In questi giorni, in queste ore, mi frulla per la testa un
quesito complesso determinato dalla mole di dati che ogni giorno, ogni ora e da
molteplici parti ci vengono proposti per comprendere quanto sta succedendo: che
differenza c’è tra probabile e possibile? Google ci aiuta a risolvere il problema e
facilmente ci propone risposte plausibili che tuttavia non fugano i dubbi. Il
primo termine è stato definito compiutamente dal matematico svizzero Bernoulli:
“Probabilitas enim est gradus certitudinis et ab hac differt ut pars a toto”
che si potrebbe tradurre in “La probabilità infatti è il grado della certezza e
da questa si differenzia come la parte dal tutto". Altro ragionamento per
la possibilità: la Treccani propone e convince “Il fatto di esser possibile, la
caratteristica di ciò che può esistere, realizzarsi, avvenire”.
Oggi, tanto per cambiare, c’è poco da commentare e quanto abbiamo
scritto ci è utile per ricondurre, spensierando, al clima sul ruolo del Servizio
Pubblico, sulla Rai. Abbiamo tempo da perdere, ci dicevamo ieri con un
autorevolissimo ex collega attualmente in servizio e ci possiamo permettere qualche
divagazione senza arte ne parte, tanto siamo in buona compagnia di chi pur
avendo l’una e l’altra si permette divagazioni non meno spensierate (vedi i
post dei giorni scorsi sulle fake news etc).
Quanto è probabile/possibile che la Rai possa uscirne bene
da questa drammatica esperienza storica? Ci viene una risposta: è possibile,
giacché attiene alla volontà, allo spirito positivo e propositivo dell’azione
umana. È poco probabile in quanto il grado di certezza che qualcosa possa
migliorare è determinato da una parte, la politica, che non si differenzia dal
tutto.
Ieri diversi affezionati lettori ci hanno ricordato che non
abbiamo citato un intervento, apparso sul Corriere di mercoledì, di Giampaolo Sodano.
Ci scusiamo e rimediamo: “L'altro giorno il regista Pupi Avati ha lanciato un
appello, dicendo: almeno in questo periodo di mestizia alziamo il livello
culturale del servizio pubblico. Il presidente Foa gli ha risposto. Ma, secondo
Sodano, «ha detto che va tutto bene, invece va male, perché assistiamo a
trasmissioni frutto di improvvisazioni e piene di volgarità, ci sono perfino
programmi rifiutati dai telespettatori e la Rai è costretta a chiuderli».
Replica il presidente Foa che due reti dedicate alla cultura già esistono, Rai5
e Rai Storia. Ma cosa offrono? «Vecchi programmi visti e rivisti — dice Sodano
—. E quelle poche novità che si cerca di introdurre risultano spesso senza capo
né coda». Non si percepisce affatto quella che Foa definisce «sensibilità
diffusa della Rai per la cultura». Sodano nota «insulsi programmi che vengono spacciati
per grandi novità solo perché affidati a un autore o a un conduttore mai visti
prima, in realtà sono prodotti privi di buon gusto, mentre si potrebbe dare
un'impronta culturale anche a trasmissioni di intrattenimento». Serve un
rinnovamento radicale, «non si ci si può limitare a semplici modifiche, il
servizio pubblico va ripensato nella sua totalità». Infine: “Propongo di
elaborare uno straordinario contratto di servizio che obblighi la Rai ad
utilizzare quei fondi per sostenere il cinema, il teatro, gli enti lirici, le
imprese audiovisive, l'editoria, i siti archeologici. Quest'opera di
valorizzazione del nostro patrimonio culturale dovrebbe essere basata sulla
produzione di programmi e l'acquisto dei diritti di utilizzazione». 12 tv,
ritiene Sodano, «non ha bisogno né di santoni né di imbonitori, ma di manager
in grado di reinventare il servizio pubblico, che non può limitarsi alla
comunicazione istituzionale per giustificare il canone”.
Si tratta di un ragionamento interessante che merita
attenzione. Riguarda proprio il futuro del Servizio Pubblico Radiotelevisivo
che è il tema centrale sul quale questo Blog è impegnato da quando è iniziato.
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