Anche questa mattina siamo “costretti” a tornare sulla questione della “tv della cultura a pagamento” (ci siamo stufati di regalare attenzione al noto brand campione dello streaming) anche perché Repubblica gli dedica una bella paginata. La regala sia ai proprietari della NewCo che dovrebbe vendere in streaming Tv i “gioielli di famiglia” dell’arte, della musica, dello spettacolo italiano, sia al Ministro che di questa iniziativa si è fatto portatore sano. Peraltro, questo quotidiano si colloca in buona compagnia di quanti in Rai non fanno altro che citarla di dritto o di rovescio, aggratissss!
L’iniziativa del “canale della cultura con ambizioni europee” si presenta in modo complesso. Anzitutto riportiamo una piccola genesi interna a Viale Mazzini, della quale si sa poco e quel poco che si sa è coperto da un velo di polvere. Correva l’anno 2014 ed era in carica il famigerato Governo Renzi che alla Rai ha lasciato un doppio sfregio tuttora insanato: il prelievo forzoso di 15 milioni, preludio alla vendita di una parte di Rai Way, e la Legge sulla nuova governance Rai (applicazione della nota teoria di “un uomo solo al comando” a sua immagine e somiglianza). Non solo, a quel tempo, c’era tutto il solito sfregolio di cingoli di quanti facevano salti mortali pur di essere vicini o percepiti come “in quota a Matteo”. Da rileggere il pezzo sul Messaggero del marzo 2015 dove si racconta dei rapporti “dinamici” per usare un eufemismo tra Luigi Gubitosi, ex DG Rai, e il presidente del Consiglio in carica che si vantava di “non aver mai incontrato quel signore”. In quello stesso periodo Valerio Zingarelli occupava la carica di CTO di Viale Mazzini con un peso inizialmente rilevante, poi progressivamente scemato. Dettagli. Fu proprio in quel periodo e per mano di questi due signori, e dei loro più stretti collaboratori, ora felicemente piazzati in ben altre e più lucrose attività, che venne fuori l’idea di lanciarsi nell’avventura di una piattaforma pay e magari proprio con un accordo con Chili Tv, poi naufragata per molteplici motivi (politici, economici e tecnologici).
Dunque, l’idea di estendere i confini della distribuzione di prodotti audiovisivi pregiati, sia da un punto di vista della redditività sia da quello della qualità, non nasce con Franceschini. Il problema è capire perché il Ministro non abbia voluto mantenere questa idea entro il perimetro del Servizio Pubblico e si sia rivolto invece al “mercato” (come abbiamo scritto nei giorni scorsi). Per estendere la riflessione, l’interrogativo corretto è: perché la cultura deve essere messa in vendita “un tanto al chilo” come da modello industriale della nuova società? Già, perché la logica sarebbe: “un programma sul MaxiArte tre euro, se però compri tre concerti alla Scala paghi solo 10 euro e ti mandiamo pure i pop corn a casa con Amazon”. Magari si può aggiungere un Virtual Tour a Pompei sottotitolato in varie lingue (tanto per fare felice il nuovo canale in inglese che prima o poi la Rai dovrà pure fare).
Allora, riepiloghiamo: la Rai non ha il grande sport (calcio, automobilismo etc) perché non se lo può permettere, non ha il grande cinema perché non ne parliamo proprio, non ha i grandi documentari perché ci si può permettere al massimo Alberto Angela intorno al Colosseo mentre la BBC può pagare settimane di lavoro di una troupe che aspetta sotto un baobab che una scimmietta faccia pipì e così via. Se gli togli pure la cultura di “serie A” gli rimane solo il festival delle fisarmoniche, un pregiato filmato sulla raccolta del riso in bassa padana e le riprese “live streming” di una cucciolata di falchetti sui tetti di Milano. Va benissimo, ci mancherebbe. Certo, poi rimane “Ballando sotto le stelle”, la 28a replica di Montalbano, il prossimo Sanremo con allegato conflitto di interessi degli agenti artistici ma questo, si sà, interessa un pubblico tendenzialmente sempre più “adulto”.
Avete in mente il Jenga, quel giochetto di origine africana che in lingua swahili significa "costruisci" ? il gioco consiste nel togliere un pezzo alla volta finche la torre crolla a causa dell’ultimo pezzo sottratto dalla costruzione. Ecco, per la Rai, per il Servizio Pubblico, sembra di assistere esattamente ad un gioco del genere però al contrario, cioè "sottrai e distruggi". Lo abbiamo scritto e lo ripetiamo: non passa giorno senza che da una o da un’altra parte non si assiste ad una progressiva e inesorabile erosione del suo ruolo e della sua missione. Una volta si attacca il canone, la volta successiva la pubblicità, poi gli ascolti, poi i vari scaldaletti di varia natura e così via. Il tutto finalizzati ad irrobustire quella corrente di pensiero, il “mood”, dove alloggia il Paradigma dello Streming dove in questo momento guarda caso, siedono ora, le stesse persone che hanno fatto fortuna in Rai. Qualcuno ricorda prima ancora della Andretta chi è emigrato da Viale Mazini: un certo Andrea Fabiano.
Riepilogando: la cultura in tv c’è e ci deve essere in tutte le sue forme e declinazioni, su tutte le piattaforme e per tutte le fasce di pubblico. La Rai già possiede e potrebbe rafforzare la sua offerta editoriale in tutto il suo perimetro, lineare e non lineare, in Italia e verso l’estero. Lo può (lo potrebbe) fare anche senza la morsa delle inserzioni pubblicitarie che ne possono condizionare le caratteristiche. Se questo non avviene è solo e semplicemente perché così conviene, perché “Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare". Leggiamo sempre su Repubblica di oggi: “In quei giorni Franceschini chiama l'Amministratore delegato della Rai Fabrizio Salini che reagisce con entusiasmo («idea bellissima»); il primo giugno il Mibact formalizza alla Rai la richiesta di prendere parte al progetto chiedendo la partecipazione della direttrice di Rai Cultura Silvia Calandrelli che viene accordata. Ma poi la Rai frena per due ragioni: la prima è che Rai Play, che sarebbe la piattaforma ideale, non ha (ancora) un sistema per monetizzare gli eventi, è tutta gratuita; la seconda, è che la Rai trasmette solo gli eventi che produce”. Tutto torna e, come abbiamo scritto, lentamente e inesorabilmente, le tessere del mosaico vanno al loro posto.
Ora, concludiamo, con chi ce la prendiamo? Con il Ministro e le sue fervide idee di "Mercato europeo della cultura” oppure con chi a Viale Mazzini non è, o non vuole essere o non è messo in grado di proporre e realizzare progetti di tale spessore? Difficile rispondere: nei tribunali, quando non si sa bene a chi attribuire la responsabilità di un misfatto si usa la formula “concorso di colpa”.
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