Oggi mettetevi comodi: ci sono diversi argomenti da
trattare.
Nei giorni scorsi Mario Draghi è intervenuto al Meeting di
Rimini con un discorso importante (https://www.meetingrimini.org/incertezza-e-responsabilita-lintervento-di-mario-draghi-al-41-meeting/
). Le parole più usate sono state: giovani,
incertezza e società. Non entriamo nel merito della lettura politica, che pure
sarebbe assai interessante per “pesare” l’operato dell’attuale Governo non tanto
e non solo per quanto ha fatto finora ma soprattutto per quanto e per come è in
grado di disegnare le prospettive del Paese, con o senza Covid. Non parliamo poi
dei brividi che alcuni candidabili alla corse per il Quirinale hanno provato
nella consapevolezza della loro palese inadeguatezza. Ci limitiamo a fare un
semplice esercizio di sovrapposizione delle sue riflessioni con il Servizio
Pubblico e il vertice Rai in questo momento. “la pandemia diffonde incertezza,
penalizza l’occupazione e paralizza gli investimenti e l’occupazione” sostiene
Draghi che aggiunge “…dalla politica economica ci si aspetta che non aggiunga
incertezza ...altrimenti finiremo per esserne controllati anziché controllarla”.
E poi ancora “…le nostre società vivono sullo scambio, sulla comunicazione, e
sulla condivisione …La pandemia ha severamente provato la coesione sociale…”.
Infine, una riflessione sulle qualità indispensabili per coloro che sono in
posizioni di potere: la conoscenza, il coraggio e l’umiltà.
Bene, provate ora a grigliare questi pensieri sui due anni
trascorsi da quando questo Cda Rai si è insediato a Viale Mazzini e tiratene
qualche somma. Poi si capisce perché, a quanto sembra, sulle testate Rai, il
discorso di Draghi non ha ricevuto l’attenzione che forse meritava.
Oggi di interessante c’è la solita corposa intervista a
Luigi Gubitosi a firma della solita Sara Bennewitz su Repubblica che,
evidentemente, è molto interessata a seguire il personaggio e le sorti di Tim. Gubitosi
fa il duro: “Tim farà la rete unica per l'Italia e ne avrà il controllo". Intanto
ricordiamo che Tim ha come socio di maggioranza i francesi di Vivendi con il 23,6%
(e il 28,8 di Mediaset) e poi ricordiamo che sulla partita rete in fibra c’è in
ballo CdP e Open Fiber controllate dallo Stato. Le logiche, le prospettive sullo sviluppo della
rete e sui profitti che ne deriveranno sono indubbiamente diverse e la partita
sul controllo sarà vitale.
Un passo indietro. Per una volta, e speriamo solo per una
volta, contravveniamo ad una legge del giornalismo che sottoscriviamo: una
smentita è una notizia data due volte. Ma quando ce vò...ce vò !!! Torniamo per
poco sulla lettera di risposta di Laganà all’editoriale di Libero Quotidiano
dove si leggeva, a firma Iuri Maria Prado, che “…quelli che lavorano sono
pochi, e si dissanguano per mantenere i troppi che non lavorano… gli occupati
in Italia in realtà non sono dieci ma venti milioni e rotti… occupati, va bene
(cioè stipendiati), ma lavorano? sono inoppugnabilmente "occupati"
gli undicimila dipendenti della Rai, che indubbiamente appartengono ai venti
milioni di cui sopra: e non vorrai mica dirmi che questi undicimila non si
guadagnano fino all'ultimo centesimo i novecento milioni di euro che gli
paghiamo. ...le generazioni di parassiti (solitamente l'accesso allo status è
dinastico)”. Questo stesso autore dell’articolo, ieri ha scritto, sul
Riformista (???) che “La cultura di Mani pulite, la brutalità proterva dei suoi
modi e la buia temperie che li festeggiava, furono e rimangono la vergogna
della Repubblica”. Nulla da aggiungere. Punto. Ieri abbiamo sollevato il
problema che a rispondere non doveva essere solo il consigliere Laganà, che ha
fatto bene, ma tutto il vertice Rai messo insieme (al quale ci saremmo
associati in quanto chi vi scrive ha fatto parte della categoria fino a non
molto tempo addietro). Oggi torniamo sull’argomento per evidenziare un clima,
un linguaggio, un tono già conosciuto e sentito altre volte contro la Rai e il
Servizio pubblico che nel migliore dei casi si manifesta contro il canone e
trova pure concordi qualche personaggidi governo. Un livore, un astio e un
risentimento che si faticherebbe a trovare anche contro il mostro di
Dusseldorf. Non è cosa nuova e quindi è anche giusto interrogarsi perché, in
alcune aree grigie dell’opinione pubblica nazionale, il Servizio Pubblico
radiotelevisivo e chi ci lavora siano percepiti come “parassiti”. Forse Salini
può provare a fornire una risposta.
Ora veniamo ad un tema sollevato nei giorni scorsi sul
Contratto di Servizio e sul come e quanto la Rai onora gli impegni che esso
prevede. Un nostro affezionato lettore ci ha scritto: “Il CdS è soddisfatto al
95% a livelli accettabilissimi. Sul 5% effettivamente si deve discutere e
incalzare”. Con un po’ di buona volontà si potrebbe fare un esercizio di
contabilità ragionata su quanto e su cosa la Rai adempie o meno agli obblighi
previsti (ne ricordiamo uno tra i tanti: la comunicazione sulla transizione al
DVB-T2) e magari si potrebbe anche scoprire che ha ragione il nostro lettore.
Ma il tema che poniamo in discussione è l’adesione totale, senza limiti o
deroghe (appunto) allo spirito del Cds che, a nostro modesto parere, non sembra
essere raccolto. Avete presente quando a
tavola si presenta un vassoio colmo di succose ciliegie e c’è sempre il
furbetto che cerca quelle più mature, più polpose? Ecco, il Cds non si dovrebbe
utilizzare in questo modo e spacciare come grande conquista quando si realizza
un obbligo, peraltro adempiuto con notevole ritardo o, peggio ancora, non si
realizza affatto. Tanto per capirci: art. 7, “d) rendere operativa la
risoluzione approvata dalla Commissione di vigilanza in materia di conflitti di
interesse degli agenti di spettacolo” oppure il canale istituzionale e quello
inglese, oppure art. 25 “… piano di riorganizzazione che può prevedere anche la
ridefinizione del numero delle testate giornalistiche …” e via elencando senza
dimenticare anzitutto il Piano Industriale congelato e poi la pubblicità etc
etc etc… Saremo grati al nostro lettore se ci aiuta a risalire al suo 95% di
soddisfazione.
Infine, un altro nostro lettore ci ha inviato il fascicolo
distribuito in occasione della recente presentazione dei palinsesti (https://www.rai.it/dl/doc/1594887415888_NewsRai%20-%20Palinsesti%2016%20luglio%202020_compressed.pdf
) invitandoci a proporre cosa “ci piace”.
Potremmo anche dire che ci piace tutto, ma non è in discussione se un
prodotto piace più o meno di un altro. In discussione c’è semplicemente la
proposizione di linguaggi, modelli, stili di vita e contenuti che un palinsesto
riassume nella sua complessità. Riproponiamo la domanda ancora una volta:
questo palinsesto, questi prodotti, rispondono alle mutate dimensioni del
Paese, della società italiana? Abbiamo fatto ieri un riferimento alla
composizione sociale degli italiani: quanti personaggi delle fiction
appartengono alle diverse nazionalità e culture che compongono il Paese? Avete
mai visto in azione un commissario di origini senegalesi o una carabiniera nata
in Romania? Oppure alla conduzione di Uno Mattina un* giornalista di origino
marocchine? Forse la memoria non ci aiuta, ma non ci sembra.
Nessun commento:
Posta un commento