lunedì 18 maggio 2020

Epifenomeno Rai


Questa mattina, con la consueta nebbia sui grandi temi che potrebbero interessare il Servizio Pubblico, la Rai e il sistema delle Tlc, ci è venuto in mente un termine: epifenomeno. La Treccani definisce questo sostantivo come “fenomeno accessorio o secondario, la presenza o l’assenza del quale non inciderebbe sulla esplicazione dei fenomeni essenziali” mentre su Wikipedia si legge “in filosofia è un fenomeno secondario e accessorio che talora accompagna o segue un fenomeno primario senza apparente necessario rapporto con esso”.

In altri termini, mettiamola così: il fenomeno primario è il Paese e i suoi problemi, il fenomeno secondario e accessorio è la Rai. Quale sia il rapporto, apparente o necessario, e in quale contesto di spazio e di tempo si possa collocare è discorso assai più complesso. Siamo costretti, indotti, limitati ad osservare quanto avviene nel breve arco di minuti, ore, giorni e poco più.

Ecco, appunto, per un verso siamo tutti consapevoli della rilevanza e della vastità dei problemi che si ponevano prima del Covid e si ripropongono ora per allora, per quando ci troveremo catapultati nella nuova era del 5G, della transizione al DVB-T2, delle piattaforme streaming sempre più aggressive e competitive rispetto al broadcast tradizionale. Per altro verso, sembra che tutto questo, a Viale Mazzini, venga vissuto come fatale destino incombente, verso il quale nessuno è in grado di opporsi o di intervenire e tutto, appunto, appare “secondario e accessorio” non tanto nelle forme esteriori di rappresentanza e percezione collettiva, quanto più nella sua intima natura. Il cuore pulsante di questi ragionamenti è, a nostro giudizio, esattamente quell’interrogativo che la BBC si è posta alcuni anni fa (esattamente alla vigilia del suo Piano Industriale 2018) quando stavano emergendo con particolare rilevanza le mutazioni “genetiche” del suo pubblico, che ne sarà del nostro futuro? Questa banale quanto semplice ed essenziale domanda sembra, appunto,  l’epifenomeno di cui abbiamo accennato che, a quanto sembra, non suscita particolare interesse o attenzione.

La domenica succede che si ha maggior tempo per riflettere e scrivere. In una bella lettera che ieri ci ha inviato un autorevolissimo ex collega ho letto: “Al mio sguardo di marinaio pare un galeone sfasciato, con le vele a brandelli, che naviga portato dalla corrente, gestito da un equipaggio con il solo proposito di sopravvivere a qualunque costo... La Rai è condannata per la sua natura ambigua al massimo a combattere battaglie di infima retroguardia…”. Dobbiamo anche osservare che questa deriva stanca e pigra sembra sapientemente accompagnata da una capacità di lettura e interpretazione dei grandi fenomeni da parte della  carta stampata pari a quella di un criceto che gira nella ruota della sua gabbietta: colleghi giornalisti da premio Pulitzer quando si tratta di scrivere valanghe di gossip mentre appaiono anchilosati quando invece sono alle prese con problemi più spessi di una foglia di rosmarino. Appunto, come se la “gente” non aspettasse altro che di sapere se Tinni Andreatta potrebbe diventare il prossimo AD Rai semmai Salini dovesse mollare per andare da Netflix (puro gossip).

Concludiamo su una riflessione interrogativa. I nostri lettori ricorderanno quando all’inizio del Covid ci siamo interrogati sul “linguaggio” e i modelli semantici utilizzati nella comunicazione e informazione Rai. Ci è venuto in mente un tema: “la distanza sociale”. È  stata ed è tuttora utilizzata come forma di profilassi preventiva contro la diffusione del Covid. Solo concettualmente, intendiamoci, osserviamo che si tratta dell’esatto opposto di quanto invece il Servizio Pubblico dovrebbe sostenere e perseguire: la coesione sociale. Allora, non si poteva almeno cercare di introdurre e sostenere una proposizione diversa che togliesse fuori il “sociale” da questa tragica dimensione sanitaria? Non si poteva cercare di usare una terminologia come, ad esempio,  “distanza sanitaria” o “separazione fisica”? Alimentare, sostenere e diffondere messaggi conflittuali e ambigui non aiuta nessuno. Al Servizio Pubblico dovrebbe competere anche questo compito. Ma, forse, si tratta appunto di un epifenomeno.

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