domenica 9 agosto 2020

La Rai e la pandemia sociale


L’accenno che abbiamo fatto ieri al testo pubblicato da Mario Morcellini sul tema del Coronavirus ci consente di estendere la riflessione su un argomento correlato che già abbiamo trattato spesso e volentieri. Riteniamo utile tenerlo aperto.

Una pandemia potrebbe essere anzitutto un fenomeno sociale che evidenzia rilevanti aspetti clinici. La componente sociale è complessa e si estende oltre i confini temporali e spaziali di quella clinica che, come la scienza per fortuna ci insegna, può essere affrontata e, speriamo presto, risolta o con un approccio farmacologico o con un vaccino oppure perché, semplicemente, il virus perderà la sua carica aggressiva e si muterà in altra forma meno pericolosa. 

Succede invece che i risvolti sociali, economici e culturali che impattano sulla vita delle persone possano essere più gravi e persistenti. Riportiamo i dati Istat al 30 luglio: “Nell’arco di un anno calano in misura consistente le persone in cerca di lavoro (-11,5%, pari a -286mila unità), mentre aumentano gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+6,8%, pari a +899mila)… a giugno il tasso di disoccupazione in Italia risale all'8,8%, +0,6 punti rispetto a maggio. Sono più di 149 mila le persone in cerca di lavoro, soprattutto uomini. Rispetto alla fase pre-covid, sono stati persi 600 mila occupati, le persone in cerca di lavoro sono diminuite di 160 mila, a fronte di un aumento di inattivi di oltre 700 mila unità. In un anno si conta la perdita di 752 mila occupati, unica eccezione gli over 50 (+102 mila). Per quanto riguarda i giovani, a giugno la disoccupazione aumenta al 27,6%, +1,9 punti rispetto al mese precedente”. 

Sappiamo poco o nulla invece su quanto e come l’isolamento e il “distanziamento sociale” possa avere determinato danni, di quale tipo e di quale entità, sulle relazioni sociali, sui rapporti tra individui nella sfera personale e in quella collettiva. Non sappiamo pressoché nulla, ad esempio, su cosa possa essere successo nella mente dei minori che improvvisamente si sono trovati di fronte ad un mondo teso, duro, drammatico, costellato di visioni terrorifiche e minacciose. Le immagini della televisione che hanno accompagnato i momenti più forti del lock down erano infarcite di ambulanze, di bare, di ospedali con persone intubate e accompagnate da commenti audio non meno aggressivi. Verranno presto rimosse dalla loro memoria oppure resterà un "timbro" indelebile nella loro formazione sociale?

Ecco allora che entriamo nel cuore di una riflessione che interessa direttamente il Servizio Pubblico Radiotelevisivo. Come e in quali direzioni la Rai intende rivolgersi per affrontare questa nuova “emergenza” sociale che già si intravvede all’orizzonte? Basti pensare solo alla prossima riapertura delle scuole. A luglio scorso il Cda ha varato la nuova Direzione Rai per il sociale. Tardi, troppo tardi e comunque si è trattato di un atto dovuto, un obbligo imposto dal Contratto di Servizio, non una gentile concessione. Ora si tratta di lavorare e definire bene il percorso che si intende avviare.
Come ci ha proposto un nostro lettore “la televisione è ciò che mostra”. Tutto il resto è accessorio, correlato subordinato. Dalle immagini che corrono sullo schermo relative al complesso dell’offerta editoriale della Rai da che parte si deve cominciare a vedere, tangibilmente, questa diversa attenzione per il sociale?

Siamo nel pieno della pausa estiva quando, per fortuna, le persone passano meno tempo in casa di fronte ad uno schermo ma presto si dovrà ricominciare. All’orizzonte si intravvedono nubi molto minacciose. Anzitutto, come abbiamo scritto, sul fronte dei conti che già per l’anno in corso presentano un  buco vistoso destinato ad allargarsi nei prossimi anni. Collegato a questo fronte ci sarà un fronte istituzionale con promesse di intervento sul tema canone. Poi ci sarà un fronte editoriale, legato indirettamente a quello della pubblicità destinata a calare, con programmi e progetti che inevitabilmente risentiranno della crisi. E così via. Il tema del sociale potrebbe essere la sola ancora di “salvezza” per il futuro del Servizio Pubblico Radiotelevisivo. Forse, solo e in quanto la Rai sarà capace di intercettare e partecipare ai grandi mutamenti sociali e culturali che stanno interessando non solo il nostro Paese, potrà trovare una sua giustificazione, una sua ragion d’essere verso i cittadini che pagano il canone. 

La partita sulla tecnologia sulla quale pure la Rai dovrebbe essere obbligatoriamente impegnata (transizione al DVB-T2) la vede silente; la partita sulla rete la vede assente; la partita sul Piano industriale è stata sospesa dall’arbitro in  attesa che a gennaio possa ricominciare il campionato per la sua scadenza naturale e, a seguire, dell’attuale Cda. Infine, la partita istituzionale, sulle nuove regole del sistema delle TLC,  che pure è nel programma di Governo, non è nemmeno iniziata formalmente mentre, sostanzialmente, è in piano svolgimento tra CdP, Tim, Open Fiber e compagnia cantando.

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