Buona domenica care Lettrici e cari Lettori.
Vi accenno una breve storia di ordinario giornalismo: chi vi scrive
ha iniziato a frequentare notizie e opinioni nel lontano 1977: prima con le
radio libere, poi con la carta stampata e, infine, con la Radiotelevisione Italiana.
Dopo tanti anni, è naturale che crescano tondini di ferro sullo stomaco e si maturi una certa “sensibilità”, una
capacità a sentire la puzza di bruciato da lontano, a distinguere il grano dall’oglio.
Tutto questo per riprendere il post di ieri e fare un passo indietro e uno avanti.
Il tema è l’informazione su Rai Play. Passo indietro: lo scorso 17 aprile sul
sito di Repubblica.it compare un pezzo (mai smentito), a firma Adriano Bonafede, con il
titolo “RaiPlay, questa sconosciuta, è la stessa Rai a bocciarla”. Al suo interno
si legge: “Bocciata. RaiPlay, la
piattaforma multimediale che permette di accedere ai contenuti della Rai, è
ancora troppo poco conosciuta. Gli sforzi comunicativi fatti finora, in
particolare lo show di Fiorello che veicolava l’operazione “Viva RaiPlay”, non
hanno sortito l’effetto sperato. E, anche tra chi sa cos’è, sono pochi coloro
che hanno provato a effettuare l’accesso e ne sono diventati fruitori fedeli.
Inoltre, il sito Internet stesso costituisce una barriera al suo uso perché
lontano dall’esperienza intuitiva e facile di Netflix e Amazon Prime, che sono
ormai il benchmark del settore.
A stroncare
RaiPlay non è un rancoroso critico della Rai, ma la stessa sezione di marketing
della società pubblica, che ha appena comunicato all’interno i risultati di un
sondaggio effettuato su un "campione di italiani” e giù via raccontando. Su questa
notizia, per certi aspetti, un piccolo scoop, nessuno, dicasi nessuno, ha
ripreso l’argomento.
Torniamo all’apertura di questo post. Chi si occupa di comunicazione, impiega buona parte del suo tempo appunto a “comunicare” cioè a
diffondere messaggi o notizie; succede che spesso, altra parte del suo tempo debba
essere impiegato nel cercare di “non comunicare” o non fare uscire una notizia,
silenziarla, non dargli peso o credito. Un metodo usato è quello del distogliere
l’attenzione. Ricordate quando è avvenuto il cambio di proprietà a Repubblica? Il
23 aprile. Quando “riciccia” la storia della mail truffa alla Rai sulla prima
pagina di Repubblica? compare il 9 maggio. Ci mancherebbe altro … le due storie
non hanno nulla in comune. Si parla d’altro ma succede, appunto, sempre così: quando
un argomento “brucia” o lo si spegne o lo si dimentica.
Ma perchè questa storia di Rai Play può essere tanto rilevante?
Per un semplice motivo: è una storia trasversale, un paradigma, che interessa
tanti del presente e del passato, investe tante risorse e responsabilità manageriali
e, sostanzialmente, mette a nudo ancora una volta l’eterno e banale problema:
chiamatelo come volete ma si tratta di progetto, di visione, di prospettiva, di
strategia editoriale e industriale che
hai o non hai, non è merce che si compra al mercatino dell’usato. Rai play
sarebbe potuta essere una buona occasione per aprire nuove strade per il
Servizio Pubblico (con le maiuscole) e si sta sprecando, si corre il rischio di
gettarla alle ortiche, nonostante ogni tanto qualcuno prova a dire che sono relativamente
aumentati il numero dei LS (Legitimate Streams). Le chiacchiere stanno a zero: questi
l’ultimo “bollettino di guerra” di Auditel Digitale e se avete voglia confrontatelo con i dati di alcune mesi addietro:
Ieri una
nostra esperta e autorevole lettrice ci ha detto: “Ma perché è stata riposta tanta energia
nello sviluppo di Tv Sat e non in una analoga piattaforma Web?” Bella domanda. Aggiungiamo
e riproponiamo quanto già scritto: perché Rai non si è dotata, come avrebbe potuto
e dovuto, di una propria rete senza dover sottostare al giogo di fornitori esterni
con tutti i problemi che ne possono derivare. La risposta facile è: non ci sono
i soldi. Bugia …Tremenda bugia!!! I soldi c’erano e in parte ci sono, il
problema è che vengono spesi in altre direzioni: vogliamo parlare dei profitti
che genera Rai Way e dove vengono reinvestiti o redistribuiti gli utili? Vogliamo parlare del
costo delle produzioni esterne e del peso degli agenti sulle scelte editoriali? Vogliamo parlare di quanto costa Rai News24... E così via scrivendo.
Visto che
anche oggi non ci sono notizie di rilievo vi proponiamo un articolo di ieri sul
Corriere a firma Renato Pagnoncelli dal
titolo “Il 63% (degli italiani) teme la rabbia sociale: impedirà la ripresa del
Paese”. Abbiamo posto anche noi questo tema: come ne usciremo dalla crisi del
Coronavirus, quale sarà il livello di ”coesione sociale” cui siamo pervenuti dopo
questa drammatica esperienza? In particolare poi, come e quanto il Servizio
Pubblico (maiuscolo) può contribuire a modificare queste dinamiche? Giriamo la
domanda a nostri esperti autorevoli lettori particolarmente impegnati su questo
tema.
A questo
proposito, infine, un nostro lettore qualificato ed esperto, ci ha proposto una
specie di “manifesto” per “La Rai che sarà”: c’è molto materiale sul quale discutere e ve lo proporrò.
bloggorai@gmail.com
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