In questi giorni, nelle prossime settimane, nei prossimi mesi
si combatterà la Madre di tutte le battaglie sul futuro della Rai e del Servizio
Pubblico: la riforma che si appresta ad andare all’approvazione del Parlamento,
forse anche entro la fine dell’anno come auspicato dal Senatore Gasparri.
La Madre di tutte le battaglie si rivolge anzitutto all’attuale
Cda Rai, eletto con i criteri della vecchia Legge 220 del 2015 (la famigerata
legge Renzi, un uomo solo al comando), poi guarda alla scadenza della Concessione
decennale dell’aprile 2027 e, infine, si rivolge alla trasformazione tecnologica
profonda e devastante, in parte già in corso, sul declino del DTT.
Sulla riforma Rai si avvertono due “strani” fenomeni. I due
fenomeni che si avvertono forti e chiari sono: da un lato un relativo disinteresse
generale, un silenzio ai limiti dell’imbarazzante, come se l’argomento “riforma
Rai” fosse del tutto secondario e subordinato rispetto a tanti altri di
caratura nazionale. Per altro lato si avverte una sorta di ottusa “leggerezza”
e approssimazione che sconfina ai limiti della complicità, seppure indiretta,
con chi è avverso al futuro Servizio Pubblico e occhieggia alla sua deriva “privata”
totale o parziale, concreta o concettuale.
Approssimazione: quest’ultima osservazione ci viene fresca
fresca, appena finito di leggere il fascicolo in “Bozza di stampa” del Senato
che racchiude gli emendamenti presentati dall’opposizione sul testo di riforma proposto
dalla maggioranza. Come al solito, il veleno (un veleno tra gli altri) si trova
alla coda e, infatti, lo abbiamo scovato nell’emendamento all’art. 12.1 laddove si legge “3. Il consiglio di
amministrazione della RAI - Radiotelevisione italiana S.p.a., nominato ai sensi
delle disposizioni di cui alla presente legge, presenta entro sei mesi dal
proprio insediamento un piano dettagliato per la distribuzione dei programmi
del servizio pubblico sulle piattaforme digitali, in vista del previsto switch
off della distribuzione in tecnologia digitale terrestre entro il 2030”. È una
balla clamorosa: non è previsto nessuno “switch off della distribuzione in
tecnologia digitale terrestre entro il 2030”. Per la precisione: nella risoluzione
della WRC (World Radiocommunication Conference 2023) si legge chiaro e tondo nella
Risoluzione 235 che se ne riparla nel novembre 2031 e, qualora dovessero essere
applicate modifiche al piano di assegnazione delle frequenze, queste potrebbero
avere effetto a partire dal 2035 (vedi pure https://www.confindustriaradiotv.it/banda-sub-700-grande-risultato-per-i-broadcaster-alla-wrc-23/
). Per intenderci, la Spagna ha già prorogato le licenze DTT al 2035 e anche l’Italia
si appresta a seguire la stessa prospettiva. Ve lo immaginate che Rai e
Mediaset, nel 2030, si vedono ridurre le frequenze?
Che senso ha allora scrivere quell’emendamento? Ha un senso profondo,
rilevante e di assoluto rilievo strategico. Si riferisce a “risorse” di cui si
parla poco ma valgono molto, le frequenze DTT intorno alle quali si combatte una
battaglia atomica tra broadcasters e “telefonici”, sono infatti le preziosissime
frequenze il terreno dove si contende il futuro della comunicazione audiovisiva
e su quel terreno non si faranno prigionieri. Ora, la nota “bizzarra” è che su
questo fronte diciamo pure che, da tempo, anche e specie in area “progressista” si
avvertono i fenomeni di cui sopra: da un lato pressappochismo e dall’altro “intesa
con il nemico” e segnatamente con i “telefonici”. Vedi pure chi ha firmato gli
emendamenti e chi vuole sapere sa.
Quanto contenuto nel fascicolo citato sugli emendamenti dell’opposizione
contiene altri “veleni”. Del primo vi abbiamo già scritto e si riferisce al
grave vulnus costituzionale relativo all’Art.64 laddove si legge che “… Le
deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è
presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a
maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza
speciale”. E abbiamo pure scritto che la Costituzione non prevede in alcun modo
che si possano adottare provvedimenti legislativi con voto di maggioranza “a
due terzi” ne consegue che ne la Vigilanze e tantomeno il Parlamento possono procedere con atti votati con i "due terzi" come si legge negli emendamenti. O no?
Ma ce ne sono almeno altri due “veleni” che rivelano tutta
la fragilità della sua completa architettura concettuale sulla quale poggiano gli
emendamenti. Vedi all’art.1 laddove si parla di “Contratto Obiettivi e Mezzi”
ovvero la proposta emersa in altra sede della quale abbiamo detto quasi tutto,
ovvero che si tratta di un modello morto e sepolto laddove è nato, in Francia. Ciò
che appare grave è che anzitutto non si dice nulla su cosa si intende con questo
modello, come si articola ovvero chi lo firma con chi e con quali vincoli e sanzioni
si prospetta. Le esperienze dei precedenti Contratti la dice lunga. Per non dire dello strafalcione sulla sua durata: da un lato si propone
che debba durare 10 anni e dall’altro 5. Santa pace, ma non c’è qualcuno che
rilegge i testi? Se necessario Bloggorai si offre volontario per fare il correttore
di bozze, a gratissss of course. Ma c’è il tema sottotraccia che merita di
essere approfondito. Che significa Contratto di Obiettivi e Mezzi (COM) ovvero
Contratto Attività e Risorse (CAR) scritto prima da una parte in un modo e poi in un’altra in modo diverso?
È la stessa cosa? non è dato sapere. Sappiamo, ovvero intuiamo cosa c’è dietro:
una bizzarra concezione del Servizio Pubblico. Provate ad immaginare: si da il caso
di un Ospedale Pubblico o una Scuola Pubblica e gli si dice nel primo caso che
gli si erogano finanziamenti qualora, ad esempio, si compiono almeno 50
operazioni di appendicite o tonsillectomie o, nel secondo caso, se vengo
promossi almeno100 alunni con la media del 9. E che succede se gli “obiettivi”
non vengono raggiunti? E chi li dovrebbe controllare e misurare? Uhmmmmm …
L’altro “veleno” interessante si trova laddove si parla di canone
e si legge (art. 6.39 che dovrà essere “scorrevole anno per anno”. Se intendiamo
bene, significa che “anno per anno” si dovrà definire quanto scorre” ma non si
dice in base quali parametri e chi lo dovrebbe decidere: il Ministero
competente? Con buona pace della certezza della risorsa come prevede l'EMFA.
La situazione sotto il Cielo è molto confusa. Oggi leggiamo sul Fatto che il PD, insieme
a Forza Italia (nota bene, solo FI) avrebbe presentato al Senato un
emendamento al Disegno di Legge sulla Concorrenza finalizzato a ad imporre il
controllo AgCom sulla raccolta pubblicitaria dove si dovrebbero includere le
piattaforme streaming (Netflix &C). Il terrore corre sul filo: la torta
della raccolta pubblicitaria non è sufficiente per tutti e a fronte del
costante spostamento di risorse verso le piattaforme e più in generale verso lo
streaming occorre porre rimedio. Lo scontro, come al solito, è anche sulle
risorse economiche, tant’è che la Lega si mette di traverso su tutti i fronti,
interno con i propri alleati, ed esterno verso l’opposizione. Siamo in attesa
di ricevere il testo degli emendamenti dei partiti di Governo e intanto
leggiamo che la senatrice Bizzotto ha presentato un emendamento finalizzato ad
aumentare la quota di taglio del canone (avevano già previsto una riduzione
progressiva del 5% annuo) che, ovviamente va indigesta a FI che invece sostiene
il canone Rai pur di salvare la sua quota di raccolta pubblicitaria.
bloggorai@gmail.com
ps: of course, di quanto scriviamo, abbiamo ampia documentazione
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