Come era facilmente immaginabile, dall’Est nulla di nuovo: ieri in Parlamento non c’è stato lo strappo/sfratto per il Governo Conte. Per un verso un bene (pandemia in corso, rischio di elezioni, vittoria delle destre etc) per altro verso questo Governo e proprio su questa crisi non sembra avere le idee del tutto chiare sul futuro del Paese (sul piano sanitario vedi piano pandemico inesistente da anni, vedi piano vaccini incerto e confuso etc). Tutto il resto “giù pe li rami” fino ad arrivare al fuscello della Rai che si deve accontentare dei titoli favorevoli di ieri sulla prima della Scala.
Noterelle. Non sapremo mai quanti telespettatori si sono sintonizzati oppure quanti biglietti sarebbero stati venduti ieri sera con la prima in tv del film “L’incredibile storia dell’isola delle rose” di Sidney Sibilia (reduce dal successo di “Smetto quando voglio”). Netflix infatti non è “misurata” dall’Auditel e quindi non sarà mai possibile fare un confronto con altri prodotti televisivi o periodi di riferimento. Sappiamo solo con certezza che aumenta il numero dei suoi abbonati come pure aumenta (notizia di ieri) il numero dei clienti Tim Vision, arrivati ad oltre due milioni (con la direzione di Andrea Fabiano, ex direttore di RaiUno, del quale quasi nessuno a Viale Mazzini e dintorni ricorda più nemmeno il nome mentre ancora qualcuno si risente dell’uscita dell’Andreatta da Rai Fiction). Il film è stato gradevole, una commedia leggera e divertente, tratto da una storia vera accaduta in Italia alla fine degli anni ’60. Cosa ci induce a riflettere questa proposta televisiva? Almeno due considerazioni. La prima è che lo streaming tv consolida passo dopo passo la sua natura alternativa alla televisione lineare. Abitua, educa il pubblico ad un'altra modalità di visione, appunto, non lineare: vedo quando, dove e come voglio il contenuto che preferisco che posso scegliere in un menù molto vasto e diversificato per vari generi. Si tratta di un menù sempre più competitivo con quello della televisione generalista free. La seconda è che riafferma il principio secondo cui “content is the King” (vi proponiamo di rileggere il testo di Bill Gates del ’96 https://medium.com/@HeathEvans/content-is-king-essay-by-bill-gates-1996-df74552f80d9 ) che termina con “Coloro che avranno successo promuoveranno Internet come un mercato di idee, esperienze e prodotti, un mercato di contenuti ".
Dunque, la competizione nel mercato globale dell’audiovisivo (sottolineato globale) si definisce esattamente all’interno del perimetro dove si trovano le risorse, le tecnologie e la regolamentazione giuridica nazionale e, segnatamente, europea. Si tratta esattamente del triangolo delle Bermude dove si perde il senso del Servizio Pubblico che non possiede risorse economiche certe e sufficienti a garantirsi un futuro; perché di conseguenza non riesce a stare al passo delle nuove tecnologie necessarie per competere e, infine, perché gravato da un quadro regolamentare vecchio, inadeguato e insufficiente.
Il pensiero che si sta consolidando è bene sintetizzato in questa affermazione di Claudio Plazzotta di Italia Oggi comparsa lo scorso 10 dicembre e riferita alla nscita della “piattaforma della cultura” sostenuta dal Ministro Franceschini: “Certo, qualcuno ha sollevato l'obiezione che una iniziativa di questo genere potesse essere sviluppata dalla Rai, servizio pubblico già generosamente finanziato coi soldi dei contribuenti. Tuttavia Rai sembra avere scopi diversi, e mancare di quel know how, di quella velocità decisionale e di quella piattaforma tecnologica in grado di sviluppare una offerta di mercato con approccio imprenditoriale e olistico. Viale Mazzini, inoltre, per sua natura, sarebbe sottoposta a una serie di processi macchinosi, nel suo operare, ai quali invece Chili si potrà tranquillamente sottrarre”.
Qualcuno mente sapendo di mentire: gli scopi della Rai potrebbero essere esattamente gli stessi di quanti si propongono di diffondere arte e cultura ad un più vasto pubblico possibile attraverso tutti i mezzi; Rai possiede (o potrebbe possedere senza grande sforzo e senza ricorrere a costose gare di appalto) tutto il know how tecnologico; ci potrebbero essere risorse interne sufficienti per sviluppare una offerta di mercato con “approccio imprenditoriale e olistico”. Cosa gli manca? Gli manca l’agilità, la tempestività e la progettualità di movimento. Gli manca un quadro regolamentare dove, a partire dalla sua governance, si possa avere certezza di quali debbano/possano esseri suoi obiettivi, quale debba/possa essere la sua missione.
Da tempo si dibatte sul tema relativo al concetto di Servizio Pubblico. Appare un argomento stantio, che potrebbe interessare al più raffinati e colti studiosi ed esperti mentre, di fatto, appare superato da circostanze sociali e di mercato che lo stanno definendo non solo concettualmente nello stato delle cose. Eppure è proprio necessario ripartire da questo punto elementare e fondamentale, altrimenti non si capisce più se sia da Servizio Pubblico trasmettere la prima della Scala o meno, come pure investire ingenti risorse per acquistare i diritti di partite di calcio di Seria A o comprare “contenuti” pregiati e di interesse per il pubblico della televisione generalista.
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