venerdì 11 dicembre 2020

Dubbi esistenziali: la crisi di Governo e la Rai

Non abbiamo la sfera di cristallo. Non sappiamo se ci sarà una crisi di governo e quali esiti potrà avere. Il dubbio è lo stesso che abbiamo posto giorni addietro: conviene cambiare subito perché c’è una grave crisi sanitaria in corso che richiede chiarezza di obiettivi e fermezza nel cercare di raggiungerli oppure proprio perché c’è una grave crisi in corso è bene non modificare nulla in attesa che si risolva, magari ritenendo pure che quanto è stato fatto finora è stato tutto giusto e corretto? Bella domanda, difficile risposta.

Questo blog non si occupa di Politica con la P maiuscola ma è evidente che assegna alla politica un ruolo fondamentale nella gestione di quanto invece ci riguarda e interessa particolarmente: il Servizio Pubblico radiotelevisivo e la Rai. Ne consegue che la possibilità o meno che si possa aprire una crisi di governo pone qualche interrogativo di non facile soluzione su quale prospettiva sostenere.

Scenario A: la Baracca regge e tutto rimane come prima, si continua a galleggiare tra una minaccia e un ricatto ma la prospettiva di andare a nuove elezioni non conviene a nessuno. Tutte le partite in corso si trascineranno per le lunghe e, in particolare, quella del punto 14 del programma di governo, la riforma del sistema delle TLC, non avrà alcuna speranza di essere conclusa. Nel migliore dei casi, nel 2021 potrebbe forse vedere la luce la nuova società per la rete unica perché non se ne può fare a meno, si potrebbe scrivere un nuovo Tusmar perché ce lo chiede Bruxelles, si assisterebbe all’avvio problematico della transizione al DVB-T2 e poco più. A Viale Mazzini si dovrà rimettere mano al Piano industriale e cercare di portare a casa qualche modesto risultato e intanto, salvo clamorosi colpi di scena, il Cda dovrà cominciare a preparare i bagagli in vista di giugno quando scadrà il loro mandato.

Scenario B: la Baracca scricchiola, i partiti reggono la tensione, si fa una “verifica” e provano a fare un “rimpasto”. Difficile da gestire e da rendere credibile agli occhi di quanti, tutti, farebbero fatica a comprendere di cosa possa significare tra MES, Recovery Fund e Piano pandemico inesistente. La Baracca non è crollata formalmente ma lo è di fatto. Però, alla fin fine, per le note considerazioni (non conviene, si perderebbero le elezioni e comunque “tutti hanno famiglia”) più o meno tutto rimane come prima. Per la Rai non cambia nulla se non qualche “riallineamento" di Tizio, Caia o Semproni* e comunque si “tira a Campari” fino  giungo. Amen.

Scenario C: la baracca crolla e questa volta si va tutti a casa. Addio sogni di gloria (quale?) e si gioca d’azzardo di brutto. Elezioni anticipate? Difficile credere che qualcuno voglia affrontare uno scenario del genere però “il popolo è sovrano” e “basta con i governi tecnici” che poi tecnici non sono per nulla, anzi, sono fortemente “politicizzati”. Per la Rai potrebbe essere lo scenario peggiore o il migliore, dipende dai punti di vista. Il peggiore perché lascia l’Azienda con il culo per terra, tanto per usare un eufemismo, e mette a serio rischio il suo futuro per i noti problemi di crisi economica in cui versa. Il recente accordo per l’erogazione di una parte dell’extragettito indebitamente sottratto dalle casse di Viale Mazzini potrebbe a malapena essere sufficiente a coprire qualche buco ma non a coprire le possibili voragini e tantomeno consentire spese per investimenti e sviluppo. Lo scenario migliore potrebbe essere quello che vede un cambio di passo rapido, parallelo e contestuale con quello del governo: tutti a casa subito per dotare l’Azienda di un nuovo Cda “relativamente” forte e autorevole, in grado di affrontare a brutto muso la situazione e cercare soluzioni efficaci. Certo. Si tratterebbe di un nuovo Cda ancora espressione della vituperata Legge del 2015 (un uomo solo al comando). In questo scenario il tempo non gioca a favore: alla fine di  giugno inizia il semestre bianco di Mattarella e negli stessi giorni scade il Cda. Sarà necessario sincronizzare gli orologi a seconda di quale partito ne uscirà con le ossa meno rotte dell’altro.

In ogni caso si pone il problema: si farà in tempo? Ci saranno le condizioni per avviare le procedure per un nuovo Cda che si dovrebbe insediare alla fine di luglio? Forse che si, forse che no. L’escamotage, l’exit strategy, è stata già collaudata con la nomina del Consiglio AgCom e funziona perfettamente: il Parlamento rinvia, rimanda, annebbia e sposta in avanti le decisioni. Proroga, deroga, surroga: la musica è la stessa.

Su questi scenari c’è sempre incombente la quarta dimensione: il tempo. Questo fattore non gioca a favore della sopravvivenza e del futuro della Rai (per “un” Servizio Pubblico prossimo venturo ci potrà essere tempo per definirlo in modo diverso da quello che abbiamo conosciuto finora). Abbiamo scritto più volte che il nemico è alle porte e non farà prigionieri: per qualche anno ancora broadcast e broadband potranno convivere ma alla fine non vincerà il più forte ma il più veloce ad adeguarsi al mutamento. Come da sempre è avvenuto. La Rai, purtroppo, non sembra nelle condizioni, almeno economiche, di competere su questo fronte.

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