giovedì 4 aprile 2019

Speranza

Siamo in preda di una crisi mistica. Oggi è il giorno della Speranza, della possibilità che, prima o poi, intervenga uno Spirito Santo e metta le mani protettrici sulla Rai.  Questa mattina, dalle colonne del Corriere, Aldo Grasso ripropone la madre di tutte le domande: ha senso ancora il Servizio Pubblico per come lo conosciamo e per come si potrà esplicare nel prossimo futuro? Sono molti a chiederselo e, purtroppo, a non trovare facili risposte.

Punti fermi: 1) a queste condizioni, così asservito alla politica, al governicchio di turno che infarcisce di servi  e personaggetti "in quota" tutta l'Azienda, ne permea la cultura dei dirigenti pronti a scodellarsi nelle braghe del nuovo amministratore, il Servizi Pubblico non assolve il suo compito. Non serve. Sale grosso e acido solforico sulle sue macerie. Fine di un epoca e avanti una nuova.

2) non è lecito imporre il canone in cambio di un prodotto spesso scadente, rivolto a parti della popolazione, (vedi pag. 123 del Piano industriale) dove non è mai chiaro quanta parte di questo prodotto viene finanziato con soldi pubblici e quanto invece con proventi pubblicitari. Questa commistione tra canone e pubblicità potrebbe non essere più giustificata.

3) chi governa ha il dovere di guardare non alle prossime elezioni ma al prossimo futuro, dove è verosimile che egli stesso potrebbe non farne parte. Il servizio pubblico dovrebbe avere quindi il dovere di essere più avanti del suo "mercato" di riferimento e questo oggi non avviene. Questo mercato delle tecnologie, delle nuove piattaforme, è avanti anni luce e sarà molto complesso recuperare il terreno perduto. Il pannicello caldo del nuovo Piano industriale appare sempre più un maldestro tentativo di tamponare le perdite.

4) come abbiamo accennato, nessuno, al momento ha una bacchetta magica in grado di far apparire un nuovo modello di  Servizio Pubblico prossimo venturo. Non ci sono forze politiche, non ci sono forze sociali o culturali che hanno aperto o sostengono il dibattito (per quanto sappiamo, in campo ci sono i gesuiti con autorevoli interventi), non ci sono forze interne alla Rai o interne al sistema dei media. Nessuno.

Ieri abbiamo letto un lancio dell'ADN dove si dava notizia della possibile nomina di Luciano Flussi, storico dirigente Rai, per il posto di Trasformation Office chem detto così appare un personaggio da cartoni animati giapponesi (una specie di cinghia di trasmissione idonea a garantire l'attuazione del piano industriale). La persona sarebbe giusta al posto giusto: pochi come lui conoscono l'Azienda nei meandri più reconditi (anche se non gode di grandi simpatie). Il tema però rimane il ruolo del DG, anomalo, ingiusto e ingiustificabile, dove la nomina possibile di Flussi sarebbe un tentativo goffo di "mettere la pezza" e dare supporto ad una persona che di Rai, di Servizio Pubblico (appunto) di missione e visione, di coesione sociale, fino a pochi mesi è lecito pensare che ne sapesse poco o punto. Per l'antica conoscenza che abbiamo di Flussi, alla vigilia dei suoi prossimi 65 anni, verrebbe da suggerire di chiudere in bellezza la sua fortunata carriera: c'è vita sulla terra, anche oltre Viale Mazzini e, assicura chi vi scrive, è molto bella.
Qualora si doveva fare un DG quello avrebbe potuto essere lui ma, appunto, avrebbe richiesto a chi governa l'Azienda di avere una cultura, un DNA di Servizio Pubblico che non ha, non ha mai avuto prima e forse non potrà mai avere.
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