Da tempo scriviamo che appare allarmante il fatto che di Rai, di Servizio Pubblico, si parla
e si scrive poco o nulla (come oggi, appunto). Molti condividono l’opinione secondo la quale sta
venendo sempre meno la sua centralità e rilevanza nel panorama sociale, culturale e tecnologico del Paese. Si rischia di confondere l’aumento del numero di telespettatori
dovuto al Coronavirus con la sua legittimità o necessità.
Siamo indotti, nostro
malgrado, a cominciare a pensare che ci dobbiamo abituare a sostanziali
mutamenti. Il primo, piccolissimo,
riguarda questo blog: dobbiamo rivedere le maiuscole e minuscole che adoperiamo
quando scriviamo di servizio pubblico. Finora abbiamo sempre utilizzato le
maiuscole: il Servizio Pubblico, e così abbiamo inteso sottolineare la
specificità, l’unicità, l’essenzialità e
l’indispensabilità di un servizio audiovisivo di carattere generalista e universale
con l’obiettivo specifico di fornire al Paese informazione, educazione e intrattenimento.
Aggiungiamo: nell’interesse generale e senza finalità di lucro.
Ebbene, consapevoli di addentrarci in un terreno molto
complesso e delicato, progressivamente e inesorabilmente siamo indotti a ritenere che tutti
questi servizi “al“ pubblico vengono proposti, in modo differenziato,
articolato e seppure con finalità commerciali (perseguite anche da Rai), anche
da altri soggetti che talvolta sono anche migliori di quelli offerti da Viale Mazzini. Il Servizio Pubblico, per come lo abbiamo conosciuto, difeso e sostenuto finora, sarà e dovrà essere
necessariamente diverso. Questo processo, già presente da tempo e avvertito non
solo su questo blog, volente o nolente si sta facendo strada sempre più
velocemente e la crisi drammatica del Coronavirus potrebbe accelerarlo. Gli ingredienti ci sono tutti: la politica anzitutto che annaspa da
tutte le parti ed essa stessa è nel pieno della sua crisi esistenziale tra
governi “tecnici e di emergenza”. In secondo luogo per conto suo l’Azienda
sembra tutta avviluppata al suo interno, alle prese con gli eterni giochetti
del totonomine, di chi c’è e di chi ci sarà, in buona compagnia di tanta parte
della stampa che si occupa di Rai solo quando si tratta di scrivere gossip o avventurarsi
in qualche fantomatica quanto misteriosa storia di mail, di viaggi per
interviste di complesso significato. Dal suo interno, arrivano voci di
preoccupazione per il presente e per il futuro: non ci sono soldi per investimenti
in nuovi prodotti e servizi per la produzione e la sola politica industriale
che si sta perseguendo è quella dei tagli o dell’ efficientamento. Infine, ma non meno importante, il solito tema
delle risorse, in particolare, del canone che rimane in attesa della prossima
bordata indirizzata alla sua riduzione o taglio.
Per tutto il resto, tra Task force di varia natura, Direzione Nuovi format e gruppi di lavoro tutti
chiusi al loro interno, non si avvertono segni di vita. Dall’esterno, riferito
a tutti coloro che gravitano intorno al
sistema dell’audiovisivo, non arrivano indicazioni, idee, suggerimenti, proposte:
l’ultima volta che qualcuno ha sollevato
un battito di ciglio è stato un incontro promosso dal Senatore Di Nicola lo scorso autunno sul
futuro della governance di Viale Mazzini. Dopo di ché, da ricordare, solo l’appello www.manifestoperunanuovarai.it
che sta raccogliendo crescenti adesioni
(da alcuni giudicato con la puzzetta sotto il naso ma intanto nessuno ha
proposto di meglio). Infine i prodotti,
i contenuti: il grande sport è pressoché scomparso ben da prima del Covid; l’intrattenimento è fermo a Checchennina, da
Domenica in o L’eredità, mentre infuriano repliche e fondi di magazzino e Un Posto al sole
festeggia 24 anni di anzianità; di cinema lasciamo perdere: per vedere un buon
film in prima serata su Rai Uno è necessario aspettare Natale con la
Principessa Sissi. Non resta che attendere il prossimo Sanremo o il discorso
del Presidente della Repubblica per poter ribadire con enfasi che “la Rai è
leader negli ascolti”. Rimane la radio e l’informazione. Della prima si parla e
si scrive poco, eppure nonostante che le reti Rai non siano tra le prime, raggiunge
buona parte della popolazione e concorre in modo rilevante alla formazione del “sentimento nazionale” . Sull’informazione
si può dire che a fronte di oltre 1500 giornalisti in organico (dei quali circa
200 a Rai News 24) si potrebbe fare di meglio e di più.
Questo blog non vorrebbe far parte della nutrita e affollata
schiera degli ultimi giapponesi che non si accorgono che la guerra, prima ancora
di cominciare, è già finita. Gli avversari potrebbero aver già vinto e non ce
stiamo accorgendo. Forse, potrebbe esserci ancora speranza però, per questo, ci
vuole coraggio.
bloggorai@gmail.com
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