Ieri un articolo di giornale si interrogava sulla Rai “di destra”. Mah, non sembra che sia nulla di nuovo. La memoria fa strani scherzi: non sono passati tanti anni da quando a Viale Mazzini comandava la famigerata “struttura Delta” mentre chi poteva e doveva intervenire per arginare le loro malefatte (si accordavano i palinsesti con la concorrenza) era “distratto” da altri equilibri. Resteranno nella storia i ministri o sottosegretari “di sinistra” per aver cercato di porre soluzione al conflitto di interessi? No! Destra, centro o sinistra? C’è qualcosa di nuovo che forse ci è sfuggito? Siamo grati per eventuali segnalazioni.
Oggi è domenica. Passiamo oltre.
Massimo è un uomo forte e gentile, timido e alquanto silenzioso. Non mostra i muscoli, non alza la voce e non ti pianta gli occhi addosso. Appartiene a quel genere di persone che non ha bisogno di esporsi, di vantare, di accreditarsi. Per lui “una parola è poca e due sono troppe”. Professione: boscaiolo. Si muove a suo agio tra fratte e forre, tra rovi e sottobosco. Sa potare e zappare la vigna a modo. È capace di tenere la motosega con una sola mano e ti sa dire esattamente quando è tempo di cambiare il vino. Ieri il vento girava a Scirocco ed era pure alquanto nuvoloso: a domanda risponde “non si può fare,ci vuole freddo e bel tempo, magari a Tramontana”. Punto, non si discute.
Ieri abbiamo passato la giornata tra i filari di vite. C’era da “addrizzare” la piante dell’anno scorso. Lui sa come si fa e io guardavo silenzioso. Gesti rapidi e precisi, senza esitazione, come se sapesse da quando era bambino come e dove tenere fermo il tralcio. Massimo era consapevole che lui era il maestro e io l’allievo. Nel mentre e nel quando, scorrendo lungo il filare, c’era da tagliare qualche caccione di troppo mentre io tentennavo e mi veniva spontaneo chiedere “ma è proprio necessario?” lui mi gettava uno sguardo rapido e senza battere un attimo, prendeva e tagliava. “Se vuoi il vino buono devi potare bene”. Punto. Non c’è dibattito, è stato sempre così e così sarà sempre. Poi, ad un tratto, arriviamo ad un punto dove tanti anni addietro avevo messo una “vita americana” tanto forte e vigorosa quanto, apparentemente, inutile. Chiedo “che facciamo?” … silenzio … la guarda attentamente e mi chiede “a che serve?” ed io a lui “doveva servire a proteggere la vigna dalla malattia (la peronospora) … ma … boh …”. Massimo a me: “Ma tutti ‘ sti tralci coprono i graspi nuovi!”… già … e allora, che facciamo? La buttiamo giù? No, dico io: proviamo ad innestare un caccione nuovo, ora sarebbe il momento giusto. Già … ecco allora che esce allo scoperto la sapienza semplice e antica: “Bisogna saperlo fare perché se no’ perdemo tempo”… già … bisogna saperlo fare. Massimo: “Avevo visto la tua pergola di uva Italia che butta tanto bene e volevo, appunto, prendere un caccione per fare un innesto. Sono due anni che ci penso e ancora non mi decido … bisogna saperlo fare”. Tutto qui. Semplicemente: “bisogna saperlo fare”. Tutto, come sempre, molto semplice.
Vi avevo accennato di un altro personaggio: Osvaldo, fiumarolo mio coetaneo. Da anni, solitamente, faccio una lunga camminata lungo il Tevere. Non solo è un utile esercizio per il corpo ma anche per la mente. L’altro giorno lo incontro. Lo vedo da lontano mentre, da solo e pensoso, scruta l’acqua che scorre. Anche lui non è poi di tante parole. Controllava gli ormeggi del suo barcone. Tutto a posto. Poche battute e, come al solito, torniamo indietro negli anni, quando eravamo ragazzetti. Io di Panico (poi “emigrato” a Borgo Pio) e lui di Campo de Fiori. Io "dar Ciriola” e lui da “Ercole Tulli”. Due scuole, due mondi, due linguaggi come pure erano diversi i nostri rioni. Il mio barcone era alquanto popolare: “Stabilimento Bagni Rodolfo Ciriola” si leggeva sul fianco dell’antico e forse ultimo barcone pontificio addetto al trasporto della “rena” (la sabbia) che nell’ultima stagione della sua vita venne ribattezzata come “la Nave dei folli”.
Poi, in verità, Panico era un rione “popolare” fino ad un certo punto perché al suo interno convivevano palazzi nobili e botteghe artigiane. Il barcone di Tulli invece era più su, vicino a Ripetta, dove anticamente c’era l’antico porto di Roma. Ha avuto molta gloria e fortuna nel bel mondo del cinema ricco e fortunato, mentre quello del Ciriola era quello della Roma dei “poveri ma belli” dove pure vennero girate alcune scene del noto film di Dino Risi. Già soli i nomi “Ercole” e “Ernesto” danno pensiero. Con Osvaldo abbiamo osservato e ricordato che hanno avuto lo stesso destino: i due barconi con una piena del Tevere hanno rotto gli ormeggi e sono affondati e, con loro, una parte di Roma che ora non c’è più. Ci siamo guadati con uno sguardo di nostalgia e, prima di salutarci mi ha detto “Ma io sul Tevere ci vengo sempre”. Io pure. Buona passeggiata.
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