By Bloggorai ©
L’overdose mediatica di “Garlasco” è solo il frutto avvelenato di un albero
malato da molto tempo. Le sue radici, profonde e antiche, sono impregnate di tossine. Lo stupore e il fragore che si avverte appaiono del tutto ingiustificati.
Sono decenni che la “narrazione” sociale si alimenta e si sostiene con il racconto del
crimine, della paura e del “male” in ogni sua forma e, nella civiltà delle immagini, prende
sostanza e forza nella televisione.
La Rai, come abbiamo accennato, sin dal suo
inizio negli anni '50 è stata levatrice ed educatrice di questo genere di racconto infinito. Prima ancora,
sono millenni che il “dolore e l’orrore” vengono rappresentati e
spettacolarizzati: ci sono solo poche decine di generazioni (circa 80) che ci
separano dal Colosseo dove gli abitanti di Roma antica pagavano o venivano
pagati per assistere allo spettacolo della morte in diretta. A questo proposito,
abbiamo già ricordato il “record” primo e assoluto della diretta tv avvenuto
con la tragedia di Vermicino dove sono stati raggiunte punte di telespettatori
mai più eguagliati: circa 25 milioni.
11 marzo 1984: va in onda su Rai Uno la prima puntata de “La
Piovra”. La trama racconta di omicidi solo apparentemente di mafia mentre
sullo sfondo si intravvede il torbido intreccio tra banchieri, logge massoniche
e trafficanti di droga.
Negli anni e nelle stagioni successive, fino al 1991 con un
enorme successo di pubblico (è tra i prodotti Rai più esportati nel mondo), i
racconti televisivi de "La Piovra" saranno sempre concentrati sullo stesso filone
“narrativo”: legami profondi e solidamente connessi tra politica, finanza,
massoneria, corruzione e criminalità organizzata. Le vicende narrate seppure
liberamente ispirate dalla fantasia, prendono spunto da quanto succedeva
realmente in quel periodo in Sicilia e non solo. Erano proprio gli anni della
P2, erano gli anni dei servizi deviati, erano gli anni delle “coperture”
politiche ai grandi affari della criminalità organizzata. Merita rileggere quanto scritto sul sito di
Art. 21 con il titolo “Berlusconi, la Piovra e la P2” (vedi https://archivio.articolo21.org/986/notizia/berlusconi-la-piovra-e-la-p2.html
). Sarà lo stesso Berlusconi a dichiarare prima nel 2009 “Se trovo chi ha fatto
le serie de La Piovra e chi scrive libri sulla mafia facendoci fare brutta
figura nel mondo, giuro che lo strozzo” per ribadire successivamente il
concetto l’anno successivo “La mafia, la camorra e le altre organizzazioni
criminali sono una patologia terribile per il nostro Paese. Ne paghiamo
l’esistenza anche per l’immagine all’estero dell’Italia. Abbiamo avuto la
brutta abitudine di produrre fiction sulla mafia che hanno portato questa
negativa immagine dell’Italia in giro per il mondo. Spero che questa moda sia
ormai finita”.
Nel decennio successivo alla Piovra si vedono arrivare sullo
schermo i grandi classici che segneranno profondamente la storia del “moderno” crimine
televisivo. L’inizio di questa nuova stagione è “moderato” con l’approccio
familiare e tranquillizzante del “Maresciallo Rocca” in onda dal 1996 al 2005 (a
Rai Uno, direzione Delai, venne creato un gruppo di lavoro apposito per definire
le caratteristiche “sociali” del personaggio). A Gigi Proietti nei panni del carabiniere
detective si sovrappone un’altra serie di grande successo (che proprio
recentemente ha avuto un aggiornamento): "Don Matteo", una sorte di remake del
noto “Padre Brown” all’italiana. Dal 7 gennaio del 2000 al 24 dicembre 2024
sono andate in onda 14 stagioni con circa 265 episodi. In ogni puntata il tema
era un omicidio avvenuto tra le cittadine umbre di Gubbio e Spoleto: un tasso così
elevato di crimini efferati in due piccole comunità di provincia non si riscontra
nemmeno nei peggiori quartieri delle grandi metropoli più malfamate.
Il racconto del male in chiave “regionale” televisiva rende
bene, forse benissimo: nel 1999 inizia la serie de “Il Commissario Montalbano”
che pure dopo oltre 15 anni viene ancora riproposto in replica sempre con grande
successo di telespettatori (le ultime puntate propri nelle scorse settimane). Vanno
in onda 14 stagioni per un totale di 37 episodi: in alcuni i “morti ammazzati”
sono più di uno (La Gita a Tindari) e raccontano circa 70 omicidi.
Arriviamo presto alle stagioni del crimine organizzato
raccontato in tv. Tutto inizia con la Banda della Magliana e le sue gesta
svelate in “Romanzo Criminale”, in onda dal 2008 al 2010. Seguirà “Squadra
antimafia” nel 2009 (una specie de La Piovra aggiornato) e poi la tanto discussa
serie di “Gomorra” a cui farà seguito il “genere” crime che si afferma
definitivamente e sbarca sulle piattaforme: nel 2017 inizia su Netflix la serie
“Suburra”. Da non dimenticare che, nel frattempo, vanno in onda sempre con un certo
successo televisivo, le serie di “Rocco Schiavone” (dal 2016), “I bastardi di
Pizzofalcone” dal 2017 e “Il Commissario Ricciardi” dal 2021.
A proposito di Gomorra, proprio nei giorni scorsi il suo autore
Roberto Saviano ha scritto una pagina interessante sul Corriere, riportando il “racconto
del male” alla stretta attualità politica con il titolo “La Legge Omertà sulle serie
Tv”. Si tratta di una iniziativa politica della deputata Varchi di Fratelli d’Italia che vorrebbe introdurre il reato di “apologia e istigazione” del comportamento
mafioso. Si tratta, come scrive Saviano, di una proposta di legge che punta a
colpire lo svelamento della macchina criminale in ogni sua forma, compresa
ovviamente quella parte di stretta collusione con i vari servizi deviati, logge
più o meno occulte e poteri forti di vario genere.
Eccoci tornati al punto di
partenza di queste sommarie riflessioni con l’interrogativo che abbiamo già
posto: il racconto del male, del crimine in Tv, è un “fatto” ovvero uno “strumento”
politico?
Andiamo avanti ed entriamo nell’intrattenimento,
nello spettacolo “live” della narrazione criminale in televisione.
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