domenica 27 ottobre 2019

Miccia corta ...

...giù la testa ...
La prendiamo da lontano. Questo blog e´ iniziato all’indomani del primo Governo Conte, quando in applicazione della legge del 2015 si doveva procedere alla nomina di 4 consiglieri di amministrazione Rai da parte del Parlamento. Il sottoscritto ha presentato la propria candidature, senza alcuna speranza e velleità. Da allora, decine di migliaia di visualizzazioni hanno documentato un anno di Rai. Non lo nascondiamo: abbiamo sperato molto nel cambiamento, nonostante riteniamo la legge che ha istituito questo CdA fosse quanto di peggio si possa augurare per il futuro della Rai. Dopo più di un  anno non solo questo cambiamento non è avvenuto, non solo la tanto auspicata trasparenza non si è verificata, ma a nostro modesto parere, la situazione complessivamente e peggiorata e non promette nulla di buono.

Durante questo anno è avvenuto un fatto centrale: è stato approvato il Piano Industriale, con i voti contrari di Laganà e Borioni. Abbiamo subito scritto che lo ritenevamo e lo riteniamo tuttora  sbagliato perché incerte le risorse e inadeguato a garantire una prospettiva di sviluppo del Servizio Pubblico. Il suo perno, la cosiddetta ristrutturazione verticale, era forse una buona idea 20 anni addietro.  Ora non più.

Fatto sta che si e innescato un meccanismo perverso tra ruolo dell’AD, sistema di governance e Piano industriale che comincia a mostrare tutta la sua intrinseca fragilità. Una possibile controprova e’ quanto successo nei giorni scorsi. Mercoledì 23 si e’ svolto il Cda. A quanto sembra, in quella sede, è venuta fuori la notizia che era stato affidata ad una società di consulenza esterna, la cosiddetta messa a terra del Piano Industriale. Attenzione: la stesura del Piano, firmato Boston  e’ costata oltre 1 milione di euro, e la nuova consulenza, per la durata di 18 mesi,  potrebbe costare forse di più. Attenzione: nel frattempo e stato nominato un direttore generale non previsto dalla nuova legge e, anzi, abolito dalla stessa, ed è stato istituito un Trasformation Manager con il preciso compito di applicare il piano in Azienda. La domanda più semplice è: ma non si poteva avviare questo processo con le risorse interne? Era proprio necessario spendere altri soldi? La domanda è semplice ma le possibili risposte sono complesse. 

Una possibile risposta si può ricercare nei complessi rapporti tra AD e dirigenza Rai. Non sono pochi a pensare che sono molti a remare contro il Piano, a non crederci e dunque ostacolare o, nel migliore dei casi, fare resistenza passiva. Attenzione: questo Piano avrà  una scadenza come lo yughurtino nel frigo, al pari con quella dell’AD e dei suoi collaboratori che se ne andranno mentre i dirigenti resteranno. Dov’è lo stupore? Se la stessa Azienda manifesta in modo evidente di non essere in grado, di non avere le risorse interne per applicarlo, per quale dannato motivo i dipendenti, i dirigenti, dovrebbero crederci e sostenerlo? Ma, forse, il tema non è tanto crederci o meno ma avere fiducia nelle persone o meno. Si tratta di altro discorso ed è lo stesso discorso avvertito tante volte quando a Viale Mazzini vengono paracadutate persone che fino a poche settimane prima di Servizio Pubblico, di coesione sociale, di cultura nazionale ne sapevano quanto il due di coppe quando regna denari. Allora il problema è molto semplice: o l’AD crede nel suo Piano e nelle persone in grado di farlo applicare oppure non ci crede e deve chiedere l’aiuto (costoso) del VII cavalleria. Laddove invece ritiene di non fidarsi delle persone, della capacità delle strutture che dovrebbero avviare questo processo ha un solo strumento: il licenziamento oppure, a scelta, le dimissioni.

Questa storia è una brutta storia: alimenta la miccia corta di un Servizio Pubblico che annaspa, che non sa dove dirigersi, che spera nell’ennesima riforma della governance per uscire dalla palude. Forse potrebbe non essere sufficiente.  

bloggorai@gmail.com

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