giovedì 6 dicembre 2018

Eco

"La ripresa diretta non è mai una resa speculare dell'avvenimento che si svolge, ma sempre un'interpretazione di esso". Già solo questa citazione potrebbe giustificare l'acquisto del volume di Umberto Eco - Sulla televisione - scritti 1956-2015. Si tratta di un pensiero che ci riporta, a volte drammaticamente, alla nostra più stretta attualità. In 500 pagine si racchiude la migliore storia della Rai, di quel Servizio Pubblico (con le maiuscole) radiotelevisivo che, forse, oggi, non c'è più. Non solo storia della Rai, ovviamente, ma di tutta la società italiana del dopoguerra, quella riunificata e riappacificata, appunto, con l'educazione attraverso il tubo catodico, quella che è stata omologata sotto lo stesso linguaggio (non lingua), quella che ha visto nascere e crescere costumi e comportamenti collettivi che sarebbero poi divenuti, a loro volta, i fondamenti della nuova società, proprio in coincidenza della neo-televisione, il noto neologismo inventato proprio da Eco nel 1983.

Quella Rai che, forse, non c'è più si coniuga bene al pensiero che, forse, il Servizio Pubblico potrebbe non esserci più o, almeno, potrebbe essere destinato all'estinzione entro breve. Si tratta di un fenomeno culturale (sic !), un orientamento di pensiero talvolta palese, ma più spesso occulto, che sostiene in nome del mercato, che di un Servizio Pubblico universale e generalista, aperto a tutta la società, garante di libertà e democrazia, alla fin fine se ne potrebbe fare anche a meno. Qualcuno ricorda, non molto tempo addietro, le minacce di messa all'asta della Concessione? come pure (attualissima) la minaccia di ridurre o abolire del tutto il canone? 
Quella Rai vissuta e conosciuta da Eco in prima persona (assunto nel 1954), è facile convenire, ha cominciato a non esserci più almeno a partire dalla rottura del monopolio, poi con l'avvento delle tv commerciali e poi ancora con la discesa in campo del Cavaliere e della sua Mediaset. Ma non è solo questo e non è tutto perchè  quei mutamenti hanno avuto  caratteri anzitutto politici e poi economici che, da soli, non avrebbero retto i paradigmi del cambiamento. 
Oggi, questi sono rappresentati da una mutazione che Eco aveva intravvisto bene (le riflessioni su questi temi hanno inizio con il monumentale Apocalittici e integrati, del '64) ma, è verosimile, non ha avuto modo di leggere compiutamente la complessità e l'universalità, quanto e come la nuova rivoluzione del sistema di comunicazione audiovisiva fosse in via di mutazione epocale a seguito dell'avvento di Internet. Ha fatto storia la sua dichiarazione a Torino del 2015: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli“. 
Cosa avrebbe potuto dire oggi a proposito del passaggio da un sistema tutto broadcast ad uno broadband? come, in che modo, con quali conseguenze, questa ulteriore mutazione genetica potrà influenzare nuovi linguaggi, nuovi modelli, nuovi archetipi della comunicazione audiovisiva? infine, per ricollegare il passato con il futuro, come e in che modo potrà essere declinato un nuovo Servizio pubblico nell'era del Web, delle nuove piattaforme non più solo di distribuzione ma anche di ideazione e produzione? 

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