sabato 7 marzo 2020

La logica dell'Emergenza


Anche oggi il Coronavirus spazza via tutto e, ovviamente, di temi importanti sul Servizio Pubblico non se ne parla. Allora proponiamo una breve riflessione.

Si è scritto e discusso molto sulla logica dell’emergenza. Si tratta di un contingenza fattuale che impone scelte immediate in relazione ad un pericolo, ad una minaccia in corso o imminente. In base a questa logica si consentono deroghe all'ordinamento giuridico altrimenti  non consentite. La nostra stessa Costituzione, all’art. 77 prevede che si possano prendere provvedimenti  «in casi straordinari di necessità e di urgenza» attraverso i quali è possibile anche sospendere i diritti garantiti dalla stessa Carta Costituzionale. L’emergenza corre il rischio di diventare uno stato permanente ed ordinario della vita quotidiana, collettiva ed istituzionale . Si corre concretamente il rischio che la logica dell'emergenza possa determinare una “mutazione genetica” dei meccanismi di relazione tra gli individui. Non è passato molto tempo da quando si parlava di “emergenza immigrazione” che ha poi generato i ”decreti sicurezza” che ora si vorrebbe abolire. Come pure, non sono molto distanti i “rumori di guerra” in Medio Oriente che determinano uno “stato di emergenza” militare. Con la logica dell'emergenza si possono indurre fenomeni di percezione distorta rispetto allo svolgimento fattuale degli avvenimenti.

Abbiamo già scritto dei due virus che in questo momento stanno contagiando il Paese: il primo clinico/sanitario e il secondo mediatico. Il primo determina la logica di emergenza in relazione alla dimensione numerica, quantitativa: si possono misurare i fenomeni (quanti contagiati, quanti i decessi, quanti i guariti, quanti i posti letto disponibili etc) e in relazione a questi dati si assumono determinate decisioni. Il secondo invece sfugge completamente a questa lettura. Come possibile,  infatti, misurare quanta ansia, angoscia, smarrimento e confusione può generare una quantità abnorme di informazioni e comunicazioni che in ogni momento viene proposta da radio, televisione, carta stampata e Web. Il Web, attraverso i social e What’s Up in particolare, sta assumendo un rilievo specifico nel marcare una differenza sostanziale  rispetto alle precedenti storie di epidemie. Gli unici dati di cui possiamo disporre sono le “audience” che indubbiamente sono cresciute per l’evidente necessità che i cittadini pongono di essere informati ma questi dati non di dicono nulla sugli effetti e le conseguenze di tale aumento. 
Non sappiamo pressoché nulla sulle conseguenze psicologiche, razionali o meno, che si determinano nelle menti delle persone nel loro ambito privato quanto in quello collettivo. In particolare poi, non sappiamo pressoché nulla sulle conseguenze dell’esposizione mediatica  massiccia nella dimensione temporale. È possibile evidenziare fenomeni limitati e circoscritti in un arco di tempo limitato mentre è notevolmente più complesso valutare fenomeni che si diluiscono in tempi molto lunghi e in grado di generare conseguenze impreviste ed imprevedibili. In altre parole, si possono avvertire fenomeni “contingenti” dettati da notizie in grado di generare panico o psicosi collettive, ma risulta notevolmente più difficile stimare quanto la somma, il “volume totale” di informazioni negative può generare comportamenti anomali sulla stabilità emotiva degli individui. Fin qui abbiamo solo accennato alla dimensione quantitativa, ma sappiamo bene che si pone anche una dimensione qualitativa,  in relazione a che tipo di informazione viene diffusa (modelli,  canoni, forme, linguaggi testuali, gestuali e sonori). Ad esempio, se in un servizio di un telegiornale si deve dare notizia del numero delle persone ricoverate in quel momento, è necessario utilizzare prevalentemente come immagini di appoggio quelle dove si vedono personaggi in tute spaziali, magari  accompagnate da militari di presidio?

Quello che ci interessa in questo momento è rimarcare come questo secondo virus sia non meno devastante e pericoloso del primo. Il Virus Corona, siamo fiduciosi, prima o poi verrà debellato: la scienza come nel passato saprà come affrontarlo e gestirlo, è solo un problema di tempo. Il secondo invece è pressoché sconosciuto: le scienze dei comportamenti collettivi e della comunicazione non godono degli stessi paradigmi delle scienze cliniche: non possiedono microscopi, laboratori, farmaci  e strutture di trattamento dei fenomeni. Questo lo rende più minaccioso perché totalmente fuori controllo. L’unico antidoto finora disponibile sembra essere banalmente, semplicemente, il buon senso. Ma anche questo scarseggia in epoca di “logica di emergenza”.

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