martedì 11 gennaio 2022

Draghi e il Paese delle mezze verità

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Ci sono persone che nascono con un marchio di fabbrica: l’impegno civile e politico. Per tutta la vita perseguono la passione che rende merito e significato alla nostra presenza. David Sassoli appartiene ad una generazione che ha dato e continua a dare un contributo importante alla vita di questo Paese. Ciao David.

Lo abbiamo scritto tante volte: la comunicazione non è sempre lineare e trasparente e così, spesso, succede che alcuni “messaggi” valgono di più per quanto non detto piuttosto che per quanto affermato. È necessario sempre fare la tara tra contenuto e contenitore, tra sagoma e sostanza, per cogliere quei frammenti di verità che altrimenti sfuggono nella palude della formalità.

È successo ieri con la conferenza stampa di Mario Draghi: gli elementi di rappresentazione “obbligata” ci sono apparsi meno rilevanti di quelli “facoltativi” che pure erano e sono opportuni, ai limiti del dovuto. L’incontro con i giornalisti doveva essere utile/necessario per almeno tre livelli: il primo sulle misure antipandemia appena adottate, il secondo sulla corsa al Colle, il terzo sullo stato di salute del Governo. Sul primo punto ci sarebbe molto da dire e obiettare sulle informazioni fornite come, ad esempio, la risposta lacunosa e poco convincente, a parer mio, sulla scelta strategica di puntare tutto sui vaccini e tamponi e pressoché nulla sulle cure post Covid. Se volessimo completare la domanda specifica che gli è stata posta avremmo aggiunto anche: perché è stata abbandonata la pur promettente strada del vaccino nazionale (dove vennero investiti anche oltre 8 mln di euro forniti alla ReiThera) come venne ricordato da una puntata di Report?

Sul secondo punto Draghi è partito non solo con il piede sbagliato ma ha preso una piega insopportabile: non si può, non si deve, in una conferenza stampa chiedere ai giornalisti di non fare domande scomode. La regola del gioco dice: io ti faccio tutte le domande che ritengo opportuno e tu sei libero di non rispondere. È una regola che vale sempre e dovunque ma vale doppia quando si applica alla comunicazione pubblica, istituzionale. Appare assolutamente evidente che, in questo determinato momento, l’azione di Governo sul piano sanitario si intreccia saldamente all’elezione del prossimo capo dello Stato e, di conseguenza, alle relazioni tra i partiti che sorreggono la sua maggioranza di “emergenza”. Tant’è che la sola domanda rilevante a questo proposito l’ha posta Ilario Lombardo su La Stampa: “…intende guidare ancora il governo per l'emergenza almeno di questa ultima ondata di covid? …”. Draghi ha risposto: “A questa domanda non posso rispondere”. E perché mai “non può” rispondere visto che si tratta della sola domanda necessaria a comprendere se e in che modo il Governo potrà continuare a gestire questa fase, appunto drammatica e purtroppo ancora emergenziale della recrudescenza del Covid? Cosa o chi lo impedisce e perché “non può”? La sola risposta possibile si legge in quello che NON ha detto, che peraltro è nel solco della prosecuzione della precedente Conferenza stampa di Natale quando ha lasciato intendere che il Colle gli interessa. Sarebbe stato tutto molto più semplice, opportuno e forse necessario se invece avesse detto in modo chiaro che NON è interessato al Quirinale semplicemente perché il suo dovere ora è proseguire il contrasto alla pandemia. Punto. Draghi si è rivelato per quello che è: un tecnico “di scopo” finalizzato e utilizzato dalla politica, dagli stessi partiti che lo sorreggono fittiziamente con il solo obiettivo di garantire loro la sopravvivenza fino al 2023. Come la volta precedente (gennaio 2021) e come abbiamo scritto pure ieri: Draghi non ha o non vuol esporre alcun progetto per il futuro del Paese dove l’elezione del Capo dello Stato è parte fondamentale e quando pure accenna qualche timido segnale (vedi il PNRR) lo fa in maniera poco chiara (gli obbiettivi raggiunti). Lo scriviamo con una punta di rammarico ma ci è apparso come l’ennesimo furbetto che cerca di fare il gioco delle tre carte e dove non si capisce mai quale sia quella vincente. Come al solito, è stato necessario lo spauracchio, la “discesa in campo” forse del solo politico che ancora si aggira sulla scena, Silvio Berlusconi, a rimettere in riga gli altri  balbettanti ed esitanti soggetti in competizione tra loro: poco prima della conferenza stampa il Cavaliere ha dichiarato: trenta secondi dopo che Draghi al Quirinale si va a votare. Lo scriviamo con il mal di pancia ma … Chapeau!

Ora proponiamo un esercizio per i lettori Raiotici: provate ad immaginare se la posto di Draghi ci fosse stato Fuortes e l’argomento fosse l’emergenza Rai (conti, ascolti, tecnologie). Nei giorni scorsi, tanto per tenerci aggiornati, è uscita fuori la notizia secondo la quale il M5S ha presentato una nuova proposta di Legge sull’emittenza locale e la Rai. Leggiamo una dichiarazione di Mario Turco, vicepresidente del M5S: “ ....Infine, occorre riformare il canone Rai escludendolo dalla bolletta elettrica, anche per rispondere alle criticità sollevate dalla Commissione europea, destinandolo alla fiscalità generale e prevedendo l’esclusione delle fasce più basse della popolazione”.  Lo abbiamo scritto tante volte e lo ripeteremo ancora: il canone sarà la battaglia finale dove verrà decisa la sopravvivenza del Servizio Pubblico. Le premesse, gli schieramenti delle truppe, non promettono nulla di buono e non è sufficiente immaginare/sperare che per questa legislatura non si caverà un ragno dal buco. Potrebbe essere sufficiente sostenere o alimentare l’incertezza per indebolire sempre più l’Azienda.

bloggorai@gmail.com

Nessun commento:

Posta un commento