Tranquilli! Oggi in Parlamento non succederà nulla: gli squilli di tromba che annunciavano crisi e sconquassi si sono ridotti a flebili rumorini di pancia. I crociati si sono rivelati criceti e forse è meglio cosi. Tutto questo per due buoni motivi: uno nobile e l’altro meno. Il primo si riferisce alla necessità di evitare una crisi di governo in un momento drammatico come quello che siamo vivendo, con il rischio probabile che lo sbocco fossero le elezioni dove le destre potrebbero avere la meglio e con l’orizzonte del prossimo Presidente della Repubblica eletto da Salvini &Co. Il secondo buon motivo, universale, è che tutti hanno famiglia e, come noto, in suo nome, si possono mandare giù anche bocconi amari. Ce li vedete voi molti parlamentari che segano l’albero della cuccagna dove sono seduti? Difficile. C’è solo il rischio di qualche impuntatura del partitino del 2% di Renzi, ma si sa anche questo, ci si può accordare.
Andiamo avanti e torniamo sul tema concerto della Scala andato in onda su Rai Uno lunedì scorso e, tanto per intenderci subito, poniamo più interrogativi che esclamativi, non abbiamo risposte facile o formule pronte da proporre. La prima domanda, semplice semplice, è: quel tipo di spettacolo offerto è da Servizio Pubblico? Qualora lo fosse, perché relegarlo al pomeriggio e non in prima serata per renderlo ancora più evidente e diffuso ad una platea più vasta? Oggi i titoli sulla stampa sono pressoché unanimi: gli ascolti premiano l’Opera… l’Italia s’è desta… la lirica divide la critica ma piace al pubblico della tv... la scommessa è vinta con oltre 2,6 mln di telespettatori etc etc… Nulla di nuovo. È successo spesso e volentieri che quando il piccolo schermo, gratis, offrisse qualcosa di interessante e diverso rispetto al solito ci fosse un’attenzione apparentemente inconsueta. Gli esperti di analisi degli ascolti hanno buon gioco nel sezionare puntigliosamente le fasce di età, la collocazione geografica, la condizione socio economica etc. ma faticano ad affrontare un dubbio eterno: il Servizio Pubblico, o la Rai se preferite, deve essere lepre o volpe nel suo ruolo di formatore, educatore e intrattenitore del tempo televisivo degli italiani? Deve inseguire i gusti, le tendenze, le preferenze, i nuovi linguaggi e comportamenti che giorno per giorno si modificano nelle arterie e nelle vene sociali dei cittadini oppure deve anticiparli/accompagnarli o intervenire per “modificarli” qualora si manifestassero nelle forme e nei modi peggiori (incitamenti alla violenza, alle discriminazioni etc.) ?
Le domande poi scorrono di conseguenza: quali sono i prodotti non “di” Servizio Pubblico ma “da” Servizio Pubblico? Tanto per intenderci e riproporre domande banali e antiche: l’intrattenimento pomeridiano leggero quotidiano Rai/Mediaset è più o meno Servizio Pubblico rispetto all’Opera? Il grande calcio della Champion’s League è da Servizio Pubblico? Evidente come questi interrogativi si possono estendere a tutti i generi televisivi, per tutte le fasce orarie e per tutte le piattaforme attraverso le quali i contenuti possono essere distribuiti. Questo porterebbe a sostenere che i prodotti “di” Servizio Pubblico si trovano in tutti i generi, magari presi un pezzo alla volta?
Si può essere soddisfatti dunque che lunedì pomeriggio il 14% dei telespettatori ha preferito la lirica rispetto ad altri prodotti? Forse si ma con qualche doverosa precisazione. La prima è nel merito del prodotto andato in onda. Ieri abbiamo dedicato oltre due ore a rivederlo attentamente pur non essendo particolarmente appassionati a questo genere di espressione artistica siamo rimasti molto perplessi. Con tutta la simpatia, ma quell’aria da “ballando sotto le stelle” presentata dalla coppia Carlucci/Vespa era forte e tangibile seppure amplificato e “aggraziato” da scene di forte impatto televisivo. I diversi “siparietti” tra un brano e l’altro più o meno moralizzanti appesantivano quello che forse sarebbe voluto essere uno spettacolo leggero che, come noto, non “vorrebbe pensieri”. L’Opera lirica, sostengono gli esperti, è un racconto, una narrazione, una storia con un suo prologo, uno svolgimento e una fine che talvolta sfocia in tragedia. Nel modo in cui ci è stata proposta invece sembrava una specie di Sanremo, oppure “il meglio di …” dove mancava solo il televoto e l’abbinamento con la Lotteria nazionale di Capodanno. Infine, il titolo “… a riveder le stelle” eccellente e tutti sappiamo quanto abbiamo bignogno di uscire da questa buia crisi della pandemia e rivedere la luce del giorno, altro che stelle… e allora, va bene, che sia, ma perché dunque non rivolgere questo sacrosanto appello al più vasto pubblico possibile della prima serata? Magari riducendo la durata eccessiva, oppure proponendo un’Opera completa. Morale della favola: un vorrei ma non posso che ha cercato di accontentare tutti (o tanti) senza soddisfare nessuno perché, comunque, in quella fascia oraria la platea televisiva, non è molto diversa qualitativamente da quella solita in un giorno feriale di pomeriggio invernale mentre era rilevante la differenza quantitativa. Per essere precisi, anche meno: la media di RaiUno dal 1/11 - 6/12 era di 3.179.065 con uno share del 17,5%. Infine, come scrive oggi Aldo Grasso sul Corriere: "sarà questo il modello Netflix della cultura" proposto da Franceschini?
Chi vi scrive, a suo tempo nel 1997, era in Rai ed ha lavorato insieme a coloro che hanno proposto quella scommessa di mandare in onda il Verdi alle 20 al posto del Tg1. Si è trattato di una scommessa coraggiosa che abbiamo condiviso. Giudicare se poi si andata bene o meno a seconda degli indici di ascolto non ci è mai sembrato un metro di valutazione condivisibile. Se la posta in gioco, se i termini delle scommessa sono i telespettatori presi nella loro quantità sarebbe facile fare di meglio e di più. Ma, appunto, è questo il ruolo, la missione del Servizio Pubblico, della Rai? Inseguire gli ascolti? Si tratta di un argomento sul quale c’è molto da lavorare, da discutere, da riflettere. I primi a dover fare questo lavoro sarebbero autorevoli colleghi di Viale Mazzini.
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