Scusate il ritardo ma, potete bene immaginare, che non è facile scrivere di Rai in queste circostanze.
Chi vi scrive ha trascorso molti anni della sua gioventù in collegio. Non era gestito dalle Pie Ancelle delle Orsoline e non si trovava sul lago di Lucerna. I ragazzi che ci vivevano non erano tutti proprio dei giovincelli dorati, viziati e pasciuti. Tra di noi vigeva una specie di tacito accordo di pacifica convivenza civile. Per tutte le controversie dove non arrivava il Direttore (e in genere arrivava sempre prima e dovunque), ce la vedevamo da soli e spesso volavano sganassoni. Succedeva che ogni tanto arrivava un nuovo ospite che, per cercare spazio, si atteggiava a bullo prepotente e aggressivo. Lo scenario era noto: anzitutto interveniva il Direttore e il suo fido “assistente” Franco (un armadio a quattro ante che solo a vederlo metteva soggezione tanto forte quanto innocuo, bastava solo il suo sguardo per rimettere ordine) che mettevano subito il bullo in condizioni di non nuocere, facendogli amichevolmente capire A) che le regole del Collegio non prevedono l’uso della violenza B) che non gli conveniva affatto provare ad assumere atteggiamenti minacciosi e aggressivi. Se mai le prime due regole non fossero state ben comprese c’era la regola C: prima ancora che il bullo provava a sollevare un pugno gliene arrivava uno che lo metteva subito in riga. Punto. Il bullo era neutralizzato. Questa era la nostra “diplomazia” e funzionava benissimo. Ne siamo usciti tutti sani e salvi.
Ora invece abbiamo la minaccia dell’Apocalisse dietro la porta. Questo il sentimento che si sta instillando. Questo il messaggio ricorrente che si sta diffondendo. Questa la sensazione che si sta respirando. Piaccia o meno, ma il rumore delle armi arriva fin sotto casa nostra e per alcuni, per un verso o per un altro, tutto questo appare anche come giusto e giustificabile.
Appunti sommari. Una pistola, un missile anticarro, un carro armato sono armi difensive o offensive? Produrre armi, venderle o regalarle è un atto pacifico o aggressivo? Ci sono guerre “giuste” ed altre “ingiuste”? la democrazia si può “esportare” sui cingoli dei cannoni? I “danni collaterali” ovvero le vittime civili sono ammissibili e, semmai lo fossero, in che misura sono quantificabili, in termini assoluti o percentuali sui militari? Sono interrogativi che ci poniamo da tempo.
Ieri abbiamo pubblicato semplicemente il testo dell’Art. 11 della nostra Costituzione “L’Italia ripudia la guerra come strumento di soluzione delle controversie tra i popoli …” e ci poniamo, da tempo, il dubbio se mai è ancora valido oppure qualcuno se lo è dimenticato. Ci siamo posti questo interrogativo, in epoca recente, già da quando il nostro Paese ha partecipato attivamente alla Guerra nei Balcani (1994, Governo D'Alema con Ministro della Difesa Sergio Mattarella). “I nostri piloti hanno partecipato a 1378 missioni effettuate con 54 velivoli messi a disposizione della NATO. Hanno sganciato centinaia di bombe e 115 missili Harm ognuno dei quali ha un costo di 900 milioni. I nostri aerei sono stati impiegati sia in missioni di difesa aerea, sia in missioni di attacco” ebbe a dire il Generale Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa (intervista al Corriere della Sera del 12 giugno 1999). Questo interrogativo ce lo siamo posti ancora quando abbiamo partecipato con i nostri caccia da combattimento e i nostri blindati alla “missione di pace” in Afghanistan (e abbiamo visto come è andata finire). E allora? Siamo vincolati ancora a quel dettato costituzionale oppure riteniamo che la strada della trattativa debba essere in ogni modo, in ogni luogo e per tutte le circostanze la strada maestra da perseguire sempre? Ad ascoltare in queste ore alcuni nostri componenti del nostro Governo ci corre qualche dubbio se questo principio sia ancora valido e condiviso.
Come ci piace scrivere, i fenomeni sociali, economici e politici non avvengono mai, mai, per caso. Tutto segue una logica, un filo, un disegno che solitamente è chiaro da tempo per tutti. Putin è una creatura venuto dal nulla? È stato “inventato” lo scorso 24 febbraio quando ha deciso di invadere l’Ucraina oppure era noto da tempo, a tutti, quali fossero i disegni che si stavano tracciando non solo in Ucraina ma in tutto il perimetro dei rapporti tra Russia e resto del mondo? Chi aveva ratificato e sostenuto gli accordi di Minsk 1 e Minsk2? I due accordi (2014 e 2015) portano anzitutto le firme di Hollande (Francia) Merkel (Germania) insieme a Putin e che poi saranno approvati da una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Se non che, sono passati ben sei anni, e gli accordi non sono stati rispettati da tutte le parti, compresa l’Ucraina, mentre solo ora si rievocano per dire che “La "piena attuazione degli accordi di Minsk, l'unico modo possibile per ottenere una soluzione politica duratura del conflitto nell'est Ucraina” come hanno dichiarato i ministri degli Esteri del G7 in una dichiarazione congiunta al recente vertice dei giorni scorsi. Lo sapevano tutti da tempo, ben prima del 24 febbraio quale era la strada da percorrere per impedire la guerra.
Veniamo alla Rai: due note. La prima riguarda la “copertura” dell’evento più importante in assoluto degli ultimi decenni. La scorsa notte, quando sembrava di essere sull’orlo della catastrofe assoluta, sulla prima rete nazionale andava in onda la replica di Montalbano e uno speciale su Rai Tre, salvo poi trovare un buco introno alle 23 per quasi un’ora. Siamo dell’opinione che questo non possa e non debba accadere: in tali circostanze ci dovrebbe essere uno spazio di approfondimento e di aggiornamento costante in prima serata su RaiUno e non ci si venga a dire che la copertura è garantita da RaiNews24 che pure in questi momenti non supera cifre di ascolti da elenco telefonico. La seconda nota, vi è stata suggerita, riguarda la “sinergia” tra le diverse testate giornalistiche con i corrispondenti sul teatro di guerra. Forse è vero, ma è solo il minimo sindacale per un’Azienda che dovrebbe avere un coordinamento giornalistico efficiente, organico e funzionale adeguato, la cosiddetta “newsroom” che ancora sembra ben lontana anche solo dall’essere immaginata.
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