Quasi a nessuno viene in mente che il Servizio Pubblico
Radiotelevisivo dovrebbe essere
considerata una infrastruttura di interesse strategico nazionale? Quasi a
nessuno viene in mente di ribadire e sostenere che alla Rai si riferiscono
precisi compiti e doveri in grado di accompagnare lo sviluppo sociale culturale
del Paese? Quasi a nessuno viene in mente di progettare un futuro dove l'informazione,
la formazione e l’intrattenimento possano e debbano essere i pilastri della
vita collettiva?
Questo è quanto si percepisce in questi giorni dove tutte le
notizie si riferiscono ad un tema, la rete unica, dove la Rai, il Servizio Pubblico, è del tutto assente. E' assente “di persona” perché i suoi dirigenti
non partecipano, non sono invitati, non figurano nell’elenco degli interlocutori,
ed è assente “in streaming” vuoi perché non hanno nulla dire o vuoi perché in epoca di incertezza magari è
meglio tacere. Da ricordare sempre che negli ultimi mesi sono usciti da Rai numerosi
dirigenti con notevole esperienza e competenza in materia e non si sa bene come
e da chi sono stati rimpiazzati.
Comunque, vedi il mancato invito agli Stati generali del
giugno scorso, vedi la loro assenza agli incontri al Mise sul tema rete unica e
banda larga (dove pure ha partecipato Sky), vedi il silenzio tombale su questi
argomenti. Come se la più rilevante innovazione tecnologica del sistema delle telecomunicazioni
di questo Paese non riguardasse Viale Mazzini. Oggi una prova ulteriore: leggiamo
su Repubblica AF con la firma di Giovanni Pons “Le quattro spine del governo: le
partite industriali Alitalia, Autostrade, Ilva e la rete TLC”. Nella partita
delle reti di TLC la Rai dovrebbe entrarci eccome, salvo dover ammettere che il
Servizio Pubblico radiotelevisivo non fa parte del sistema delle TLC il ché
appare palesemente inverosimile. Eppure è così: più o meno tutti, compresi
gli amministratori di Viale Mazzini, come si dice a Roma “dormono da piedi” e,
almeno per quanto sappiamo (poco) non risultano segnali di fumo.
Da leggere con
attenzione un interessante articolo di Sergio Rizzo sempre su Repubblica AF
di oggi: “Quella privatizzazione
sbagliata il peccato originale della rete TLC” che aiuta molto a capire la
logica e la dinamica del tema rete unica in Italia. Sullo sfondo c’è sempre lo
stesso argomento: l’interesse privato in atto pubblico. Anche ora come allora
quando venne avviata la funesta strada delle privatizzazioni degli asset
strategici del Paese (Governo Prodi) non si tenne sufficiente conto della
convenienza e della rilevanza ad un maggiore ruolo e controllo dello Stato in
settori fondamentali dell’economia nazionale e, di fatto, si crearono dei “mostri”
i cui effetti negativi sono tuttora pagati dai contribuenti.
Quando è la finanza che
governa l’economia qualcosa puzza di bruciato e questa operazione TIM-CdP non
riesce a far percepire un profumo di convenienza pubblica. I finanzieri francesi
di Vivendi e ora gli americani di KkR hanno bene in mente un solo e specifico
obiettivo: massimizzare gli investimenti e produrre utili agli azionisti. Punto.
Si tratta ora di vedere se questo punto combacia con gli interessi della collettività
oppure no. Ieri il solito prode Michele Anzaldi del PD ha messo il dito nella piaga (forse il
solo): “Intorno alla questione rete unica a dispetto di veline e accordi dati
per fatti, c’è invece grande fumosità, grande incertezza e un’ampia dose di
opacità. Perché il Parlamento non apre subito una discussione trasparente … Restano
ancora oscuri i contorni del presunto accordo tra Tim e Cdp, ma soprattutto
resta oscura quale sarebbe la convenienza per i cittadini. A fronte di altri
esborsi pubblici, non c’è alcuna certezza su tempi di realizzazione della fibra
in tutta Italia, costi, tariffe … Mentre verrebbe stoppata l’operazione
pubblica Open Fiber, che sta portando la fibra nelle case dopo un lungo lavoro
di autorizzazioni, bandi, ricerca delle risorse. Non si sa quando e come
dovrebbe partire la nuova operazione e in quali tempi. Non si sa come possa
essere davvero indipendente una rete dove la maggioranza resterebbe a Tim, come
la scelta dell’amministratore delegato. Non si sa che fine farebbe il grande
investimento di questi anni di Open Fiber che ha permesso di cablare finora 9
milioni di unità immobiliari raggiungendo quasi il 50% dell’obiettivo
complessivo di 20 milioni di case”.
Come noto siamo alla vigilia di grandi appuntamenti elettorali
con i referendum e le elezioni regionali ed è verosimile che questo dibattito,
questa apparente proposta di accordo sia il frutto avvelenato di questo clima e quando si tratterà di
passare alle fasi operative le carte in tavola possano cambiare. Nell’intervista
a La Stampa di domenica scorsa Franco Bassanini lo ha ribadito: “La rete unica
spingerà gli investimenti Ma è fondamentale che sia indipendente” ed è del tutto evidente che fintanto che TIM ribadisce con Gubitosi che vogliono il controllo
della nuova società, questa indipendenza non sarà affatto garantita. Ricordate
l’operazione Rai Way del 2014? Ricordate i protagonisti in campo e i temi in discussione?
Ricordate come è andata a finire? Chi ci ha guadagnato e chi ci ha rimesso?
Non è necessario essere particolarmente esperti di
dietrologie o appassionati di complottismo per scorgere disegni e prospettive
nemmeno poi tanto occulte: tenere la Rai nelle retrovie conviene a molti.
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