martedì 11 febbraio 2020

L'altra mezza verità

Sarà capitato anche a voi di avere un ospite straniero e di portarlo in visita nella vostra città. Cosa potrebbe impressionarlo di più, cosa ricorderà maggiormente e cosa racconterà al suo rientro? Potrebbe essere il Colosseo o una periferia degradata, le meraviglie dell’arte o le tante disgrazie metropolitane? Colpisce di più il bello o il brutto? Ecco, più o meno in questi termini si potrà continuare a parlare di Sanremo. Di cosa si parlerà nei prossimi anni di questa edizione? Questa mattina, un. nostr. attent. lett. ci scrive: “ … che la Rai abbia fatto un buon Sanremo è un bene … e che la coesione sociale si misura su tutta l’offerta di Servizio Pubblico e non su un singolo prodotto”. Ecco, esattamente la mezza verità di cui abbiamo scritto ieri. Indubbiamente, almeno da un mero aspetto di contabilità finanziaria, la Rai ha fatto bene e non è cosa da poco. Ma rimane il dubbio lecito su come avviene questo processo, attraverso quali meccanismi che non possono essere disgiunti dalla dimensione etica, sociale, dai contenuti, dai simboli, dai linguaggi, che questa manifestazione veicola . Ieri abbiamo scritto (ed ha sollevato tra i nostri lettori un certo dibattito) che non è vero che si sia trattato di un “successo” e lo confermiamo ancor più ora che i dati sono “freddi”.

Anzitutto difficile sostenere che “la metà degli italiani ha visto Sanremo” (Sole 24 Ore) e tantomeno che “Sanremo ha riunito l’Italia” (La Stampa). La prima frase somiglia chi, alle elezioni europee del 2014 disse che “la metà degli italiani sono con me” salvo poi dover rettificare e dire che si tratta del 40% dei poco più del 50% di chi ha votato. Il Festival (leggiamo stamattina su Italia Oggi a firma di Claudio Pezzotta) “ha chiuso a quota 10,1 milioni, un risultato tra i più bassi degli ultimi 16 anni”. I dati auditel di sabato 8 febbraio ci dicono: individui 58 mln, totale emittenti prime time di 25 mln (totale Rai 15 mln), seconda serata 17 mln (totale Rai 12 mln). Difficile sostenere che la “metà degli italiani etc “. E dunque il solo vanto consiste nello share e nei profitti netti, saliti a circa 20 mln. Del primo si può dire, semplificando, che è pura operazione di marketing e di alchimia tecnica e di orologio della scaletta (oltre che della scelta dei personaggi), mentre del secondo si può dire che in un clima di investimenti pubblicitari decrescenti, un appuntamento di tal genere che comunque raccoglie mediamente oltre 10 milioni di persone, giocoforza attrae forte attenzione da parte degli investitori. Farsi bello con le piume degli altri non è un buon esercizio.

Su questi paletti si può aprire il dibattito che da questi giorni interessa molti nostri lettori: cosa è e come di dovrebbe misurare la “coesione sociale” che il Servizio Pubblico è obbligata a sostenere. Non è una facoltà opinabile o a discrezione di tizio o caio, è un vincolo di legge, un dovere costituzionale. Proponiamo un passo avanti. Secondo coloro che sostengono le tesi “numerologiche” e quindi elaborano complessi meccanismi di rilevazione dell’indice, il fatto stesso che un determinato numero distribuito equamente in tutti i comparti della popolazione televisiva in un determinato arco di tempo,  contribuisce ad evidenziare “coesione sociale”. Leggiamo  e semplifichiamo in questa tesi: quante più persone sono “connesse” di fronte alla televisione tanto più sono “accumunate” da valori condivisi. Quali poi siano questi “valori” e come essi siano esattamente corrispondenti a quelli realmente diffusi, percepiti e condivisi nel Paese, non è dato sapere. Come pure, non è dato sapere quali sono gli strumenti attraverso i quali vengono rilevati e pesati. Tanto per entrare in un ambito dove la “coesione” appare poco efficiente: la politica e, non a caso proprio la Rai è sotto “processo” da parte AgCom proprio per non agevolare la “coesione politica” attraverso l’uso distorto dell’informazione politica.  Un interessante articolo pubblicato nello scorso novembre a firma Angelo Zaccone Teodosi su Key4biz, affrontava esattamente il modo “in sordina” con il quale la Rai gestisce questo tema e si riportava in allegato un documento ufficiale con qualche nota interessante elaborato dall’Osservatorio di Pavia. Si legge nel documento almeno un punto fermo: “Coesione Sociale intesa come condizione che contraddistingue le collettività nazionali caratterizzate dal riconoscimento di una comune identità storica e culturale, da comuni valori e interessi, dal senso di appartenenza a una stessa comunità, dalla presenza di una rete attiva di relazioni sociali e di mezzi di comunicazione che facilitino la partecipazione di tutti alla vita civile, sociale, politica e culturale”. Ora, l’esercizio che proponiamo ai nostri lettori è porre su una da un lato questo concetto e dall’altro Sanremo per poi trarne delle indicazioni.

Infine, per rimanere nella zona nobile, segnaliamo la lettura di un articolo sul Foglio di oggi “La lotta per l'audience nell'era della polarizzazione” firmato da Ezra Klein. Riprendiamo una frase importante: “"Non si può capire l'informazione senza capire le forze finanziarie e di audience che la regolano, e che sono cambiate drasticamente" … “La polarizzazione politica è uno dei mali più lamentati e discussi dell'epoca contemporanea. I messaggi politici sottolineano ed esasperano ciò che separa le persone, mentre tendono a nascondere ciò che unisce, nella convinzione che la tensione, il contrasto permanente, sia la strategia più efficace per la mobilitazione e gestione del consenso. L'ecosistema che abitiamo è fatto di tribù, bolle, insiemi chiusi, identità contrapposte, fazioni che ascoltano solo ciò che vogliono sentire e leader che offrono solo ciò che conforta il proprio uditorio ben profilato”.

Ora scendiamo nella bassa cucina. I nostri lettori (quelli interni a Viale Mazzini), spero potranno comprendere il velo di silenzio imbarazzante che abbiamo steso sulle vicende che interessano i trenini viaggianti nella riviera ligure. Come pure le polemiche sulla gestione della comunicazione (vedi pure i nomi dei vincitori usciti prima della comunicazione ufficiale). Lasciamo perdere anche se … un dettaglio però merita attenzione: la storia del ricorso della direttora di RaiUno, Teresa De Santis, che richiede giustizia a fronte di un presunto illecito avvenuto con la sua rimozione dalla rete pochi giorni prima dell’inizio del “suo”festival.  A ben vedere, il perché di tale rimozione non è mai stato sufficientemente chiarito: la sola crisi degli ascolti non era addebitabile solo a lei. Rimane il problema che abbiamo sollevato tante volte: promozioni e rimozioni non sembrano seguire logiche trasparenti. Questo è il problema che ha riguardato lei e riguarderà le prossime nomine.
bloggorai@gmail.com

3 commenti:

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