Anche oggi il Coronavirus spazza via tutto e, ovviamente, di
temi importanti sul Servizio Pubblico non se ne parla. Allora proponiamo una breve
riflessione.
Si è scritto e discusso molto sulla logica dell’emergenza. Si
tratta di un contingenza fattuale che impone scelte immediate in relazione ad
un pericolo, ad una minaccia in corso o imminente. In base a questa logica si
consentono deroghe all'ordinamento giuridico altrimenti non
consentite. La nostra stessa Costituzione, all’art. 77 prevede che si possano
prendere provvedimenti «in casi
straordinari di necessità e di urgenza» attraverso i quali è possibile anche
sospendere i diritti garantiti dalla stessa Carta Costituzionale. L’emergenza
corre il rischio di diventare uno stato permanente ed ordinario della vita
quotidiana, collettiva ed istituzionale . Si corre concretamente il rischio che la logica dell'emergenza possa determinare una “mutazione genetica” dei meccanismi di relazione tra gli individui. Non è
passato molto tempo da quando si parlava di “emergenza immigrazione” che ha poi
generato i ”decreti sicurezza” che ora si vorrebbe abolire. Come pure, non sono
molto distanti i “rumori di guerra” in Medio Oriente che determinano uno “stato
di emergenza” militare. Con la logica dell'emergenza si possono indurre fenomeni di percezione distorta rispetto allo svolgimento fattuale degli avvenimenti.
Abbiamo già scritto dei due virus che in questo momento stanno
contagiando il Paese: il primo clinico/sanitario e il secondo mediatico. Il
primo determina la logica di emergenza in relazione alla dimensione numerica, quantitativa:
si possono misurare i fenomeni (quanti contagiati, quanti i decessi, quanti i
guariti, quanti i posti letto disponibili etc) e in relazione a questi dati si
assumono determinate decisioni. Il secondo invece sfugge completamente a questa
lettura. Come possibile, infatti, misurare
quanta ansia, angoscia, smarrimento e confusione può generare una quantità
abnorme di informazioni e comunicazioni che in ogni momento viene proposta da
radio, televisione, carta stampata e Web. Il Web, attraverso i social e What’s
Up in particolare, sta assumendo un rilievo specifico nel marcare una
differenza sostanziale rispetto alle
precedenti storie di epidemie. Gli unici dati di cui possiamo disporre sono le “audience”
che indubbiamente sono cresciute per l’evidente necessità che i cittadini
pongono di essere informati ma questi dati non di dicono nulla sugli effetti e
le conseguenze di tale aumento.
Non sappiamo pressoché nulla sulle conseguenze
psicologiche, razionali o meno, che si determinano nelle menti delle persone
nel loro ambito privato quanto in quello collettivo. In particolare poi, non
sappiamo pressoché nulla sulle conseguenze dell’esposizione mediatica massiccia nella dimensione temporale. È possibile
evidenziare fenomeni limitati e circoscritti in un arco di tempo limitato
mentre è notevolmente più complesso valutare fenomeni che si diluiscono in
tempi molto lunghi e in grado di generare conseguenze impreviste ed
imprevedibili. In altre parole, si possono avvertire fenomeni “contingenti”
dettati da notizie in grado di generare panico o psicosi collettive, ma risulta
notevolmente più difficile stimare quanto la somma, il “volume totale” di informazioni
negative può generare comportamenti anomali sulla stabilità emotiva degli
individui. Fin qui abbiamo solo accennato alla dimensione quantitativa, ma
sappiamo bene che si pone anche una dimensione qualitativa, in relazione a che tipo di informazione viene
diffusa (modelli, canoni, forme,
linguaggi testuali, gestuali e sonori). Ad esempio, se in un servizio di un
telegiornale si deve dare notizia del numero delle persone ricoverate in quel
momento, è necessario utilizzare prevalentemente come immagini di appoggio
quelle dove si vedono personaggi in tute spaziali, magari accompagnate da militari di presidio?
Quello che ci interessa in questo momento è rimarcare come
questo secondo virus sia non meno devastante e pericoloso del primo. Il Virus Corona,
siamo fiduciosi, prima o poi verrà debellato: la scienza come nel passato saprà
come affrontarlo e gestirlo, è solo un problema di tempo. Il secondo invece è pressoché
sconosciuto: le scienze dei comportamenti collettivi e della comunicazione non
godono degli stessi paradigmi delle scienze cliniche: non possiedono
microscopi, laboratori, farmaci e
strutture di trattamento dei fenomeni. Questo lo rende più minaccioso perché totalmente
fuori controllo. L’unico antidoto finora disponibile sembra essere banalmente,
semplicemente, il buon senso. Ma anche questo scarseggia in epoca di “logica di
emergenza”.
bloggorai@gmail.com
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