Ogni paese, ogni popolo, ha i suoi misteri, più o meno gloriosi. Noi, in Italia, in questo Paese, ne abbiamo tanti e, tra questi, il festival di Sanremo. Per chi vi scrive è sempre misterioso comprendere perché oltre 10 milioni di concittadini possano decidere di passare la loro serata in compagnia del Festival di Sanremo. Non vogliamo esprimere giudizi, ognuno è padrone di scegliere (per fortuna) come meglio crede il modo di spendere il suo tempo e il telecomando rimane pur sempre un grande strumento di libertà. Per quanto vi abbiamo scritto nei giorni scorsi (e pure lo scorso anno) lo riteniamo un evento meritevole di De Profundis, destinato ad una lenta e inesorabile estinzione. Però, dobbiamo ammettere, che forse ci sbagliamo e magari gli Italiani hanno bisogno, quasi necessità fisiologica, di un Sanremo qualsiasi in grado di sburlettare un Draghi che se eletto Capo dello Stato avrebbe fatto il “discorso a banche unificate” oppure che Amadeus sta al Festival come Fiorello alla terza dose di vaccino antiCovid: geniale!!! In fin dei conti, un mistero è tale se rimane eterno ed insolubile, altrimenti non è più un mistero e diventa una storiella qualsiasi.
Obiettivamente difficile cercare di comprendere il presente se non si ha qualche domestichezza con il passato. Sembra infatti assai complicato cogliere le tracce, i segni essenziali, di quanto avviene oggi se non abbiamo adeguata conoscenza con quanto avvenuto ieri. Proponiamo alcune letture: anzitutto il breve saggio di Giacomo Leopardi con il titolo “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'Italiani” dove leggiamo: “Primieramente dell’opinione pubblica gl’italiani in generale, e parlando massimamente a proporzion degli altri popoli, non ne fanno alcun conto. Corrono e si ripetono tutto giorno cento proverbi in Italia che affermano che non s’ha da por mente a quello che il mondo dice o dirà di te, che s’ha da procedere a modo suo non curandosi del giudizio degli altri, e cose tali” e poi “…La perpetua e piena dissimulazione della vanità delle cose, dissimulazione che tutti fanno verso ciascuno nelle parole e nei fatti in una società stretta, e che ciascuno è obbligato nello stesso modo a fare continuamente con tutti gli altri, inganna in qualche guisa il pensiero”. Da tenere a mente il concetto di “società stretta”.
Poi il monumentale primo volume della Storia d’Italia Einaudi, I Caratteri originali (1972) dove si trovano, divisi per grandi temi, contributi di penne come Ruggiero Romano sull’economia, Giuseppe Galasso sulle forme del potere, Carlo Ginzburg su religione e magia, Giulio Carlo Argan sull’arte e, infine, Giulio Bollati proprio su “L’italiano”. Citiamo le prime righe del suo capitolo “Il carattere degli italiani e il suo problema storico” e leggiamo l’incipit: “A Princeton, studenti invitati a definire gli italiani rispondono senza pensarci su troppo: Artisti, Impusive, Passionate”. E più avanti: “… la supposta <natura> dell’italiano cambia secondo i tempi, i luoghi e, certo non ultima, l’inferenza dell’osservatore”.
Poi proponiamo il fondamentale volume di Luigi Barzini “Gli Italiani. 53 milioni di protagonisti” (1964) dove si tracciano a grandi linee gli usi e costumi dei tanti diversi tipi di italiani (e di stranieri dai quali provengono le antiche genti) in quel determinato momento storico. Come segnalibro di questo volume abbiamo ritrovato un articolo comparso su Repubblica nel giugno del 2012 a firma John Lloyd, con il titolo “Italiani allo specchio: coraggiosi ma troppo egoisti”.
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Speravo in una riflessione tua più approfondita. Sei andato a fare una gran ricerca di cui ne scrivi un sunto, dal quale è difficile farsi un opinione, almeno con la tua avrebbe le basi per essere più giusta con le ricerche che hai fatto. Perchè dire che sia difficile dare una lettura non è un finale nè un idea. Comunque ottimo articolo
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