La forma e la sostanza, ciò che è in primo piano e quello che si trova sullo sfondo. Il Grande Timoniere ha scritto un pregevolissimo libretto: “Sulla Contraddizione” dove argomentava sulle sue diverse tipologie. Al netto dell’impianto analitico marxista leninista, si tratta di una riflessione interessante ed utile per comprendere fenomeni complessi. Ognuno di questi, infatti, si presenta con caratteristiche duali e contrapposte: bene e male, freddo caldo, alto basso, pace guerra, amore odio etc. Leggiamo: “La contraddizione è presente nel processo di sviluppo di tutte le cose; essa penetra il processo di sviluppo di ogni cosa dal principio alla fine. É questo il carattere universale e assoluto della contraddizione… Noi dobbiamo prestare attenzione non solo alle particolarità del movimento delle contraddizioni nel processo generale di sviluppo di una cosa, considerate nel loro nesso reciproco e tenendo conto delle condizioni in cui si trova ciascuno dei loro aspetti, ma altresì alle particolarità proprie di ogni fase del processo di sviluppo… Nella questione del carattere particolare della contraddizione vi sono altri due problemi che è necessario analizzare a parte: la contraddizione principale e l’aspetto principale della contraddizione. Nel processo di sviluppo di una cosa complessa esistono numerose contraddizioni, tra cui vi è necessariamente una contraddizione principale; la sua esistenza e il suo sviluppo determinano o influenzano l’esistenza e lo sviluppo delle altre contraddizioni”.
Perché vi abbiamo introdotto questo pistolotto di prima mattina su un tema solo apparentemente lontano da questo Blog? Per due ordini di motivi: il primo è provare a distaccarci dalle beghe di sottobosco della politica quali la vicende Fedez dei giorni scorsi (che, peraltro, è pressoché scomparsa dai radar) e il secondo perché la riflessione sulle contraddizioni ci introduce ad un tema di grande interesse e attualità: il futuro tecnologico del sistema delle telecomunicazioni e, segnatamente, quello audiovisivo. Nonostante che spesso si possa dire che i giornalisti “non leggono e non studiano” (come piace sostenere a qualche giovane dirigente Rai), lo scorso mercoledì La Repubblica, con la firma di Claudio Tito, ha riportato una notizia importante: il progetto di rete unica si può chiudere nel cassetto. La notizia si riferisce a quanto “scoperto” leggendo attentamente il PNRR dove, a pag. 97 e 98, si legge che gli obiettivi generali per i quali si dovranno spendere 24,3 Mld sono: “Favorire la transizione digitale e l’innovazione del sistema produttivo incentivando gli investimenti in tecnologie avanzate, ricerca e innovazione • Realizzare investimenti per le connessioni ultraveloci in fibra ottica 5G • Rafforzare la partecipazione allo sviluppo dell’economia dello spazio e i sistemi d i osservazione della Terra per il monitoraggio dei territori • Promuovere la sviluppo e la competitività delle imprese italiane anche sui mercati internazionali, anche attraverso strumenti finanziari innovativi” mentre la suddivisione delle 5 aree di investimento sono “Investimento 1: Transizione 4.0 13,97 Investimento 2: Investimenti ad alto contenuto tecnologico 0,75 Investimento 3: Reti ultraveloci 6,31 Investimento 4: Tecnologie satellitari ed economia spaziale 1,29 Investimento 5: Politiche industriali di filiera e internazionalizzazione”.
Come si legge bene: anzitutto si parla di “reti” al plurale e non più al singolare come era prima dell’avvento di Draghi, poi non ci sono tracce di intervento specifico e diretto nel settore della comunicazione audiovisiva. Non c’è nemmeno lentamente traccia di pensiero rivolto al Servizio Pubblico radiotelevisivo. Se non che, l’articolo in oggetto si chiude con una affermazione interessante: “La linea neutrale scelta dal Governo e quella scettica di Bruxelles sulla rete unica, dunque, aprono a questo punto tutto un altro scenario: nessuno può escludere che altri soggetti possano entrare nel settore della banda ultraveloce. Persino quelli, come le grandi emittenti tv del nostro Paese che, fino ad ora se ne erano tenute, per così dire, alla larga”. Già, ma a chi si riferisce? Alla Rai? Uhhhhmmmmm, abbiamo qualche dubbio: sono note infatti le sue difficoltà strutturali legate anzitutto alla presenza di un proprio piano organico, strategico e industriale di presenza in questo campo. Inoltre, è noto che essere in partita su questo terreno implica sostanziosi investimenti che non si sa da dove possano provenire in un’Azienda che ha già di suo un indebitamento consolidato di oltre 500 mln. Quindi, il messaggio non è diretto al Servizio Pubblico, almeno per ora, e il soggetto va ricercato da altra parte. In questa arena ora i competitors in azione appartengono sostanzialmente a due famiglie: quella che guarda gli interessi pubblici, collettivi, e quella che guarda quelli privati, imprenditoriali che, sia detto per inciso, potrebbero anche convivere in un sano e corretto equilibrio. Semplifichiamo: stiamo parlando di TIM, di Mediaset e di Vivendi. Cioè esattamente coloro che, direttamente o indirettamente possono beneficiare o meno di questa scelta operata dal Governo sulla "neutralità della rete" e sul controllo del pubblico sul privato. Non sfugge infatti, la significativa euforia che aleggia dalle parti di Cologno che, a seguito della “pace sociale” raggiunta con Vivendi, consente a Pier Silvio Berlusconi di dichiarare “Dopo cinque anni di stallo, ora Mediaset potrà finalmente iniziare a costruire quella casa pan-europea della televisione che progettiamo da tempo e investire nuove risorse in contenuti e tecnologie”. Messaggio forte e chiaro e chi vuole capire capisce perfettamente di cosa stiamo parlando.
Se poi vogliamo chiudere, almeno per ora, il cerchio, segnaliamo un articolo di Andrea Secchi su Italia Oggi con il titolo “Nuova Tv in stallo ma c’è il piano B”. come abbiamo scritto tante volte, a settembre prenderà avvio la prima fase operativa della transizione al DVB-T2 e c’è viva e fondata preoccupazione che tutto il processo sia in drammatico (e colpevole) ritardo. Al momento dello spegnimento delle frequenze, infatti, ci potrebbero essere milioni, milioni, di telespettatori che corrono il rischio di trovarsi lo schermo nero e magari, a quel punto essere indotti a “migrare” verso un altro tipo di tv: quella connessa in rete e non quella diffusa via etere. Ecco allora tornare il ragionamento sulla contraddizione di cui sopra: si pone un problema di variante primaria e uno di subordinata. La prima si riferisce al terreno della tecnologie, la seconda riguarda quello degli ordinamenti. Riteniamo, con fondati motivi, che in questo momento il Governo Draghi possa, legittimamente, avere più a “cuore” la prima che non la seconda. Tradotto, la riforma della Governance Rai, in questo momento, non gli passa manco lontanamente dalla testa. La posta in palio è di ben altra consistenza.
Oggi pomeriggio, un gruppo di autorevoli e stimati amici, ha proposto un dibattito su questo tema. Osserviamo, ancora una volta, che fintanto ci si occupa della coda dei problemi e non della testa e, peraltro in forma di “quattro amici al bar” difficile andare da qualche parte.
Chiudiamo proponendo quanto ci scrive un attento e affezionato lettore che sul problema Fedez/Primo Maggio: “Il punto è: perché mai la RAI non debba o non possa produrre in proprio, spettacoli del tipo in argomento ? Si spieghi ai cittadini che pagano il canone per il servizio pubblico, dove e perché sta l' impedimento. Ci sono norme che lo proibiscono? RAI non ha risorse tecniche ed umane per farlo? Ci sono costi minori nell' appaltare a terzi? Insomma: Fatece capi' 'n pochetto pure a noi che cacciamo li soldi (obligatori) per l'abbonamento”. Queste domande rappresentano la sintesi perfetta della crisi Rai. Domande, temiamo, alle quali nessuno può rispondere. Purtroppo.
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ps: si capisce ora perché sosteniamo con vigore l'ipotesi che il prossimo AD Rai debba essere autonomo, esperto su questi temi e immediatamente operativo???
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