domenica 31 maggio 2020

Il Nonno, la Paura e la televisione


“Nonno, quando finirà questa brutta cosa del Coronavirus, quando tonerò a scuola, quando ci toglieremo le mascherine?” Risponde il Nonno: “Quando lo dirà la televisione!!!”. Dialogo surreale ma nemmeno poi tanto. Già… domani inizierà una specie di “libera tutti” ma questo non significa che sarà finita e non sono pochi coloro che già hanno la mano sulla pistola con la minaccia che “presto il  Covid  tornerà” oppure “dobbiamo  abituarci a convivere con il Cornonavirus e con la distanza sociale”.

Ma come sono finite le grandi pandemie nella storia? Vediamo come si conclude Cecità di Josè Saramago: “… perchè siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscere la ragione, Vuoi che ti dica una cosa penso, Parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono …”. Poi leggiamo La Peste di Albert Camus: “Ascoltando, infatti i gridi di allegria che salivano dalla città, Rieux ricordava che quell’allegrria era sempre minacciata: lui sapeva quello che ignorava la folla, e che si può leggere nei libri, ossia che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decine d’anni addormentato nei mobili e nella biancheria…e che forse verrebbe giorno in cui, sventura e insegnamento degli uomini, la peste avrebbe svegliato i suoi sorci per mandarli a morire in una città felice”. Poi, Gabriel Garcia Marquez ne L’amore ai tempi del colera: “ Il capitano guardò Fermina Daza e vide sulle sue ciglia i primi bagliori di una brina invernale. Poi guardò Florrentino Ariza, il suo dominio invincibile, il suo amore impavido, e lo spaventò il suo sospetto tardivo che è la vita, più che la morte, a non avere limiti. «E fin quando crede che possiamo proseguire questo andirivieni del cazzo? » gli domandò. Florrentino Riza aveva la riposta pronta da cinquatatrè anni, sette mesi e undici  giorni con le loro notti. «Tutta la vita» disse.”. infine, Alessandro Manzoni con la Storia della colonna infame: “così è avvenuto più volte, che anche le buone ragioni abbian dato aiuto alle cattive, e che, per la forza dell’une e dell’altre, una verità. Dopo aver tardato un bel pezzo a nascere, abbia dovuto rimanere per un altro pezzo nascosta”.

Nei giorni scorsi l’Internazionale ha ripubblicato un articolo del New York Times, con la firma di Gina Kolata, dal titolo “Come e  quando finisce una epidemia” e leggiamo “Gli storici distinguono due momenti conclusivi per le pandemie: la fine sanitaria, quando crollano l’incidenza e la mortalità, e quella sociale, quando sparisce la paura dovuta alla malattia. “Oggi, chiedersi ‘quando finirà tutto questo’ significa essenzialmente domandarsi quando arriverà la conclusione sociale”, spiega il dottor Jeremy Greene, storico della medicina dell’università Johns Hopkins. In altre parole, può accadere che la fine non arrivi perché l’epidemia è scomparsa, ma perché la popolazione si è stancata di vivere nel panico e ha imparato a convivere con la malattia”.

Conclusione: da quando le pandemie hanno fatto la comparsa nella storia dell’umanità, allo stesso modo con cui si sono diffuse sono poi “scomparse”. La Peste che pure da millenni ha fatto milioni di morti in tutto il mondo non è stata “debellata” da vaccini, mascherine o “distanze sociali”. Il virus tuttora esiste, insieme ad altri non meno violenti e aggressivi: è semplicemente “svanito nel nulla” come quando mancavano del tutto le conoscenze e le competenze tecnologiche e scientifiche di cui oggi disponiamo ampiamente. Ha scritto Susan Murray in un articolo pubblicato dal New England Journal of Medicine: ” Dobbiamo essere pronti a combattere la paura e l’ignoranza con lo stesso impegno con cui combattiamo il virus”, ha scritto Murray, “altrimenti la paura infliggerà danni enormi alle persone più vulnerabili, anche in luoghi dove non viene registrato nemmeno un caso di contagio. Un’epidemia della paura può avere conseguenze terrificanti, soprattutto se abbinata a problematiche legate alla razza, al privilegio e alla lingua”.

A questo punto torniamo agli interrogativi posti dalla nipotina. Chi gestisce la “diffusione” della paura? Attraverso quali meccanismi si diffonde il timore, la preoccupazione, come si forma l’ansia collettiva, l’angoscia esistenziale, come si definisce l’inquietudine? Domande complesse alle quali difficile rispondere e cavarsela sommariamente con qualche battuta sulla responsabilità e sull’uso sociale dei media. A noi è accessibile e rimane solo la coda corta di questi interrogativi: quando finirà? E, per tornare alla nipotina, sarà la televisione a comunicarcelo “ufficialmente” o saranno le persone, ormai esauste e insofferenti che faranno una dichiarazione unilaterale di resa al Coronavirus strappandosi le mascherine dal volto e chiedendo a gran voce di poter tornare ai riti collettivi fondamentali per lo sviluppo della civiltà: dalla Santa Messa allo stadio, dalla spiaggia libera ai banchi di scuola, dai balli in piazza ai mercatini domenicali ? In questo caso, la televisione, non potrà fare altro che riprendere le immagini di impazienza e intolleranza.

Temiamo fortemente che non sarà la “televisione”, non sarà questa televisione a dirci nulla di tutto questo. Questa televisione, tutta intera, pubblica e privata, ci ha solo proposto una parte di questo drammatico racconto, ha dato prontamente forma e corpo ai suoi capitoli visibili attraverso le telecamere,  ma dubitiamo fortemente che sarà in grado di proporci il capitolo finale, le ultime righe, i titoli di coda e, infine,  scrivere la parola “fine”.

bloggorai@gmail.com

ps: ovviamente,oggi non ci sono notizie sul Servizio Pubblico


   

1 commento:

  1. È così. La Vita, la Storia, quella individuale come quella collettiva, macinano e digeeiscono tutto... Perchè a raccontarle sono soltanto i sopravvissuti.
    Buona vita e buona salute, Patrizio ! Si vales bene est, ego valeo.

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