venerdì 11 ottobre 2019

le regole del gioco


Nei giorni scorsi la Commissione Parlamentare di Vigilanza Rai ha approvato all’unanimità una risoluzione su “Princìpi di indirizzo e linee guida sull'utilizzo dei social media da parte dei dipendenti e collaboratori della RAI”. Da osservare che questa iniziativa era stata frontalmente osteggiata sia dall’AD Salini sia dall’Usigrai che la riteneva una invasione di campo in quanto andava a regolamentare un ambito di stretta competenza aziendale. Evidentemente, i parlamentari non sono stati dello stesso avviso e, tutti insieme, hanno ritenuto che invece il tema fosse di loro competenza. Cosa sta a significare? Cosa non ha funzionato nei delicati meccanismi di mediazione che solitamente intervengono in questi casi? Per saperne di più e leggere il documento:

Da ricordare che in Vigilanza si deve completare l’iter di audizioni per il definitivo via libera del Piano industriale recentemente bollinato dal Mise. Il suo parere non ha un rilievo specifico per la validazione però sarà difficile non tener conto delle osservazioni che potrebbero venire formulate. Inoltre, mentre per il piano Industriale non è previsto un vincolo, lo è invece per quanto riguarda l’informazione (art.25,e): “un piano di riorganizzazione che può prevedere anche la ridefinizione del numero delle testate giornalistiche nonché la riprogettazione e il rafforzamento dell’offerta informativa sul web;”. Di tutto questo,al momento, non se ne parla. Anzi, non si parla proprio di nulla … Qualche giorno addietro, un autorevole dirigente Rai ci confidava: “qui sembrano tutti remare contro corrente”. Il riferimento era ai gruppi di lavoro che dovrebbero essere attivati sotto il coordinamento del Trasformation Officer (!!!) dei quali si fatica a sapere qualcosa.

Invece, sappiamo molto su un aspetto importante che riteniamo essere la gomma bucata del Piano industriale: le risorse economiche. Tanto per avere idea di quanto sia necessario per affrontare i problemi del mercato è sufficiente leggere due articoli di Italia Oggi di ieri e di questa mattina. Nel primo si leggono  cifre interessanti: a fronte di investimenti per miliadi di euro degli altri operatori (Sky Comcast, ad esempio, Rai per circa 13 mila dipendenti sostiene un costo di stipendi per circa un miliardo di euro mentre i costi operativi sono di circa 2 miliardi. Mediaset ha 3500 dipendenti che gli costano circa 400 milioni e costi operativi per meno di 2 miliardi. Nel secondo articolo si leggono invece le cifre dell’andamento della raccolta pubblicitaria per gli otto mesi 2019: complessiva del settore media a -5,9% e specifico per la tv a -6,4%.
Anche questa è una emergenza. Con quali risorse il Servizio pubblico potrà affrontare la competizione e come potrà sostenere gli impegni previsti dal Contratto di servizio e dal Piano Industriale?

Per la cronaca: nei giorni scorsi si è svolto un incontro promosso dal Centro Sperimentale di Cinematografia alla Casa del Cinema sul tema “Netflix e oltre”. Si è svolto un dibattito di grande interesse sulle caratteristiche, sulle dinamiche e sulle prospettive della diffusione streaming dei film, sul ruolo degli OTT. Superfluo ricordare come il broadband sia  il campo di battaglia più arduo per il futuro del Servizio pubblico, non solo nello specifico settore cinematografico.  Sufficiente pensare alle produzioni seriali come pure di specifici prodotti cinematografici destinati sia al grande schermo sia alla diffusione in streaming. Si tratta di “merce” costosa, che richiede capitali rilevanti, cioè esattamente quello di cui Rai non dispone. Ma non solo di questo si tratta: in ballo ci sono crisi di idee, di progetti, di linguaggi, di interlocuzione con un pubblico  in rapido mutamento generazionale. Il segno di questa distanza tra Rai e il resto del mondo? Per la cronaca: a questo appuntamento non c’era nessuno di Rai.
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