Siamo alquanto propensi a credere buona la prima. Seppure si
avviasse e si completasse la transizione al DVB-T2 (e sappiamo quanto ancora
lontana e difficoltosa, vedi l’appuntamento misterioso del prossimo 10 gennaio)
siamo sempre in un territorio che si riduce sempre più a favore di altre
modalità di diffusione e fruizione dei segnali/prodotti audiovisivi. In soldoni:
il DVB non è il futuro ma semplicemente un presente in affanno. Dunque, siamo
propensi a credere pure che sia buona la seconda lettura: il DVB interessa molto
ancora i broadcasters nazionali generalisti e, in particolare, che rimanga
tutto così com’è è sempre Mediaset che in questo bacino ha tutto da guadagnare.
Un piccolo esempio, tanto per gradire e capire il tempo che cambia: nei giorni scorsi Netflix ha rilasciato
per la prima volta alcuni dati che non riguardano gli “ascolti” ma, attenzione, il tempo speso dagli individui davanti alla piattaforma. L’oggetto della
competizione non è più lo share ma il tempo che ogni persona spende di fronte o
con un device tra le mani. La risorsa “tempo” non si conquista sulle frequenze
terrestri ma sulle reti, sulle connessioni in grado di veicolare prodotti più
appetibili e commerciabili.
Ieri pomeriggio, nel mentre che il postino recapitava il
telegramma, giungevano notizie dal Cda di Viale Mazzini. Leggiamo stralci del comunicato:
“…Coerentemente ai profondi cambiamenti dello scenario di riferimento e in
linea con il nuovo Contratto di Servizio in fase di formalizzazione, e il Piano
di Sostenibilità da approvare, il Piano Industriale delinea un percorso di
evoluzione di Rai in “digital media company”. Pausa: Contratto di Servizio
ancora da formalizzare? E perché? Sono trascorsi oltre due mesi dalla sua ratifica
in Vigilanza e ancora deve essere “formalizzato”? Poi “digital media company” … gli va
proprio di traverso aggiungere “…di Servizio Pubblico”??? Nel nuovo contrato
se lo sono dimenticato ma al Cda nessuno vieta di aggiungere questa postilla
che non è di poco conto. Andiamo avanti. Leggiamo “…Il Piano recepisce sia le
progettualità del Piano Immobiliare recentemente approvato dal Consiglio di
Amministrazione, sia la valorizzazione di una quota di minoranza di Rai Way
tale comunque da garantire il mantenimento in capo a Rai SpA della maggioranza
del capitale sociale”. Non si vuole dire “vendita” della quota di RAI Way e si
preferisce “valorizzazione” ma senza aggiungere una riga su cosa concretamente
si intende nei tempi, nelle dimensioni e nella modalità. Si parla solo di
vendere o di avviare anche il processo di fusione con Ei Towers?
Ma il vero grande e solo problema di questo comunicato e del
suo contenuto è a monte: l’Azienda non solo non ha ancora ratificato il nuovo
Contratto (all’interno del quale si dovrebbe collocare il Piano Industriale) ma
non ha uno straccio di certezza economica sulla quale puntare se non quelle
derivate dalla vendita di qualche gioiello di famiglia (posto che di gioiello
RAI Way si può parlare solo a beneficio degli azionisti e degli amministratori
della società quotata di Via Teulada dove, tanto per non dimenticare, il suo AD
Cecatto guadagna il doppio dell’AD di Viale Mazzini che, a sua volta, paga un
canone annuo di circa 200 milioni per un servizio che sul mercato si potrebbe avere
ad un prezzo notevolmente inferiore). La "filosofia" dello sviluppo che sembra emergere è "fare debiti per pagare debiti".
Riportiamo che il nuovo consigliere Davide Di Pietro ha
votato contro alcune parti delle decisioni assunte: il piano di incentivi all’esodo
perché “…avrebbe messo in seria difficoltà aree strategiche dell'Azienda e
avrebbe fornito alibi strumentali per il ricorso ad ulteriori appalti”. Anche
la consigliera Bria ha votato contro.
bloggorai@gmail.com
Nessun commento:
Posta un commento