“E’ il mercato bellezza!!! E se lo dice pure la Corte
Costituzionale siamo a cavallo!!!”. Ieri la Consulta ha dichiarato illegittimo
il tetto dei 240 mila euro l’anno imposto dal Governo Renzi ai dirigenti della PA. Scrive stamattina
La Stampa “… eliminare definitivamente quella soglia, in modo da poter
reclutare i migliori professionisti, avere una classe dirigente altamente
qualificata e ridurre il gap che si è creato tra pubblico e privato”
Già, questa storia la conosciamo da tempo. Certo che esiste, è assolutamente vero e verificabile, esiste un grande gap tra pubblico e privato: la sanità privata funziona e quella pubblica arranca, l’università privata funziona e si moltiplica mentre quella pubblica soffre la mancanza di aule e insegnanti, l’edilizia milanese sui grattacieli delle archistar tira come un treno mentre quella residenziale per i pendolari la fanno nei campeggi di periferia.
In soldoni:
privato è bello e ricco e pubblico è brutto e sporco e un po’ cattivo, ovvero roba
da poveri. E il "privato" si sa, è noto, bisogna pagarlo bene, magari pure senza fattura, in soldoni contanti.
Dentro la Rai, questa vicenda ha fatto storia del taglio dei
compensi ai dirigenti forse più che nella Pubblica Amministrazione. All’indomani
del provvedimento è iniziata una “fuga dei cervelli” manco fosse un esodo biblico.
Sono fuggiti i “migliori” Fazio, Berlinguer, Giletti (poi tornato sotto mentite spoglie) e
Floris e quei “poveri” che sono restati si sono riciclati con i “contratti
artistici” con in testa il primo della classe: Bruno Vespa. Non sono poi mancati
pure altri trucchetti da Mago Magò, come Riccardo Iacona uscito e entrato dalla
Rai come nulla fosse (“Il suo ritorno come consulente, sostiene l’Usigrai,
“viola le regole del contratto di lavoro, sulle modalità di impiego in azienda
del personale cessato dal servizio” si legge a febbraio 2023).
A farla breve, ora l’Azienda potrà attingere sul “mercato”
il fior da fiore di manager necessari per sostenere la transizione a “Digital
Media Company” ed ora torna tutto per capire perché, a suo tempo, alla DMC
mancava una parolina essenziale, fondamentale ovvero “Public … Digital media
Company”. Non c’è stato verso, durante il dibattito sul rinnovo del Contratto di
Servizio il tema è stato sollevato ma non è riuscito a passare mentre ha avuto
grande successo e apprezzamento l’introduzione degli altrettanto famigerati “KPI”
manco la Rai fosse, appunto, una fabbrica di bulloni. In soldoni, giova sempre
ricordarlo, quel Contratto e il suo famigerato “allegato 1” sono la prova
provata, la pistola fumante, dell’anticamera concettuale della Rai come “Servizio
Privato” sottratta sempre più dai vincoli, lacci e lacciuoli, dal controllo e
vigilanza Parlamentare e affidata in ostaggio al Governo di turno.
Alla fin fine, è sempre quel “public” che va in sofferenza, è
sempre quella sottile, vibrante e sottintesa voglia di privato e di mercato che sembra animare
certe volte più la sinistra che la destra. La destra non ne fa mistero ed è la
sua ragion d’essere mentre la sinistra, una certa sinistra, da decenni
accarezza quel discreto e sublime fascino di privato, in particolare verso la Rai. Se non
c’è il coraggio, la forza e la capacità di farlo in modo “pubblico” e palese,
la Rai si privatizza sottotraccia, un pezzetto alla volta come, ad esempio,
cedendo sovranità nella produzione editoriale: quanti programmi in prima serata
di Rai Uno (e non solo) sono affidati completamente o parzialmente in appalto
esterno? Perché c’è tanta voglia di chiudere il dossier Rai Way verso il lato
più favorevole ai privati (i Fondi azionari anzitutto e poi al concorrente Mediaset)
invece che rinegoziare il contratto tra la stessa Rai e Rai Way per riportarlo, appunto,
a valori di mercato? Di tutto questo nessuno batte ciglio.
Oggi, questa mattina, in Senato continuerà l’esame delle 11 proposte
di legge di riforma della Rai e tutte, riga più o riga meno, girano sempre
intorno alla stessa foglia di rosmarino: il futuro dell’Azienza dovrà di
carattere pubblico o privato? Nessuno lo ammette apertamente ma la
questione centrale è questa. I temi di scontro sono gli stessi da decenni: anzitutto
la madre di tutte le battaglie cioè la certezza delle risorse, ovvero canone si
o canone no, poi il “modello di governance” dove si continua a favoleggiare la “fondazione”
come modello virtuoso senza mai ammettere che si presuppone la cessione di proprietà
da parte dello Stato verso un nuovo soggetto nominalmente variegato ma
sostanzialmente carente di criteri di nomina trasparenti. Infine, non sono
pochi coloro che ritengono di volere abolire la Vigilanza Rai, ovvero sottrarre
o indebolire il ruolo del Parlamento come massima espressione della
rappresentanza plurale e democratica del Paese.
Ieri, saputa la notizia, qualcuno ha tirato fuori una bottiglia
di prosecco: “Sono pronto, se volete chiamatemi” … “Ok ... per ora stai buono, non
dire nulla e goditi le vacanze, a settembre ne riparliamo” qualora si liberasse
un posto da DG o si aprisse una nuova posizione nella futura governance della NewCo
RaiWay/EiTowers.
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