrato). Abbiamo
scritto che qualcuno a Viale Mazzini (e non solo) ha esultato “Siamo liberi di
fare quello che vogliamo!!!”. Da rileggere il link sopra citato con
l’intervento di Lasorella in Vigilanza: “… Non so se si sia trattato di una
mera scelta redazionale, tenendo conto che comunque l’allegato costituisce parte integrante del contratto
(espressamente richiamato nell’art. 22 ai fini della informativa da rendere,
rispettivamente, al Governo, all’Autorità e alla Commissione ogni semestre), e
non sembra possibile certo configurarlo come una parte di valore inferiore
rispetto all’articolato”. In buona
sostanza, l’allegato “è” l’oggetto del Contratto e se ne è fuori sta a
significare che “non è” oggetto del Contratto che , per essere tale, deve
contenere al suo interno la natura dello stesso. Apparentemente tutto molto
semplice.
E. La transizione al
DVB-T2. Forse la parte più controversa e fumosa del Contratto. Anzitutto è
un obbligo solo in capo a RAI e questo determina una asimmetria con il mercato
rilevante: impone a RAI che il passaggio venga completato entro la fine del
prossimo agosto. Al netto delle varie differenze di valutazione (Fondazione
Bordoni, Auditel Censis) rimane per certo che il numero di televisori o
famiglie in grado di ricevere il nuovo standard è assulutamente
imprecisato come pure il numero di
telespettatori che potranno “andare in nero”. Da non dimenticare la famosa
lettera di Ciccotti (CTO RAI) scrisse al ministero lo scorso settembre dove
scrisse chiaro e tondo che si tratta di “ … un’iniziativa che, isolatamente
imposta a Rai, genererà con tutta probabilità un calo di ascolti dei canali
coinvolti a causa del mancato rinnovo totale del parco ricevitori (decoder e
TV) da parte delle famiglie italiane …”.
Chiudiamo con un interrogativo. Molti ci hanno chiesto:
perché questo ritardo nella pubblicazione in GU? A chi ha giovato questo ritardo
e chi avvantaggia averlo pubblicato solo ora?
Ci sono tanti buoni
motivi. Ne riparleremo.
bloggorai@gmail.com