Chi siamo, cosa facciamo, dove andiamo?
(Gauguin, Pazzaglia, Guzzanti)
Domande semplici quanto fondamentali. Risposte complesse
quanto relative. Anche ieri, come tante altre volte, ci siamo chiesti perché l'interesse verso la
Rai e il Servizio Pubblico sembra in declino con un generale calo di attenzione mediatico.
Se non fosse per qualche manciata di gossip, per qualche articolo su Tizio al posto
di Caio o per l’annosa questione della presidenza che non ci sarà e/o della
riforma fantasma si capisce bene perché non c’è nulla da sapere e da dibattere.
Allora, forse, ci potrebbero essere tanti ragionevoli motivi
oltre le apparenze. Provate ad immaginare un campionato di calcio dove tutte le
squadre in competizione sono pressoché equivalenti, dove succede che convivono due
squadre della stessa città con un nome in comune, ad esempio Mil-Int o Rom-Laz. Questo stesso campionato non mette nulla in palio: non c’è il titolo da conquistare
perché non c’è classifica. Si gioca e basta. Perché allora assistere o tifare per
questo campionato e quali motivi potrebbero indurre a scegliere una squadra o l’altra?
La metafora ci appare perfetta per introdurre il tema Rai e
Servizio Pubblico. Trasliamo le domande: cosa è la Rai e il Servizio
Pubblico, cosa fa e dove va? Proviamo a proporre risposte. Anzitutto la sua
“soggettività”, il suo carattere distintivo, la sua distinzione, la sua natura,
la sua autorevolezza appaiono tutti elementi confusi e indistinti nel panorama
mediatico nazionale. La Rai è ciò che fa e ciò che fa ed è, più o meno, ciò
che fanno tutti gli altri soggetti che operano nello stesso contesto. Informare,
educare e intrattenere divertendo è il compito, la missione generica svolta in
forma più o meno accentuata da chiunque possiede un canale, una rete o una piattaforma
streaming. In cosa la Rai si distingue dagli altri? Cosa altro offre di più, di
meglio o di più vasto?
L’estensione di questo ragionamento ci porta al cuore della
seconda parte della domanda e si riferisce al Servizio Pubblico. Rai e
Servizio Pubblico dovrebbero essere un binomio inscindibile. Non è data la
prima, l’Azienda, senza il secondo ovvero la sua missione esercitata in
concessione da parte dello Stato (in scadenza ad aprile 2027). Il problema
è che questa “missione” oggi appare logora e lontana rispetto a quando venne originariamente
elaborata, quando il mondo audiovisivo nazionale e globale era ai suoi primordi.
La prime tracce concettuali della Concessione risalgono ai tempi del monopolio,
poi duopolio e infine alla multipolarità che però non è stata mai declinata
completamente. Se mai si volesse introdurre una nuova riflessione riferita alla
Rai si potrebbe tentare con la Digital Media Company che però, non a caso, nel
nuovo Contratto di Servizio all’art. 3 non si specifica esattamente “DMC … di
Servizio Pubblico” e non si coniuga questa nuova dimensione con le
peculiarità della natura di Servizio Pubblico. Si aggiunga, inoltre, che per
adempiere a questa “missione” i cittadini sono obbligati a pagare il canone e
non è un tema subordinato ma complementare e si intende bene quando si legge/ascolta
una frase del genere “perché devo pagare il canone per avere quello che gli altri
mi danno gratis?”. Certo, non è assolutamente vero che gli “altri” siano “gratis”
ma in questi termini viene spesso percepita la tassa sulla televisione.
Educare, informare e divertire (genericamente intesi) potrebbero
essere alla risposta alla seconda domanda. La Rai educa, informa e diverte ma, appunto,
fatte le debite proporzioni e distinzioni è lo stesso di quanto fanno gli altri
broadcasters o meglio (e forse più) gli altri soggetti che operano nel vasto mondo
dell’audiovisivo (ovviamente compresa la galassia “social”) dove proprio oggi leggiamo
su Prima.it la classifica dei programmi
Tv più “social” dove si legge che i programmi Rai sono molto lontani dalla
testa della classifica (https://www.primaonline.it/2025/04/07/437677/classifica-programmi-tv-piu-social-de-filippi-batte-toffanin-e-fazio-boom-di-gaia/
). Vogliamo fare un altro esempio: lo sport nazionale, il calcio. La Rai è
completamente assente e ricompare solo quando gioca la nazionale (e ora “ne
vedremo delle belle” con il prossimo campionato con due forti aree di rischio:
la posizione della squadra italiana e il fuso orario). Sull’informazione stendiamo
un velo di semplice dignità e citiamo solo il caso, ormai da studio clinico, di
RaiNews24 e i suoi ascolti medi pari a quelli di un medio quartiere di città di
provincia. Vogliamo poi fare l’esempio dell’intrattenimento leggero? Lasciamo perdere:
a volte non c’è partita (vedi il sabato sera con la notizia di oggi che, appunto,
“Ne vedremo delle belle” di Carlo Conti dovrà chiudere anticipatamente per
scarsità di telespettatori.
Chiudiamo con una notizia di oggi che appare a proposito. Leggiamo
che l’AD Giampaolo Rossi ha dichiarato “Il servizio pubblico deve costruire
un Piano Mattei per l’immaginario” … “La parola immaginario è densa e
carica di significati per chi fa comunicazione è un elemento che tocca la
coscienza individuale e collettiva. Viene da imago, che incarna un po’
l’idea della magia, cioè la trasfigurazione della realtà. Se un’azienda
come la Rai, che fa comunicazione, informazione, divulgazione culturale, ha una
funzione è proprio quella di aiutare a costruire un immaginario, più che
semplicemente comunicare”. Ha toccato il nervo scoperto di questa Rai: “la
trasfigurazione della realtà…” ovvero, intendiamo noi, esattamente quello che
intende fare il Governo modellando il Servizio Pubblico a sua immagine e
somiglianza.
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