Il discorso che il Papa ha rivolto al ”popolo” RAI lo scorso venerdì, dentro e
fuori l’Azienda, è stato potente e devastante.
Leggiamo alcune frasi: “Settant’anni
di televisione, cento di radio: un doppio compleanno, che da un lato vi invita
a guardare indietro, alla vostra storia, tanto intrecciata con quella italiana;
e dall’altro vi sfida a guardare avanti,
al futuro, al ruolo che avrete in un tempo tutto da costruire” … ”I media,
infatti, influiscono sulle nostre identità, nel bene e nel male. E qui è il
senso del servizio pubblico che svolgete” … “riflettere con
voi proprio su queste due parole – servizio e pubblico –,
perché esse descrivono molto bene il fondamento della vostra missione: la
comunicazione come dono alla comunità” ... “la verità è “sinfonica” e che la si
coglie meglio imparando ad ascoltare la varietà delle voci – come in un coro –
piuttosto che gridando sempre e soltanto la propria idea. … La verità è
proposta, mai imposta” … “il vostro lavoro è connesso al bene comune di
tutti e non solo di qualcuno. Ciò comporta in primo luogo l’impegno a
considerare e a dar voce specialmente agli ultimi, ai più poveri, a chi non ha
voce, a chi è scartato”… “…Non perdere mai le capacità di sognare” e infine “Non
bisogna inseguire gli ascolti a scapito dei contenuti: si tratta piuttosto di
costruire, attraverso la vostra offerta, una domanda diffusa di qualità”.
In questa affermazione conclusiva si colloca il cuore del
problema: la RAI non sogna e non fa sognare,
non guarda (non può) guardare al futuro, non promuove e non produce. Vive di
rendita del suo passato tra repliche di successi lontani e modelli narrativi
ormai consunti: uno dei suoi settori di punta, la fiction, oscilla tra passato trapassato e brutte copie di prodotti
già esauriti (le varie Imma Tataranni, l’Ispettrice Lobosco e un rinato Don
Matteo) buoni solo per Villa Arzilla. Per un “Mare fuori” che riscuote successo
si deve pagare pegno con altre mezze tacche. Si festeggia Sanremo una volta l’anno
e per il resto degli undici mesi si arranca tra coproduzioni esterne e fiaschi
editoriali. E così via. Mancano i soldi
ma mancano anzitutto le idee: che fine hanno fatto le varie Direzioni creative?
Cosa hanno “creato”??? E’ mai possibile che il commento del giorno di RAI
Uno sia affidato in monopolio a Bruno Vespa? Già, Papa Francesco ha esortato ad
essere concentrati sui “contenuti”. Non è la prima volta che leggiamo un
pensiero del genere: “Content is the King” è del 1996.
Bene, scendiamo sulla terra e occupiamoci di quanto succederà
nei prossimi giorni.
La Democrazia, come
noto, tutto sommato è una “faccenda” semplice. Io mi candido ad
amministrare il ”bene comune”, tu valuti la mia onestà, la mia indipendenza, la
mia competenza e la mia esperienza e se riscuoto la tua fiducia mi voti,
altrimenti voti un’altra persona. Punto e amici come prima. Non si capisce
perché, quando si parla di RAI questa faccenda semplice dovrebbe essere tanto
complicata. Pensate voi alle proposte di riforma della Governance (ben 4+2
nella precedente legislatura) tutte finalizzate a rendere la RAI “libera dai
partiti”…sic!!! Sarebbe sufficiente che il Parlamento applicasse questa
semplice “faccenda” della Democrazia e “votasse” i/la candidato/a a fare il
prossimo Consigliere di amministrazione con criteri “democratici” o, per farla
più semplice e attuale, con quanto disposto dal recente Media Freedom Act e, per paradosso, si potrebbe anche fare a meno della riforma della governance.
Il Parlamento, come
da Legge 220, “vota” e non “nomina”. Io mi candido, ti presento il mio CV,
ti propongo un testo dove espongo alcune sommarie riflessioni e dimostro conoscenza di nozioni sui
“fondamentali” del Servizio Pubblico (Concessione, Convenzione, Leggi di
riforma varie, Contratto di Servizio,
leggi varie, conoscenze tecnologiche, società etc), mi confronti con altri
candidati sulla base di un punteggio e chi ottiene il risultato migliore vene
eletto dal Parlamento. Semplice no?
Del resto, non si capisce perché, ad esempio, per diventare
titolare di una qualsiasi cattedra universitaria, ovvero per fregiarsi del
titolo di Professore, per la più semplice che sia, occorre: A -Laurea nella
materia in cui si ha intenzione di insegnare. B- Dottorato di ricerca, che può
avere una durata tra i tre e i cinque anni. C- Concorso per diventare ricercatore.
D - Concorso per diventare professore. Ma se vogliamo farla ancora
più semplice, pure per condurre una locomotiva occorre dimostrare di saperlo
fare e così via. Invece non si capisce perché, quando parla di nomina RAI, che
siano direttori o consiglieri di amministrazione, è sufficiente una telefonata
di una segreteria di partito, quale che esso sia. Urticante!
Perché sostenere o
essere indifferenti rispetto al grande imbroglio che si sta apparecchiando con
la presentazione dei CV per la selezione dei prossimi consiglieri che nessuno
mai prenderà in considerazione?
Perché dare per scontato che Rossi debba essere AD, la Agnes
Presidente mentre i consiglieri saranno “nominati” con la logica della Legge 220 ormai superata e non con i criteri del MFA che a breve entreranno in vigore?
Lo ripeteremo ogni giorno:
candidiamoci tutti
e prepariamoci
ad un ricorso in Giudizio!
Si può fare, si dovrà fare!!!
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