venerdì 15 dicembre 2023

Un telegramma dal passato presente con futuro a scadenza

 
Evidentemente, il telegramma che ci è giunto ieri pomeriggio da Dubai WRC-23 con il quale ci comunicavano che almeno fino al 2031 il Digitale Terrestre è salvo si è fermato ad Eboli. Nessuno, infatti, ne riporta uno straccio di notizia, una battuta su un giornale nemmeno di sfioro. Come abbiamo scritto: o si tratta di una tecnologia per un Paese di anziani comunque destinata all’estinzione (programmata e rinviata di 8 anni) e, di conseguenza, non merita una riga su un giornale, oppure è di grandissimo interesse ma solo per pochi intimi.

Siamo alquanto propensi a credere buona la prima. Seppure si avviasse e si completasse la transizione al DVB-T2 (e sappiamo quanto ancora lontana e difficoltosa, vedi l’appuntamento misterioso del prossimo 10 gennaio) siamo sempre in un territorio che si riduce sempre più a favore di altre modalità di diffusione e fruizione dei segnali/prodotti audiovisivi. In soldoni: il DVB non è il futuro ma semplicemente un presente in affanno. Dunque, siamo propensi a credere pure che sia buona la seconda lettura: il DVB interessa molto ancora i broadcasters nazionali generalisti e, in particolare, che rimanga tutto così com’è è sempre Mediaset che in questo bacino ha tutto da guadagnare. Un piccolo esempio, tanto per gradire e capire il tempo che cambia: nei giorni scorsi Netflix ha rilasciato per la prima volta alcuni dati che non riguardano gli “ascolti” ma, attenzione, il tempo speso dagli individui davanti alla piattaforma. L’oggetto della competizione non è più lo share ma il tempo che ogni persona spende di fronte o con un device tra le mani. La risorsa “tempo” non si conquista sulle frequenze terrestri ma sulle reti, sulle connessioni in grado di veicolare prodotti più appetibili e commerciabili.

Ieri pomeriggio, nel mentre che il postino recapitava il telegramma, giungevano notizie dal Cda di Viale Mazzini. Leggiamo stralci del comunicato: “…Coerentemente ai profondi cambiamenti dello scenario di riferimento e in linea con il nuovo Contratto di Servizio in fase di formalizzazione, e il Piano di Sostenibilità da approvare, il Piano Industriale delinea un percorso di evoluzione di Rai in “digital media company”. Pausa: Contratto di Servizio ancora da formalizzare? E perché? Sono trascorsi oltre due mesi dalla sua ratifica in Vigilanza e ancora deve essere “formalizzato”?  Poi “digital media company” … gli va proprio di traverso aggiungere “…di Servizio Pubblico”??? Nel nuovo contrato se lo sono dimenticato ma al Cda nessuno vieta di aggiungere questa postilla che non è di poco conto. Andiamo avanti. Leggiamo “…Il Piano recepisce sia le progettualità del Piano Immobiliare recentemente approvato dal Consiglio di Amministrazione, sia la valorizzazione di una quota di minoranza di Rai Way tale comunque da garantire il mantenimento in capo a Rai SpA della maggioranza del capitale sociale”. Non si vuole dire “vendita” della quota di RAI Way e si preferisce “valorizzazione” ma senza aggiungere una riga su cosa concretamente si intende nei tempi, nelle dimensioni e nella modalità. Si parla solo di vendere o di avviare anche il processo di fusione con Ei Towers?

Ma il vero grande e solo problema di questo comunicato e del suo contenuto è a monte: l’Azienda non solo non ha ancora ratificato il nuovo Contratto (all’interno del quale si dovrebbe collocare il Piano Industriale) ma non ha uno straccio di certezza economica sulla quale puntare se non quelle derivate dalla vendita di qualche gioiello di famiglia (posto che di gioiello RAI Way si può parlare solo a beneficio degli azionisti e degli amministratori della società quotata di Via Teulada dove, tanto per non dimenticare, il suo AD Cecatto guadagna il doppio dell’AD di Viale Mazzini che, a sua volta, paga un canone annuo di circa 200 milioni per un servizio che sul mercato si potrebbe avere ad un prezzo notevolmente inferiore). La "filosofia" dello sviluppo che sembra emergere è "fare debiti per pagare debiti".

Riportiamo che il nuovo consigliere Davide Di Pietro ha votato contro alcune parti delle decisioni assunte: il piano di incentivi all’esodo perché “…avrebbe messo in seria difficoltà aree strategiche dell'Azienda e avrebbe fornito alibi strumentali per il ricorso ad ulteriori appalti”. Anche la consigliera Bria ha votato contro.

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