giovedì 30 gennaio 2020

Dolori in Europa, guai in Italia


La visita a Roma lo scorso settembre di Sir Tony Hall, CEO della BBC, ha preannunciato venti di guerra, non solo per l’emittente britannica di Servizio Pubblico. Ieri pomeriggio, ore 16.00, sul sito della BBC è comparsa una dichiarazione: “BBC News taglierà circa 450 posti di lavoro nell'ambito di un risparmio di £ 80 milioni”. Ha dichiarato capo della BBC News Fran Unsworth “La BBC deve affrontare il modo in cui il pubblico sta cambiando… Dobbiamo rimodellare la BBC News per il prossimo decennio in un modo che consenta di risparmiare notevoli quantità di denaro. Stiamo spendendo troppe risorse per la trasmissione lineare tradizionale e non abbastanza per il digitale".

Abbiamo già scritto nei giorni scorsi a proposito della crisi che attraversa il Servizio Pubblico britannico, sia nella dimensione di mercato, sia nella dimensione politica, aggravata ulteriormente con l’attuale Governo di Boris Johnson che ha esplicitamente dichiarato di volere rivedere alcuni pilastri fondamentali dell’assetto economico e normativo della BBC, a partire dal canone obbligatorio. Sul piano editoriale, da tempo gli inglesi hanno avviato una profonda riflessione sul ruolo e sui compiti del  Servizio Pubblico nel contesto di una trasformazione sociale e tecnologica che allontana e divide sempre più i suoi telespettatori.

Da osservare che pure dall’altra parte del Canale le cose non vanno in modo tanto diverso: i primi giorni di gennaio abbiamo riportato la notizia dello spegnimento di due canali da parte di France Telé (France 4 destinata ai ragazzi e France Ô destinata alle ex colonie) con l’obiettivo di conseguire risparmi da destinare agli investimenti sul digitale. Anche i francesi sono alle prese con problemi analoghi sia per la parte economica (riduzione della pubblicità e aumenti dei costi) sia con le nuove dimensioni di mercato (Netflix in crescita costante fino a diventare il quinto canale nazionale). Infine, da alcuni anni, sono anche loro alle prese con il dibattito su una riforma dell’intero sistema audiovisivo nazionale.

A farla breve: in Europa il tema del futuro del Servizio Pubblico è avviato con soluzioni ancora incerte e molto problematiche. Da noi invece, siamo ancora a carissimo amico e proprio dalla politica non giungono segnali. Il famoso punto 14 del programma di Governo (L’Italia ha bisogno di una seria legge sul conflitto di interessi e di una riforma del sistema radiotelevisivo improntato alla tutela dell’indipendenza e del pluralismo. Più in generale, il Governo porrà in essere politiche di promozione del pluralismo dell’informazione”) è rimasto nel cassetto e nessuno ne ha notizia. Non parliamo poi del Piano Industriale Rai e degli adempimenti previsti dal Contratto di Servizio  e vedi solo l’art.  25.i che prevede “un piano di riorganizzazione che può prevedere anche la ridefinizione del numero delle testate giornalistiche nonché la riprogettazione e il rafforzamento dell’offerta informativa sul web”.

Per non dire del silenzio sulla prossima elezione del Consiglio AgCom del quale non si sa nulla sul possibile accordo politico. E poi qualcuno sostiene che la Rai sia in difficoltà … vorrei ben vedere !!!

Posto poi che le difficoltà laddove potrebbero non esserci qualcuno se le va a cercare e magari le trova pure. Nei giorni scorsi abbiamo scritto dell’enfasi su Ricchi e Poveri a Sanremo (notiziona !!!) Ieri abbiamo letto che il nuovo direttore di Rai Uno ha il sogno nel cassetto di portare Raffaella Carrà sulla prima rete e magari in prima serata.  Speriamo solo che sia solo un suo sogno … magari avrà mangiato cinghiale la sera prima … Però la dice lunga su cosa ha in mente qualcuno a Viale Mazzini sull’offerta editoriale del servizio Pubblico che non perde occasione di rivolgersi più all’usato sicuro che al nuovo promettente.
Del resto, il silenzio dei Tartari è sempre più forte … oggi Cda … già si sente il clamore!!!

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