giovedì 11 dicembre 2025

piano piano... un mattoncino alla volta ... prima o poi crolla

By Bloggorai ©

54 blocchetti di legno impilati, a strati di tre, per costruire una torre. Il gioco consiste nel togliere un mattoncino alla volta a turno per ogni giocatore. Vince quello che ha sottratto il pezzo prima che la torre crolli. È un gioco che non richiede particolari abilità: è sufficiente fare attenzione e delicatezza con le mani.

Sembra la metafora perfetta per descrivere lo stato comatoso e traballante del Servizio Pubblico in questi tempi. Non ne va più bene una. Ripropongono Sandokan dopo 50 anni, strombazzano un grande successo e nel giro di una settimana si perdono oltre un milione di telespettatori. Ripropongono, come da molti anni, la prima della Scala e se ne vanno mezzo milione rispetto all’anno precedente e un milione rispetto a dieci anni addietro.  Ripropongono Benigni ieri sera su RaiUno con Pietro e si perde altro mezzo milione rispetto alla trasmissione precedente, il Sogno, e ben 5 milioni rispetto ai 10 Comandamenti del 2014 o al Canto dei Cantici del 2020. 

Ripropongono ... ripropongono. Che faranno quando non sapranno più cosa riproporre o quando il pubblico ormai esaurito almeno dal punto di vista generazionale andrà da altre parti, come già avviene?   

Per abbassare il tono, il volume, l’impegno e il ruolo del Servizio Pubblico non è necessario un colpo di mano, un Telemeloni di turno che dir si voglia. È sufficiente un colpetto alla volta, un mattoncino dietro l’altro.

Non è più la Rai di una volta … e ci si crede bene che hanno tolto la Rassegna Stampa ai dipendenti e nessuno batte ciglio.

bloggorai@gmail.com 

mercoledì 10 dicembre 2025

La Tv e il suo doppio ... tra il bene e il male

By Bloggorai ©

Così addio speranza, e con la speranza, 

paura addio,

Addio rimorso: ogni bene a me è perduto:

Male, sii tu il mio bene

John Milton, Il Paradiso perduto, Libro IV

Proseguiamo sul racconto del male in Tv. “La cronaca nera imperversa, nei podcast e nelle trasmissioni pomeridiane della tv. Perché? «Il crime funziona sempre, perché è una sorta di matrice narrativa, implicita nella meccanica stessa degli eventi. Ogni caso giudiziario, e ogni sua narrazione, si apre con un omicidio: e che cos’è l’omicidio se non quella “rottura dell’equilibrio” che per lo strutturalismo e la critica formalista dà il via all’azione, costituendo la prima di una serie di tappe obbligate che rendono il racconto efficace?»”. Questo testo lo abbiamo ripreso da una lunga intervista a Carlo Freccero comparsa su Vanity Fair e ripresa integralmente ieri da Dagospia e, ovviamente, non pubblicata nella ristretta e rassegnata Rassegna Stampa Rai relegata ai pochi ma buoni 250 lettori.

Vedi il testo integrale:  https://www.dagospia.com/media-tv/carlo-freccero-in-cattedra-telemeloni-esiste-come-esistite-telerenzi-456718 suggeriamo di leggerlo integralmente.

Si può condividere o meno ma certamente Freccero è tra i pochi “sopravvissuti” ad un’epoca Rai, un’epoca del Servizio Pubblico, ormai passato alla storia e in via di estinzione. Quasi più nessuno oggi è in grado di intervenire, di proporre riflessioni rilevanti e significative e meritevoli di attenzione. Bene che vada, succede che si svolge qualche incontro tra quattro gatti e due “esperti” che durano lo spazio di un breve mattino. Dopo di che, il deserto cosparso di sale grosso.

A proposito di insegnamenti,  può essere utile un piccolo ma rilevante passo indietro, al 1996, quando Karl Popper scrive “Cattiva maestra televisione” dove leggiamo “... la televisione, potenzialmente certo, così come è una tremenda forza per il male potrebbe essere una tremenda forza per il bene. Potrebbe, ma è assai improbabile che questo accada. La ragione è che il compito di diventare una forza culturale per il bene è terribilmente difficile”.

La riflessione sul racconto del male in Tv e, segnatamente dal ruolo svolto dalla Rai, riprende dagli anni ’80 caratterizzati fortemente dall’avvento e successivo consolidamento della serialità di genere “crime”. Prima però proponiamo di utilizzare una chiave di interpretazione con un testo di Mario Morcellini del 2013: “Le storie tese. Una critica al racconto dei media dell’Italia di oggi”. Nell’introduzione al tema della narrazione del crimine mediatico leggiamo: “L’insostenibile leggerezza della modernità. Di fronte alla crisi, e concretamente all’apparire dei singoli e continui strappi percettivi all’ordine normale della vita, che mascherano altrettanto profondi strappi della realtà, può sembrare che il sociologo abbia sempre la stessa spiegazione: l’anomia. Altre volte, e in particolare quando il discorso non si pone al livello degli studi e dell’opinione pubblica colta, l’adagio ricorrente diventa: è colpa della crisi dei valori”... “La comunicazione contemporanea lucra sulla crisi, che funziona quasi come un eccitante, un doping per i generi e i linguaggi della comunicazione al potere. Lo è ancor più perché, come vedremo, tutta la comunicazione sembra intessersi e quasi drogarsi della parola e dei sinonimi della crisi, al punto che possiamo serenamente dire che il cantico della crisi è il tessuto moderno dei media”… e più avanti “Nella rappresentazione mediale è diventato plausibile – e a volte persino utile – trovare giustificazioni al male, soprattutto se queste ultime chiamano in causa spiegazioni individuali e di tipo psicologico, quasi a dire che è comunque possibile individuare le più svariate motivazioni soggettive come cause “quasi ammissibili” di un crimine. La follia, l’invidia, l’ira, l’interesse economico o familistico vengono talvolta evocati dai media se non in termini di una piena assoluzione morale quantomeno come motivi “umanamente” comprensibili dell’azione criminale”… “La cronaca nera trionfa nei momenti di crisi sociale: su questo l’abbondanza di prove storiche non lascia margini al dubbio. Non è un prodotto dello sviluppo ma è un indicatore del sottosviluppo culturale, forse anche della crisi delle relazioni interpersonali. Spesso, la ferocia dei media è più terrificante nelle aree di deprivazione culturale” per concludere, infine con “Questo progressivo spostamento del registro comunicativo sulla spettacolarizzazione e sulla personalizzazione del crimine mette in luce un problema che è mediale ma soprattutto sociale. Perché una narrazione del cambiamento che avvenga soltanto attraverso la cornice della cronaca nera e dell’alterità come rischio ci espone alla possibilità di contribuire al declino della società ed all’incattivimento delle persone.  Definire i media come una “fabbrica della paura” può apparire come un approccio troppo positivistico, perché in una società complessa come la nostra è difficile credere che possa esserci un solo soggetto responsabile di una rappresentazione.  Ma è una formula che nel suo schematismo ha una sua plausibilità: nella percezione dell’opinione pubblica appare infatti chiaro come i media sembrino particolarmente responsabili di un innalzamento dei decibel sul crimine”.

Rientriamo nella storia. Lasciato alle spalle quello considerato forse il mito fondativo della fine degli anni ‘70, Il tenente Colombo, andato in onda prima su Rai Due e successivamente su Mediaset, inizia nel 1979 l’era dell’Ispettore Derrick, una produzione tedesca di enorme successo. Contestualmente, nel 1984 inizia la serie iconica del genere italiano: La Piovra che raccoglie subito un vastissimo consenso di pubblico con punte di oltre dieci milioni di telespettatori a puntata. La serie si interrompe nel 2003 quando Silvio Berlusconi dichiarò che “Se trovo chi ha fatto le serie de La Piovra e chi scrive libri sulla mafia facendoci fare brutta figura nel mondo, giuro che lo strozzo". La “politica” prende forma e si intromette nella “narrazione” televisiva e il tema “crimine” assume le sembianze che, come abbiamo accennato, diventa la “Fabbrica della paura” come venne definita dal Censis nel 2008.

Segue …

bloggorai@gmail.com

martedì 9 dicembre 2025

Muti !!! la Rai non fa più notizia

By Bloggorai ©

Se mai qualcuno aveva in mente di silenziare, di anestetizzare, di chiudere il traffico e la circolazione di informazioni e notizie sulla Rai e sul Servizio Pubblico con l’abolizione della Rassegna stampa ai dipendenti, sembra che l’obiettivo sia stato colto in pieno. 

Nessuno, o quasi, sa più nulla se non attraverso qualche piccola chat oppure i lanci di Dagospia che non a caso riporta spesso e volentieri solo le note e i messaggi promozionali di Belve e di Giletti. E, inoltre, ci riferiscono che da quando la rassegna stampa è limitata ai soli 250 utenti (+ 20 dell’Ufficio Stampa, al modico prezzo di poco più di 450 mila euro l’anno) di notizie rilevanti interessanti e meritevoli di nota sulla Rai e il Servizio Pubblico non ce ne sono più. Abbiamo chiesto in giro e la risposta è pressoché unanime: “Non c’è più nulla da scrivere, non ci sono notizie se non di cronachette spicciole, di piccole cose, di affarucci correnti”.

Se mai qualcuno aveva in mente di mettere la Rai in sordina, nel dimenticatoio, in subordine e confinata nella categoria “irrilevante”, si può dire che la missione è compiuta per molti punti di vista. E, dobbiamo aggiungere, con la complicità di quinte colonne, di collusi e complici di vario tipo, con il silenzio e il “Si … va beh … però …” 

Andiamo avanti, giriamo pagina e mettiamoci l’anima in pace.

Bloggorai@gmail.com


 

lunedì 8 dicembre 2025

RAI, e non solo: dacci oggi il nostro Male quotidiano

By Bloggorai ©

Riprendiamo il filo del post dello scorso 8 dicembre https://bloggorai.blogspot.com/2025/12/politica-e-tv-dacci-oggi-il-nostro-male_2.html .

 

C’è una Garlasco antica profonda dentro e intorno a noi. C’è una Garlasco insaziabile, irrisolta e in eterno movimento nella nostra “morale” oggi alimentata e sostenuta nella "società delle immagini" con il dilagare inarrestabile del genere "crime" su tutti gli schermi, piccoli o grandi che siano. 

Il "racconto del male" universale attraverso le immagini propone una  “morale” esterna ed apparentemente estranea alla nostra sfera cognitiva e relazionale, spesso riferita "al di fuori di noi" spettacolare e "narrata"  come uno “sguardo degli altri” nei termini che ci ha proposto con altre parole il fondamentale testo di Susan Sontag “Davanti al dolore degli altri” scritto nel 2003 per affrontare il tema del male che diventa spettacolo. La Sontag si interroga: le immagini influenzano la nostra percezione della realtà? In che termini, quanto, influenzano il nostro giudizio “morale” che poi si traduce in voto politico? Quanto le immagini di guerra ovvero il suo racconto televisivo, ormai costante nei nostri teleschermi, inducono ad appoggiare o contrastare la natura “guerresca” che sembra diffondersi nel mondo? È utile riprendere la parte del 42° rapporto Censis del 2008 laddove si poneva il tema dei media come “fabbrica della paura”, ne parleremo più avanti per la sua deriva politica. Per estensione: quanto e come il racconto criminale mediatico e specificamente televisivo alimenta, nutre, consola o esorcizza la natura primordiale dell’istinto omicida?

C’è poi una “Garlasco” iconica del prima e del dopo. C’è un momento specifico che pone l’avvio dell’avvento dell’era televisiva, ora mediatica: il primo grande evento di dolore raccontato dalle immagini in diretta sulla morte di Alfredino Rampi nel 1981 che ha visto incollati di fronte allo schermo oltre 20 milioni di persone. E poi c’è un dopo con il susseguirsi di tanti di fatti di cronaca di vario genere, da quelli assoluti e totali della guerra o del terrorismo, a quelli di “ordinaria” tragedia individuale.

Da allora i grandi racconti di crimine, dolore e orrore, sono stati e sono tutt’ora il pane e il companatico dei palinsesti televisivi.

Poi c’è un come e un dove il racconto del male si è svolto e si svolge nell’era moderna e contemporanea. Il come è mutato nei secoli in stretta relazione al mutare la natura dei media: senza scomodare i classici dell’antichità (Omero con l’Iliade) e riprendere il tema preferito da Shakespeare, il delitto o più in generale la rappresentazione “letteraria” del crimine è stato da sempre raccontato prima con la scrittura, poi con la parola (la radio) ed ora con le immagini televisive. Il dove sembra invece essere una specificità del mezzo moderno: sempre più spesso i grandi fatti di cronaca si devono giocoforza identificare con il luogo dove si sono svolti e per come le immagini televisive ce li hanno proposti. Per il dramma di Alfredino si ricorda bene il pozzo di Vermicino e poi, negli anni successivi, i tanti altri casi importanti: il mostro di Firenze, la villetta di Cogne, il delitto di Novi Ligure, il giallo di Via Poma o la strage di Erba.

Necessario pure ricordare altri grandi eventi di cronaca di dimensioni globali che pure hanno interessato, coinvolto e raccontato e raccontano tutt’ora il dolore e il male che ci pervade: dalle immagini dell’assassinio Kennedy al Vietnam, dai grandi funerali di personaggi iconici (Lady Diana) all’11 settembre di New York, dal grande Tsunami del 2004 per arrivare all’orrore contemporaneo di Gaza.

Semplificando e sintetizzando: la cosiddetta “narrazione” del male, del dolore, del terrore, dell’orrore e della paura non è un fenomeno recente. Riprendiamo alcuni tra i tanti titoli del nostro archivio: “Tv, cronaca nera e quel senso diffuso di allarme sociale”, il “successo mostruoso” del Mostro diffuso da Netflix  visto da decine di milioni di telespettatori nel mondo(a cui seguirà  il caso Yara Gambirasio), “Le nuove serie televisive vedono nero”, “Cronaca nera e processi in Tv, l’ennesima Authority inutile” su AgCom e spettacolarizzazione del male in tv, “Il fascino inafferrabile della cronaca nera”, “Lo spin off di Belve e quella  passione del pubblico per il crime” dove si legge una relativa caratterizzazione del suo pubblico giovane e femminile, “La gratuità del male”, “De Cataldo: Maso e gli altri, la normalità del crimine”, “Passione nera: un terribile amore per il delitto diventato show”, “Tra cronaca e fiction, il Mostro in prima serata”, “Cronaca, così diventa un caso Tv. La ricetta: avvocati, parenti e amici a cui piace stare in video” e, infine “Il caso Garlasco capitalizza l’attenzione dell’opinione pubblica”.

Ecco la centralità di Garlasco, il suo senso e il suo significato mediatico. Nell’epoca contemporanea, è stato osservato che da solo questo caso ha occupato gli spazi del teleschermo, dal 2007 ad oggi, di oltre 9.000 ore di trasmissioni Tv, pari a circa un anno ininterrotto di flusso video (ricerca Omnicom Media Group). Nella graduatoria degli eventi televisivi più seguiti seguono il caso Cogne (con il famigerato modello della villetta mostrato da Bruno Vespa), poi la strage di Erba, poi l’omicidio di Perugia e il delitto di Avetrana.

Ma il delitto di Chiara Poggi con la sua immediata attualità, appunto, è solo un punto intermedio dell’abitudine al racconto televisivo del male.

Tutto ha origini lontane e in questa storia il Servizio Pubblico radiotelevisivo nazionale, la Rai, ha avuto un ruolo “pedagogico” centrale che troppo spesso viene dimenticato o sottaciuto. Ha iniziato a formare, educare, “vedere” ed introiettare il male come parte essenziale delle relazioni umane sin dai suoi esordi. 

Tutto inizia con “Giallo Club” nel 1959 dove in ogni puntata si presentava un caso di omicidio e in studio gli “esperti” dovevano indovinare il colpevole. La trasmissione ebbe un grande successo con milioni di telespettatori. In quegli stessi anni inizia la fortunata serie (a quel tempo si definiva “sceneggiato” e oggi “fiction”) del Tenente Sheridan con Ubaldo Lay. Il personaggio era “americano” ma le riprese erano tutte fatte negli studi Rai di Roma e Torino. Negli anni successivi si afferma il “genere” fiction crimine e compare la serie “Donne … di Fiori, di Quadri, Cuori e Picche” insieme alla Inchieste del Commissario Maigret (1969) con Gino Cervi nel 1964 e Nero Wolfe con Tino Buazzelli del 1969. Negli anni ’70 si comincia a formare, a delineare meglio la fisionomia del racconto criminale (anche detto “polizziottesco”) e compaiono titoli come “I racconti di Padre Brown” (1970-1971) con Renato Rascel nel ruolo di il prete investigatore (poi vedremo come verrà ripreso con Don Matteo), poi “Il segno del comando” (1971) ritenuto uno degli sceneggiati più apprezzati della televisione italiana, “Il sospetto” (1972), poi ancora “Giallo di sera” (1971), “Il giudice e il suo boia (1972), “Qui squadra mobile” (1973-1974) dove inizia la serie sulle indagini di una squadra di poliziotti con Giancarlo Sbragia.

Segue…

bloggorai@gmail.com

giovedì 4 dicembre 2025

Altri mondi possibili

By Bloggorai ©

Alcuni lettori e alcune lettrici ci scrivono. Ci scrivono tra il costernato e il rassegnato. Alcuni capiscono la situazione ovvero l’aria che tira (brutta) e lasciano perdere, altri meno ed avrebbero pure voglia di mantenere l’attenzione sulla Rai e sul Servizio Pubblico.

Ma di cosa ci dovremmo occupare? Della mancanza di notizie? Oppure di notizie del genere “successo di Sandokan” ovverosia il fumo negli occhi della Rai che deve guardare al passato (vedi Post di ieri https://bloggorai.blogspot.com/2025/12/rai-un-grande-e-glorioso-futuro-dietro.html ) cioè ravanare in cantina per sperare nel futuro? Oppure del compenso della Maggioni (ad agosto tutti erano in vacanza) perchè, non sia mai detto, magari la concorrenza se la porta via dalla Rai? Oppure delTg3 che manda in onda uno spot (gratis?) di Netflix ? Oppure del Piano Immobiliare Rai che, ci dicono, essere come un colabrodo (vedi Milano e comunicato CGIL)? Oppure del Piano Industriale che non sa dove andare perché non ha risorse con le quali essere sostenuto? Oppure, ancora una volta, di un piano sull’informazione che non esiste e nessuno vuole che esista? Oppure, ancora di più e peggio, di qualche gossippetto interno o delle beghe Rossi/Sergio/Marano e dei loro fidati e sodali collaboratori ovvero i vari Coletta, Di Gregorio (si proprio lui) o Corsini e compagnia trotterellando?

No… francamente no… non è più aria.

Ci sono tanti altri mondi possibili e interessanti da scoprire oltre la Rai, oltre questo Servizio Pubblico, proprio come ieri sera su La7 ci ha ricordato Giordano Bruno (ottima trasmissione). Sono mondi che girano intorno alla civiltà delle immagini, all’era del racconto audiovisivo, nell'epoca di nuovi linguaggi e comportamenti individuali e collettivi che meritano grande attenzione. La Rai invece guarda se stessa in uno specchio deformato e alle sue spalle e non sa più come guardare avanti (anche perché non gli è concesso, vedi canone incerto).

No. Condividiamo l’aria che tira: della Rai e del Servizio Pubblico si avverte sempre meno interesse.

Piuttosto, stiamo studiando, raccogliendo documenti e informazioni su un tema che ci sembra meritevole di attenzione: perché il “genere” crimine, il racconto del “male” in tutte le sue forme, dalla guerra alla cronaca nera, viene costantemente proposto e riscuote crescente attenzione gradimento da parte del pubblico?

bloggorai@gmail.com

mercoledì 3 dicembre 2025

RAI: un grande e glorioso futuro dietro le spalle

By Bloggorai ©

C’è una prateria tutta da esplorare per garantire il futuro televisivo della Rai e del Servizio Pubblico. È sufficiente andare negli archivi polverosi e ripescare grandi titoli del passato glorioso (per questa idea rivendichiamo il Copy o una specie di diritto d’autore, come hanno fatto quei “geni” della Lux/Bernabei che hanno ripescato Sandokan con grande successo di pubblico e scarso di critica).

In ordine, proponiamo una decina di titoli:

1. La Cittadella (1964)

2. I Miserabili (1964)

3. Davide Copperfield (1965)

4. I promessi sposi (1967)

5. La freccia nera (1968)

6. L’Odissea (1968)

7. Nero Wolfe (1969)

8. Pinocchio (1972)

9. Il segno del comando (1971)

A A come Andromeda (1972)

A Anna Karenina (1974)

Dopo di che si appresta a terminare l’era degli “sceneggiati” mentre inizia l’era della “fiction” di cui “La Piovra” del 1984 sarà capostipite. Se pure la Rai ripescasse un titolo ogni sei mesi, ovviamente rivisto, corretto e anzitutto “riprodotto” nel senso di una nuova produzione buona pure per i “giovani” e con il valido supporto economico di una “Regione Film Commission) come avvenuto per la novella Tigre di Mompracen potrebbe garantirsi un roseo futuro basato sulle sue solide spalle.

bloggorai@gmail.com

 

Attenzione: prosegue nei prossimi post il tema del “male” quotidiano in TV

martedì 2 dicembre 2025

Politica e TV: dacci oggi il nostro "male" quotidiano

 

By Bloggorai ©

Due fenomeni, concomitanti, relativamente “moderni”  e apparentemente distinti tra loro, meritano attenzione. Il “moderno” è relativo ad una datazione che ha preso forma tangibile e misurabile negli ultimi decenni, seppure il secondo del quale scriveremo è assai antico e risale ai millenni trascorsi e che tuttavia ha assunto una sua specificità nell’era moderna attraverso il suo passaggio nell’era mediatica e segnatamente televisiva.

Entrambi questi fenomeni partecipano e caratterizzano il “racconto” del Paese, definiscono alcuni paramenti per la sua “narrazione”. Entrambi segnano lo “stato di salute” di un popolo che per un verso fugge dal dovere civico e per altro verso si spinge e si rifugia verso l’osservazione rassegnata del malessere. I fenomeni sui quali proponiamo una sommaria riflessione si riferiscono al crescente astensionismo politico elettorale e della dilagante attenzione mediatica per il crimine, individuale o organizzato che dir si voglia.

Il primo fenomeno racconta un Paese politicamente stanco, deluso e distaccato. In Spagna, tempo addietro, il disinteresse verso la sfera partecipativa veniva definito con un termine suggestivo: “desencanto”. Sembra venuta meno la fiducia, la voglia di essere e prendere parte. Sembra indebolito lo spirito di interesse collettivo, di pubblico, a favore della sfera privata, intima, personalizzata a misura di teleschermo piccolo o grande che sia.  In Italia, come pure in molti altri paesi europei, si vota meno e le maggioranze che si formano hanno spesso un tratto moderato conservatore, se non proprio di “destra”. Si tratta di un fenomeno diffuso che colpisce tutte le democrazie occidentali: alle recenti consultazioni europee in Italia ha votato il 49,6% degli aventi diritto (per una interessante analisi del voto vedi https://www.censis.it/governo-pubblico/elezioni-un-cittadino-europeo-su-tre-minacciato-dal-declassamento-sociale come pure l’analisi di Nando Pagnoncelli sul Corriere https://www.corriere.it/sette/25_gennaio_20/astensionismi-l-europa-si-e-stancata-della-democrazia-9cfbd22c-0bb5-4d5f-86e5-80f039865xlk.shtml?refresh_ce). Alle recentissime consultazioni regionali, nelle tre regioni interessate Campania, Puglia e Veneto gli astenuti sono stati ben oltre il 50%. Sulle cause e le motivazioni non se ne discute abbastanza: per la politica significa per un verso dover ammettere un suo intrinseco fallimento e per altro verso dover paventare un grave rischio e una minaccia incombente per la natura stessa del sistema democratico: fino a che punto è “sopportabile” il progressivo allontanamento dei cittadini dalle urne? Quale potrà essere la soglia al di sotto della quale il sistema potrebbe collassare, ovvero dover ammettere un “governo” della maggioranza della minoranza?

Ha scritto Massimo Franco sul Corriere “Quando va a votare meno di un elettore su due, c’è qualcosa che si è rotto nel rapporto tra i partiti e l’opinione pubblica” e poi Sabino Cassese: “La fuga dalle urne, il non voto, una volta fenomeno marginale, è divenuto strutturale. Per circa trenta anni della storia repubblicana ha votato il 93 per cento degli aventi diritto al voto. Poi, per un quindicennio, l’87; più tardi il 73; alle elezioni politiche del 2022 quasi il 64; ora, nelle elezioni regionali dei giorni scorsi, una minoranza, tra il 42 e il 45 per cento. Questo vuol dire che 5-7 milioni circa di elettori sono rimasti a casa, senza adempiere quello che la Costituzione definisce dovere civico. Si apre così un fossato tra società e politica, molto preoccupante perché democrazia indica una società che si autogoverna, attraverso il suffragio universale, una conquista che è costata tanto tempo e tanta energia. Il continuo calo, che dura da circa un quarantennio, costituisce un fenomeno grave per lo stato di salute della democrazia”.

Vedi pure indagine Istat su “Le relazioni sociali” https://www.istat.it/it/files/2023/04/5.pdf

Le domande che si pongono, a questo punto, sono due correlate tra loro: come e perché si è formato e consolidato questo fenomeno (e quali le radici o le cause dello stesso) e come porvi rimedio, come fronteggiarlo? Si tratta di un tema rilevante che la “politica” fatica a scrivere e trovare risposte. 

In questa sede ci interessa provare a mettere in relazione il fenomeno dell’astensionismo politico con quello della crescente attenzione alla rappresentazione mediatica (prevalentemente televisiva) del “male” in ogni sua forma, da quello assoluto rappresentato dalla guerra a quello relativo raccontato dal “genere crimine”. I due fenomeni possono essere correlati in qualche modo tra loro? Forse si.

Segue: dalla nascita dello “sceneggiato” poliziesco a Garlasco.

bloggorai@gmail.com