L’accenno che abbiamo fatto ieri al testo pubblicato da Mario
Morcellini sul tema del Coronavirus ci consente di estendere la riflessione su
un argomento correlato che già abbiamo trattato spesso e volentieri. Riteniamo utile tenerlo aperto.
Una pandemia potrebbe essere anzitutto un fenomeno sociale che
evidenzia rilevanti aspetti clinici. La componente sociale è complessa e si
estende oltre i confini temporali e spaziali di quella clinica che, come la
scienza per fortuna ci insegna, può essere affrontata e, speriamo presto,
risolta o con un approccio farmacologico o con un vaccino oppure perché, semplicemente,
il virus perderà la sua carica aggressiva e si muterà in altra forma meno
pericolosa.
Succede invece che i risvolti sociali, economici e culturali che
impattano sulla vita delle persone possano essere più gravi e persistenti. Riportiamo
i dati Istat al 30 luglio: “Nell’arco di un anno calano in misura consistente
le persone in cerca di lavoro (-11,5%, pari a -286mila unità), mentre aumentano
gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+6,8%, pari a +899mila)… a giugno il tasso
di disoccupazione in Italia risale all'8,8%, +0,6 punti rispetto a maggio. Sono
più di 149 mila le persone in cerca di lavoro, soprattutto uomini. Rispetto
alla fase pre-covid, sono stati persi 600 mila occupati, le persone in cerca di
lavoro sono diminuite di 160 mila, a fronte di un aumento di inattivi di oltre
700 mila unità. In un anno si conta la perdita di 752 mila occupati, unica
eccezione gli over 50 (+102 mila). Per quanto riguarda i giovani, a giugno la
disoccupazione aumenta al 27,6%, +1,9 punti rispetto al mese precedente”.
Sappiamo
poco o nulla invece su quanto e come l’isolamento e il “distanziamento sociale”
possa avere determinato danni, di quale tipo e di quale entità, sulle relazioni
sociali, sui rapporti tra individui nella sfera personale e in quella
collettiva. Non sappiamo pressoché nulla, ad esempio, su cosa possa essere
successo nella mente dei minori che improvvisamente si sono trovati di fronte
ad un mondo teso, duro, drammatico, costellato di visioni terrorifiche e minacciose.
Le immagini della televisione che hanno accompagnato i momenti più forti del lock
down erano infarcite di ambulanze, di bare, di ospedali con persone intubate e
accompagnate da commenti audio non meno aggressivi. Verranno presto rimosse dalla loro memoria oppure resterà un "timbro" indelebile nella loro formazione sociale?
Ecco allora che entriamo nel cuore di una riflessione che
interessa direttamente il Servizio Pubblico Radiotelevisivo. Come e in quali
direzioni la Rai intende rivolgersi per affrontare questa nuova “emergenza”
sociale che già si intravvede all’orizzonte? Basti pensare solo alla prossima
riapertura delle scuole. A luglio scorso il Cda ha varato la nuova Direzione
Rai per il sociale. Tardi, troppo tardi e comunque si è trattato di un atto dovuto, un obbligo imposto dal Contratto
di Servizio, non una gentile concessione. Ora si tratta di lavorare e definire
bene il percorso che si intende avviare.
Come ci ha proposto un nostro lettore “la televisione è ciò
che mostra”. Tutto il resto è accessorio, correlato subordinato. Dalle immagini che
corrono sullo schermo relative al complesso dell’offerta editoriale della Rai da
che parte si deve cominciare a vedere, tangibilmente, questa diversa attenzione
per il sociale?
Siamo nel pieno della pausa estiva quando, per fortuna, le
persone passano meno tempo in casa di fronte ad uno schermo ma presto si dovrà
ricominciare. All’orizzonte si intravvedono nubi molto minacciose. Anzitutto, come abbiamo scritto, sul fronte dei conti che già per l’anno in corso
presentano un buco vistoso destinato ad
allargarsi nei prossimi anni. Collegato a questo fronte ci sarà un fronte istituzionale
con promesse di intervento sul tema canone. Poi ci sarà un fronte editoriale,
legato indirettamente a quello della pubblicità destinata a calare, con
programmi e progetti che inevitabilmente risentiranno della crisi. E così via. Il
tema del sociale potrebbe essere la sola ancora di “salvezza” per il futuro del
Servizio Pubblico Radiotelevisivo. Forse, solo e in quanto la Rai sarà capace di
intercettare e partecipare ai grandi mutamenti sociali e culturali che stanno
interessando non solo il nostro Paese, potrà trovare una sua giustificazione,
una sua ragion d’essere verso i cittadini che pagano il canone.
La partita
sulla tecnologia sulla quale pure la Rai dovrebbe essere obbligatoriamente impegnata
(transizione al DVB-T2) la vede silente; la partita sulla rete la vede assente;
la partita sul Piano industriale è stata sospesa dall’arbitro in attesa che a gennaio possa ricominciare il
campionato per la sua scadenza naturale e, a seguire, dell’attuale Cda. Infine,
la partita istituzionale, sulle nuove regole del sistema delle TLC, che pure è nel programma di Governo, non è
nemmeno iniziata formalmente mentre, sostanzialmente, è in piano svolgimento
tra CdP, Tim, Open Fiber e compagnia cantando.
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