“Nonno, quando finirà questa brutta cosa del Coronavirus,
quando tonerò a scuola, quando ci toglieremo le mascherine?” Risponde il Nonno:
“Quando lo dirà la televisione!!!”. Dialogo surreale ma nemmeno poi tanto. Già… domani
inizierà una specie di “libera tutti” ma questo non significa che sarà finita e
non sono pochi coloro che già hanno la mano sulla pistola con la minaccia che “presto
il Covid tornerà” oppure “dobbiamo abituarci a convivere con il Cornonavirus e
con la distanza sociale”.
Ma come sono finite
le grandi pandemie nella storia? Vediamo come si conclude Cecità di Josè
Saramago: “… perchè siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà
a conoscere la ragione, Vuoi che ti dica una cosa penso, Parla, Secondo me non
siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur
vedendo, non vedono …”. Poi leggiamo La Peste di Albert Camus: “Ascoltando,
infatti i gridi di allegria che salivano dalla città, Rieux ricordava che quell’allegrria
era sempre minacciata: lui sapeva quello che ignorava la folla, e che si può
leggere nei libri, ossia che il bacillo della peste non muore né scompare mai,
che può restare per decine d’anni addormentato nei mobili e nella biancheria…e che
forse verrebbe giorno in cui, sventura e insegnamento degli uomini, la peste
avrebbe svegliato i suoi sorci per mandarli a morire in una città felice”. Poi,
Gabriel Garcia Marquez ne L’amore ai tempi del colera: “ Il capitano guardò
Fermina Daza e vide sulle sue ciglia i primi bagliori di una brina invernale. Poi
guardò Florrentino Ariza, il suo dominio invincibile, il suo amore impavido, e
lo spaventò il suo sospetto tardivo che è la vita, più che la morte, a non
avere limiti. «E fin quando crede che possiamo proseguire questo andirivieni
del cazzo? » gli domandò. Florrentino Riza aveva la riposta pronta da cinquatatrè
anni, sette mesi e undici giorni con le
loro notti. «Tutta la vita» disse.”. infine, Alessandro Manzoni con la Storia
della colonna infame: “così è avvenuto più volte, che anche le buone ragioni abbian
dato aiuto alle cattive, e che, per la forza dell’une e dell’altre, una verità.
Dopo aver tardato un bel pezzo a nascere, abbia dovuto rimanere per un altro
pezzo nascosta”.
Nei giorni scorsi l’Internazionale ha ripubblicato un articolo
del New York Times, con la firma di Gina Kolata, dal titolo “Come e quando finisce una epidemia” e leggiamo “Gli
storici distinguono due momenti conclusivi per le pandemie: la fine sanitaria,
quando crollano l’incidenza e la mortalità, e quella sociale, quando sparisce
la paura dovuta alla malattia. “Oggi, chiedersi ‘quando finirà tutto questo’
significa essenzialmente domandarsi quando arriverà la conclusione sociale”,
spiega il dottor Jeremy Greene, storico della medicina dell’università Johns
Hopkins. In altre parole, può accadere che la fine non arrivi perché l’epidemia
è scomparsa, ma perché la popolazione si è stancata di vivere nel panico e ha
imparato a convivere con la malattia”.
Conclusione: da quando le pandemie hanno fatto la comparsa
nella storia dell’umanità, allo stesso modo con cui si sono diffuse sono poi “scomparse”.
La Peste che pure da millenni ha fatto milioni di morti in tutto il mondo non è
stata “debellata” da vaccini, mascherine o “distanze sociali”. Il virus tuttora
esiste, insieme ad altri non meno violenti e aggressivi: è semplicemente “svanito nel nulla” come quando mancavano del tutto
le conoscenze e le competenze tecnologiche e scientifiche di cui oggi disponiamo
ampiamente. Ha scritto Susan Murray in un articolo pubblicato dal New England
Journal of Medicine: ” Dobbiamo essere pronti a combattere la paura e
l’ignoranza con lo stesso impegno con cui combattiamo il virus”, ha scritto
Murray, “altrimenti la paura infliggerà danni enormi alle persone più
vulnerabili, anche in luoghi dove non viene registrato nemmeno un caso di
contagio. Un’epidemia della paura può avere conseguenze terrificanti,
soprattutto se abbinata a problematiche legate alla razza, al privilegio e alla
lingua”.
A questo punto torniamo agli interrogativi posti dalla
nipotina. Chi gestisce la “diffusione” della paura? Attraverso quali meccanismi
si diffonde il timore, la preoccupazione, come si forma l’ansia collettiva, l’angoscia
esistenziale, come si definisce l’inquietudine? Domande complesse alle quali
difficile rispondere e cavarsela sommariamente con qualche battuta sulla
responsabilità e sull’uso sociale dei media. A noi è accessibile e rimane solo
la coda corta di questi interrogativi: quando finirà? E, per tornare alla
nipotina, sarà la televisione a comunicarcelo “ufficialmente” o saranno le
persone, ormai esauste e insofferenti che faranno una dichiarazione unilaterale
di resa al Coronavirus strappandosi le mascherine dal volto e chiedendo a gran voce
di poter tornare ai riti collettivi fondamentali per lo sviluppo della civiltà:
dalla Santa Messa allo stadio, dalla spiaggia libera ai banchi di scuola, dai
balli in piazza ai mercatini domenicali ? In questo caso, la televisione, non potrà
fare altro che riprendere le immagini di impazienza e intolleranza.
Temiamo fortemente che non sarà la “televisione”, non sarà
questa televisione a dirci nulla di tutto questo. Questa televisione, tutta
intera, pubblica e privata, ci ha solo proposto una parte di questo drammatico
racconto, ha dato prontamente forma e corpo ai suoi capitoli visibili
attraverso le telecamere, ma dubitiamo fortemente
che sarà in grado di proporci il capitolo finale, le ultime righe, i titoli di
coda e, infine, scrivere la parola “fine”.
bloggorai@gmail.com
ps: ovviamente,oggi non ci sono notizie sul Servizio Pubblico
È così. La Vita, la Storia, quella individuale come quella collettiva, macinano e digeeiscono tutto... Perchè a raccontarle sono soltanto i sopravvissuti.
RispondiEliminaBuona vita e buona salute, Patrizio ! Si vales bene est, ego valeo.