Questi i piani di battaglia
della prossima campagna d’autunno.
1.
Il canone.
Checché se ne dica, questa è la battaglia centrale e da tempo si stanno
preparando le scaramucce. Per quanto noto, al momento, nessuno ha scoperto le
carte e si annaspa nel buio. Per paradosso, per la RAI ve benissimo così. Meglio
rimanere con questo sistema, piuttosto che avventurarsi verso nuove forme di
riscossione tutte ancora da definire. L’intemerata uscita di Giorgetti sul
proposito di riscuotere il canone attraverso le SIM appare più come una balla d’agosto
che un proposito percorribile. Certo è che qualcosa potrà essere deciso ed è
verosimile supporre che potrà avvenire solo il prossimo anno.
2.
Il nuovo Contratto
di Servizio. Con la ripresa delle attività parlamentari la Vigilanza RAI
proseguirà con le audizioni. A giugno qualcuno (Sergio) aveva immaginato che questo
passaggio si sarebbe concluso entro il 30 settembre. C’è da augurarsi vivamente
che non avvenga. Non c’è stato alcun dibattito pubblico, nessun confronto sulla
bozza resa nota ai primi di luglio. Lo abbiamo già scritto e lo ribadiamo chiaramente:
è un pessimo Contratto nella sua architettura e in molti suoi passaggi
essenziali. Non ultimo sul tema del “giornalismo d’inchiesta” scomparso nel
nuovo testo. Il parere “obbligatorio ma non vincolante” sarà decisivo per
comprendere se, come e quanto la “politica” sarà in grado di “vigilare” sul
futuro della RAI.
3.
Rai Way.
Ogni anno, dalla sua quotazione, ad agosto, torna in ballo il tema della cessione
di ulteriori quote di proprietà della quotata di Via Teulada. Potrebbe essere la volta buona con il Governo
Meloni? Forse che si o forse che no: dipende dalla partita più complessa in
corso in casa TIM e in quella Mediaset. Il Ministro Urso ha ribadito solo che
siamo al punto di partenza: tutelare la presenza pubblica nella ipotetica nuova
società delle torri. Ha scritto a giugno il Sole “Secondo quanto riportato da
indiscrezioni di stampa, infatti, il nuovo a.d. di Rai Way, Roberto Cecatto,
avrebbe riaperto il dossier, riprendendo
«i contatti con gli stakeholder per dare vita al gigante delle antenne Tv,
un'operazione che avrebbe già il via libera del governo Meloni» e che in
passato «si era fermata proprio per l'avvicendamento a Palazzo Chigi e il
conseguente cambio di governance di Rai e Rai Way». Da ricordare che il dossier
si era incagliato anche su n passaggio centrale: il controllo societario: gli
interessati, a suo tempo, fecero sapere che non saltavano dalla gioia per
essere in minoranza in un Cda a controllo pubblico.
4.
Il nuovo
Cda. La scomparsa si Riccardo Laganà ha aperto un fronte molto delicato: i
nuovi equilibri interni e la geometria variabile necessaria ad affrontare le
prossime decisioni strategiche (vedi post precedenti). Non sarà facile, non
sarà immediato il processo di nomina del nuovo consigliere rappresentante dei
dipendenti. Dipende tutto dal capire a chi giova (o chi danneggia) esporsi in
una campagna elettorale interna dagli esiti molto, molto incerti.
5.
Riforma RAI.
Lo scorso 2 agosto son state “ripresentate” (ne senso che erano già note da
anni) due proposte di legge di riforma della Governance RAI (ne abbiamo già
scritto in Post precedenti). Quella più bizzarra è del PD perché, per quanto
scritto da Repubblica, non sarebbe una nuova proposta (che abbiamo verificato:
non esiste!) ma una versione delle
proposte della precedente legislatura. Leggete questi due titoli e dategli una
data: “La riforma Rai targata Pd. Serve
il modello BBC per fermare la lottizzazione" … “Modello
BBC per la governance Rai: occasione storica per Pd e M5S”. Alla fine del post
la risposta. Quello che potrebbe avvenire invece saranno ii cosiddetti “stati
generali” proposti sia dal M5S che da Fratelli d’Italia. Tutti insieme appassionatamente? Dubbi sono non solo leciti ma doverosi. Però, laicamente, non si butta nulla… purché
si dibatta. Vedremo. Per la cronaca: Gasparri dixit "No riforma, ne ora ne mai" e aggiungiamo noi "basta la sua".
6.
Informazione.
Il Tg1 ha cambiato pelle: l’impaginazione del giornale ha cominciato a seguire
traiettorie editoriali “fantasiose” dove la cronaca regna sovrana. Hai voglia a
protestare: in Cda il suo direttore Chiocci è stato approvato a maggioranza di “Governo”:
tre si, tre no e Di Majo astenuto. Saranno gli ascolti a decidere il suo
futuro. La Maggioni prima di lui ha già seminato la crisi di dispersione dei
telespettatori: leggiamo su La Stampa di marzo scorso “Il Tg1 perde oltre mezzo milione di spettatori, più del doppio del Tg5.
«Una disaffezione dimostrata dal valore della permanenza, valore inferiore a
quello del Tg5 e in diminuzione da un anno all’altro, mentre sul Tg5 la
permanenza è in aumento. In quanto allo share il Tg1 è l'unico dei telegiornali
della sera a perdere più di un punto di share (-1,2 punti) e il Tg5 è l’unico a
guadagnarne (+0,2 punti). Con queste scelte ed impaginazioni il Tg1 della sera
è persino riuscito ad invecchiare ancora il proprio pubblico che ha adesso
un’età media di 65 anni contro i 63 delle prime settimane del 2022». I dati sono di Studio Frasi.
7.
Ascolti. Appunto: gli ascolti RAI da tempo sono in
sofferenza. Mediaset tallona su tutti i fronti. Italia Oggi del 18 agosto ha
scritto sui dati di luglio: “Mediaset
batte la RAI, cresce in tutte le fasce di ascolto”. L’erosione sembra
costante e nessun è in grado di dire se e quali potranno essere i segnali per
una possibile controtendenza.
Basta, potrebbe non esserci più posto sul portellone del
frigorifero.
Ps: il primo titolo è
di Repubblica dello scorso 2 agosto, il secondo è dell’HuffingtonPost del
maggio 2020 a firma Michele Anzaldi.
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