sabato 5 ottobre 2019

Indietro tutta


La notizia del giorno è la “bollinatura” da parte del Mise del Piano Industriale e il conseguente entusiasmo che trapela del VII ed altri piani di Viale Mazzini. 

Nel merito, di come e di quanto possa incidere positivamente per la salute, per il bene, del Servizio Pubblico ne abbiamo parlato a lungo e ne parleremo ancora. Abbiamo scritto che questo piano appare come un’automobile con le ruote bucate e lo sterzo fuori registro. Abbiamo scritto pure che è figlio di una Legge sbagliata perché affida tutto il controllo dell’Azienda al Governo.

Della firma del Piano si possono fare due semplici letture: la prima è tutta “tecnica” (per quanto si possa sostenere che la “tecnica” si neutra) e la seconda tutta politica.

Iniziamo dalla prima. Mettiamo in ordine: il Piano è un atto dovuto e imposto dal Contratto di servizio che ne fissa gli orientamenti e determina le linee guida. Il piano è rimasto fermo per molti mesi al Ministero in attesa della verifica di “congruenza e conformità” appunto con quanto espresso dal Contratto. Quindi, la convalida del Piano, in un certo senso, è un atto dovuto salvo dover rilevare divergenze e difformità di grande rilievo da doverlo rispedire al mittente. Certamente, per quanto siano rilevanti le osservazioni che si possono fare, non è ragionevole sostenere che potevano sussistere i presupposti per il completo rigetto. Mentre, al contrario, è ragionevole sostenere che evidenzia una “architettura” di dubbia efficacia perché tutta indirizzata sulla tecnicalità della ristrutturazione verticale ritenuta come unica soluzione per affrontare il complesso sistema delle sfide tecnologiche, di prodotti e di mercato mentre, al contrario, non pone nella dovuta rilevanza il tema della coesione sociale del Paese al quale il Servizio Pubblico ha l'obbligo di guardar in via prioritaria. In sintesi: tutto l’entusiasmo per questa firma appare, a dir poco, leggermente esagerato e forse anche fuori luogo oltre che fuori tempo. Detto questo: complimenti all’artefice di questo risultato che non era affatto scontato, per i motivi che ora vedremo per la seconda parte, la lettura politica.

Mettiamo in ordine alcuni passaggi: l’8 agosto cade il Governo Conte e, di li a poco, si forma una nuova maggioranza e, di li a poco, una costola del PD, Renzi, si stacca e forma un nuovo partito. Come abbiamo scritto in un post che ha avuto un larghissimo numero di contatti (il calendario della crisi) in testa agli impegni del nuovo Governo ci sono le nomine nelle società partecipate e, a seguire, nelle autorità di controllo e garanzia (Privacy, AgCom e ANAC). Su questo terreno si giocano le grandi partite e, francamente, quella di Viale Mazzini e del suo Piano industriale  non è certo la più rilevante. Per restare nel nostro campo, la partita AGCon diventa il cuore del problema. Chi sarà il nuovo presidente destinato a succedere a Cardani? Girano tre nomi: Giacomelli, Sassano e Zeno Zencovic. Il PD sostiene frontalmente il primo e, per giungere a questo risultato, vanno giù con il lanciafiamme. La cronologia di questi giorni ci porta alla notizia dell’incontro tra Zingaretti (segretario di partito e non esponente di Governo) e Salini e, di lì a poco, il Piano è firmato. Da ricordare che proprio tre giorni fa il solito Dagospia dava la notizia dell’accordo raggiunto tra M5S e PD per i nomi AgCom e Privacy. Nel frattempo, si mette di mezzo il prode Anzaldi, renziano di ferro, che minaccia tuoni e fulmini per bloccare il Piano. Ma, appunto, Anzaldi è renziano di ferro, e notoriamente Zingaretti, pur di tagliare l’erba sotto il prato della Leopolda manderebbe al pascolo pure le giraffe e gli ippopotami. Se qualcuno avesse dato minimamente credito ad Anzaldi avrebbe, in altre parole, lasciato in mano a IV una miccia innescata su tutte le scelte del Governo che nessuno della triade Conte, Zingaretti e Di Maio, ha intenzione di lasciare nelle mani del giovane toscano.

C’è però un filino di ragionamento in più: Giacomelli non solo è toscano (ce ne faremo una ragione) ma appartiene al DNA dei giovani leoni tipico dei vari mattei che sul servizio pubblico hanno idee molto precise e dettagliate che non sembrano certo ispirate al buon futuro della Rai. PUNTO. Pur non essendo noi di provata fede matematica siamo indotti a pensare che 2+2 fa 4 e dunque fare i complimenti a Repubblica che ha riportato la notizia dell’incontro Salini Zingaretti e scoperchiato ancora una volta, se mai fosse ancora necessario, il coperchio del calderone puzzolente del rapporto ambiguo, nefasto e deleterio tra politica e Rai e alla “gole profonde” di Viale Mazzini che da diversi giorni avevano fatto diffondere la notizia della prossima firma.

In ultimo, ci hanno fatto osservare, che dietro la velocità con cui il ministro Patuanelli ha voluto dar una mano a Salini cela un altro problemino: l’assegnazione della delega alle TLC che pure riveste un peso non irrilevante nella ripartizione delle sfere di potere e influenza. Interessante.

Sintesi: c’è poco da stare allegri, se la logica è quella del patto nefasto che sottende la firma del Piano cìè solo da accendere qualche moccolotto per fare gli auguri alla Rai. Da notare: il Messaggero di oggi, a firma Mario Ajello, riporta virgolettati anonimi di fonti Rai e usa termini e verbi condizionali che non lasciano pensare a sonni tranquilli. Vedremo …vedremo … i giochi non sono finiti ieri … anzi potrebbero solo essere l’inizio di un nuovo girone dagli esiti del tutto incerti.

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