sabato 11 ottobre 2025

SPECIALE 2: la Grande Battaglia della Riforma RAI tra indifferenza e strafalcioni

By Bloggorai ©

In questi giorni, nelle prossime settimane, nei prossimi mesi si combatterà la Madre di tutte le battaglie sul futuro della Rai e del Servizio Pubblico: la riforma che si appresta ad andare all’approvazione del Parlamento, forse anche entro la fine dell’anno come auspicato dal Senatore Gasparri.

La Madre di tutte le battaglie si rivolge anzitutto all’attuale Cda Rai, eletto con i criteri della vecchia Legge 220 del 2015 (la famigerata legge Renzi, un uomo solo al comando), poi guarda alla scadenza della Concessione decennale dell’aprile 2027 e, infine, si rivolge alla trasformazione tecnologica profonda e devastante, in parte già in corso, sul declino del DTT.

Sulla riforma Rai si avvertono due “strani” fenomeni. I due fenomeni che si avvertono forti e chiari sono: da un lato un relativo disinteresse generale, un silenzio ai limiti dell’imbarazzante, come se l’argomento “riforma Rai” fosse del tutto secondario e subordinato rispetto a tanti altri di caratura nazionale. Per altro lato si avverte una sorta di ottusa “leggerezza” e approssimazione che sconfina ai limiti della complicità, seppure indiretta, con chi è avverso al futuro Servizio Pubblico e occhieggia alla sua deriva “privata” totale o parziale, concreta o concettuale.

Approssimazione: quest’ultima osservazione ci viene fresca fresca, appena finito di leggere il fascicolo in “Bozza di stampa” del Senato che racchiude gli emendamenti presentati dall’opposizione sul testo di riforma proposto dalla maggioranza. Come al solito, il veleno (un veleno tra gli altri) si trova alla coda e, infatti, lo abbiamo scovato nell’emendamento all’art.  12.1 laddove si legge “3. Il consiglio di amministrazione della RAI - Radiotelevisione italiana S.p.a., nominato ai sensi delle disposizioni di cui alla presente legge, presenta entro sei mesi dal proprio insediamento un piano dettagliato per la distribuzione dei programmi del servizio pubblico sulle piattaforme digitali, in vista del previsto switch off della distribuzione in tecnologia digitale terrestre entro il 2030”. È una balla clamorosa: non è previsto nessuno “switch off della distribuzione in tecnologia digitale terrestre entro il 2030”. Per la precisione: nella risoluzione della WRC (World Radiocommunication Conference 2023) si legge chiaro e tondo nella Risoluzione 235 che se ne riparla nel novembre 2031 e, qualora dovessero essere applicate modifiche al piano di assegnazione delle frequenze, queste potrebbero avere effetto a partire dal 2035 (vedi pure https://www.confindustriaradiotv.it/banda-sub-700-grande-risultato-per-i-broadcaster-alla-wrc-23/ ). Per intenderci, la Spagna ha già prorogato le licenze DTT al 2035 e anche l’Italia si appresta a seguire la stessa prospettiva. Ve lo immaginate che Rai e Mediaset, nel 2030, si vedono ridurre le frequenze?  

Che senso ha allora scrivere quell’emendamento? Ha un senso profondo, rilevante e di assoluto rilievo strategico. Si riferisce a “risorse” di cui si parla poco ma valgono molto, le frequenze DTT intorno alle quali si combatte una battaglia atomica tra broadcasters e “telefonici”, sono infatti le preziosissime frequenze il terreno dove si contende il futuro della comunicazione audiovisiva e su quel terreno non si faranno prigionieri. Ora, la nota “bizzarra” è che su questo fronte diciamo pure che, da tempo, anche e specie in area “progressista” si avvertono i fenomeni di cui sopra: da un lato pressappochismo e dall’altro “intesa con il nemico” e segnatamente con i “telefonici”. Vedi pure chi ha firmato gli emendamenti e chi vuole sapere sa.

Quanto contenuto nel fascicolo citato sugli emendamenti dell’opposizione contiene altri “veleni”. Del primo vi abbiamo già scritto e si riferisce al grave vulnus costituzionale relativo all’Art.64 laddove si legge che “… Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale”. E abbiamo pure scritto che la Costituzione non prevede in alcun modo che si possano adottare provvedimenti legislativi con voto di maggioranza “a due terzi” ne consegue che ne la Vigilanze e tantomeno il Parlamento possono procedere con atti votati con i "due terzi" come si legge negli emendamenti. O no?

Ma ce ne sono almeno altri due “veleni” che rivelano tutta la fragilità della sua completa architettura concettuale sulla quale poggiano gli emendamenti. Vedi all’art.1 laddove si parla di “Contratto Obiettivi e Mezzi” ovvero la proposta emersa in altra sede della quale abbiamo detto quasi tutto, ovvero che si tratta di un modello morto e sepolto laddove è nato, in Francia. Ciò che appare grave è che anzitutto non si dice nulla su cosa si intende con questo modello, come si articola ovvero chi lo firma con chi e con quali vincoli e sanzioni si prospetta. Le esperienze dei precedenti Contratti la dice lunga. Per non dire dello strafalcione sulla sua durata: da un lato si propone che debba durare 10 anni e dall’altro 5. Santa pace, ma non c’è qualcuno che rilegge i testi? Se necessario Bloggorai si offre volontario per fare il correttore di bozze, a gratissss of course. Ma c’è il tema sottotraccia che merita di essere approfondito. Che significa Contratto di Obiettivi e Mezzi (COM) ovvero Contratto Attività e Risorse (CAR) scritto prima da una parte in un modo e poi in un’altra in modo diverso? È la stessa cosa? non è dato sapere. Sappiamo, ovvero intuiamo cosa c’è dietro: una bizzarra concezione del Servizio Pubblico. Provate ad immaginare: si da il caso di un Ospedale Pubblico o una Scuola Pubblica e gli si dice nel primo caso che gli si erogano finanziamenti qualora, ad esempio, si compiono almeno 50 operazioni di appendicite o tonsillectomie o, nel secondo caso, se vengo promossi almeno100 alunni con la media del 9. E che succede se gli “obiettivi” non vengono raggiunti? E chi li dovrebbe controllare e misurare? Uhmmmmm …

L’altro “veleno” interessante si trova laddove si parla di canone e si legge (art. 6.39 che dovrà essere “scorrevole anno per anno”. Se intendiamo bene, significa che “anno per anno” si dovrà definire quanto scorre” ma non si dice in base quali parametri e chi lo dovrebbe decidere: il Ministero competente? Con buona pace della certezza della risorsa come prevede l'EMFA.

La situazione sotto il Cielo è molto confusa.  Oggi leggiamo sul Fatto che il PD, insieme a Forza Italia (nota bene, solo FI) avrebbe presentato al Senato un emendamento al Disegno di Legge sulla Concorrenza finalizzato a ad imporre il controllo AgCom sulla raccolta pubblicitaria dove si dovrebbero includere le piattaforme streaming (Netflix &C). Il terrore corre sul filo: la torta della raccolta pubblicitaria non è sufficiente per tutti e a fronte del costante spostamento di risorse verso le piattaforme e più in generale verso lo streaming occorre porre rimedio. Lo scontro, come al solito, è anche sulle risorse economiche, tant’è che la Lega si mette di traverso su tutti i fronti, interno con i propri alleati, ed esterno verso l’opposizione. Siamo in attesa di ricevere il testo degli emendamenti dei partiti di Governo e intanto leggiamo che la senatrice Bizzotto ha presentato un emendamento finalizzato ad aumentare la quota di taglio del canone (avevano già previsto una riduzione progressiva del 5% annuo) che, ovviamente va indigesta a FI che invece sostiene il canone Rai pur di salvare la sua quota di raccolta pubblicitaria.

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ps: of course, di quanto scriviamo, abbiamo ampia documentazione

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