venerdì 13 settembre 2019

Il bersaglio grosso

Da qualche giorno su tutti i giornali si parla del riallineamento (su quale ci sarebbe tanto da riflettere) del Cda rispetto ai nuovi equilibri di Governo. Il primo passaggio di questo processo dovrebbe consistere nella "rimozione" del presidente Foa, cosa tutt'altro che facile e non tanto per l'aspetto giuridico (Vigilanza, Tar, intervento del MISE) quanto perchè (nessuno lo scrive) non è proprio una passeggiata trovare un altro presidente. Ipotesi interna: i candidabili (in questa perversa logica del riallineamento) potrebbero essere tre, Coletti, Borioni e Laganà. Questi ultimi due hanno votato contro il Piano industriale, cioè contro colui che se ne intestata la paternità. A dir poco si profila un dubbio di identità e credibilità. Rimane Coletti espressione diretta del M5S e proprio perchè tale potrebbe far sorgere problemi di equilibri politici, interni ed esterni alla Rai. Da non dimenticar ch si è riaperta una battaglia fondamentale per il rinnovo dei vertici di AgCom e Privacy dove il bilancino delle presidenze è sempre molti delicato. Nel precedente Governo avevano raggiunto una specie di patto con AgCom alla Lega e Privacy al M5S. Ora tutto è cambiato.
Ipotesi esterna: paradossale tanto appare semplice e difficile allo stesso tempo. Semplice perchè basta trovare un nome adeguato (ne girano tanti) e il Mise lo indica come presidente, Difficile perchè richiede una serie di passaggi non semplici e non brevi. Un nostro lettore, esperto dell'argomento, ritiene che bene che vada ci vorrebbe qualche mese. In questo modo si arriverebbe quasi a metà mandato (sic) di questo Cda e allora sarebbe logica una domanda: conviene? è opportuno?

A proposito di convenienze: si legge da qualche parte che tra i nomi in ballo per l'incarico di sottosegretario con delega alle TLC rigira il nome di Giacomelli. Un vero amico della Rai: andatevi e rileggere quanto ha dichiarato in passato e ricordate che il nefasto prelievo dei 150 milioni è avvenuto sotto il governo Renzi con lui in carica. Per non dire degli altri nomi di renziani che ricicciano, dentro e intorno alla Rai.

E qui veniamo al punto di oggi. Premessa d'obbligo: non abbiamo nessun sentimento ostile verso l'AD in quanto tale, a parte il fatto che impersona la logica che abbiamo sempre avversato dell'uomo solo al comando (come la Legge Renzi gli affida). Detto questo il gioco del tiro al piccione verso Foa, ritenuto solo responsabile della stagione "sovranista" non è convincente. Non lo è perchè, giocoforza, ogni atto, ogni disposizione, ogni nomina non solo deve essere sottoscritta dall'AD ma richiede pure, giocoforza, una preventiva trattativa tra tutti gli interessati dove però il suo ruolo e il suo peso sono, o dovrebbero essere,  determinanti. Tanto per intenderci: la direttora di Rai Uno Teresa De Santis non è scesa dall'albero del pero. Si può argomentare che l'AD non entra nell'autonomia editoriale delle reti. Si certo, ma entra nella valutazione dei risultati. In altre parole: tu fai quello che vuoi ma lo fai male io ti caccio. Vogliamo poi dire delle nomine al palinsesto o al marketing oppure dell'abusivo DG (NON Previsto dalla Legge). PUNTO. Tutto questo per dire che il passatempo che si legge anche oggi sui giornali appare come "distrazione di massa" dal vero problema. Questa governance Rai è in grado di gestire l'Azienda e tutti i suoi gravi problemi (ieri abbiamo fatto un sommario elenco)?  La squadra, nel suo complesso, nella sua collegialità, tutti insieme, sono all'altezza delle sfide? Purtroppo, come nel calcio, succede che al "baretto sotto casa" tutti convergono che quando la squadra gioca male la colpa è sempre dell'allenatore. Ma non è sempre così: spesso e volentieri è della società (del suo presidente) che ha messo in campo giocatori, allenatore e tecnici vari inadeguati.

Ieri lungo Cda dove, a quanto leggiamo, hanno avviato la riflessione sulla crisi di ascolti. Bene. Ottimo. Osservazione: quanto tempo è necessario per riflettere? La crisi è oggi, lo sarà domani e sempre più nei prossimi tempi. Attenzione: non è solo crisi di numeri, di percentuale di share. E' crisi di riconoscibilità, di credibilità, di legittimità verso chi paga il canone. Semplificando: di posizione sul telecomando. Se il pubblico si abitua a pensare che, ad esempio, l'approfondimento politico in prima serata lo trova solo su La7 sta a dire, semplicemente, che quel pubblico lo hai perso. Inoltre, come continuiamo a scrivere: c'è una grave crisi negli ascolti digitali con un trend che da quando è iniziato non accenna a riprendersi: la Rai è staccata di almeno sei posizioni rispetto a Mediaset.

Leggendo il resoconto sommario del Cda di ieri, la sensazione diffusa è che si mena il can per l'aia (povero cane: perchè menarlo? Il senso vero di "menare" in questo caso è "condurre"). In altri termini: si perde tempo. Un Azienda normale, con un AD normale, le decisioni le prende subito. Ma, è noto, la Rai non è un 'Azienda: è Servizio Pubblico.

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