giovedì 5 marzo 2020

Comunicare la Crisi


“Ci vogliono 20 anni per costruire una reputazione e 5 minuti per rovinarla” ( W.Buffet). Questo è un principio fondamentale della Scienza della Comunicazione e, specificamente, per quella utilizzata in caso di crisi. Le Aziende,  quelle più avvedute, quelle più attente ai mutamenti, alle trasformazioni, ai grandi fenomeni che interessano le collettività, hanno costruito al loro interno il  cosiddetto “Risk management team” che stabilisce per tempo chi, cosa, come e quando si deve fare comunicazione qualora intervenga una crisi imprevista e imprevedibile. Si stabiliscono procedure, protocolli, sistemi in grado di gestire in modo efficace ed efficiente tutto il flusso delle comunicazioni interne ed esterne all’Azienda. Ebbene, per quanto ci risulta, la maggiore Azienda di Comunicazione del Paese non è dotata di questa struttura e solo per questa circostanza drammatica ha attivato una “task force”. Intendiamoci, in queste circostanze la Rai non ha rovinato, per fortuna,  la sua reputazione: il suo pubblico segue con attenzione i suoi TG e i suoi programmi. Rimane il fatto che i processi di comunicazione spesso si articolano su tempi lunghi e sedimentano effetti non rilevabili immediatamente ma  possono lasciare scorie dannose. Necessario tenerne conto.

Veniamo ora al post di ieri (che ha avuto un notevole riscontro).Un attento lettore ci ha sollevato alcune interessanti osservazioni sul tema tecnologie. Riguardo ad alcuni nomi che abbiamo scritto si sostiene che, al di la della loro indiscussa capacità e professionalità, l’impatto della loro uscita potrebbe essere poco rilevante per il semplice fatto che, a quanto ci dicono, da tempo erano stati già marginalizzati, mentre per il CRIT la successione è stata garantita con un nome di altrettanta capacità. Il tema vero che si solleva è chi propone e governa le strategie complessive, esattamente quelle che faticano ad emergere in tutta la loro complessità che, appunto (come vedremo esattamente quando affronteremo il tema del Piano Industriale) non godono della rilevanza che meritano. Sembra invece poco verosimile la notizia di una possibile uscita di Balestrieri. Un ragionamento a parte meritano figure apicali come il CTO e il Transformation Officer (incarico attualmente ricoperto dal DG) che faremo in un secondo momento.

Veniamo ora a proseguire sulla vicende di questa governance. Il tema che proponiamo sono i meccanismi di nomina dei vari direttori di rete e testata. In testa a questo ragionamento ci dovrebbero essere i principi di trasparenza delle procedure, dei criteri seguiti per individuare le figure candidate e i passi seguiti per convalidare la loro nomina. Già dal suo insediamento,  questo vertice ha impostato l’indirizzo che viene esattamente dalla natura della Legge che li ha portati a dirigere l’Azienda: la fonte di nomina governativa. Esattamente a settembre 2018 si comincia a leggere di candidati “in quota” a questo o quel partito e da li  a poco sarebbero avvenute le nomine alle  reti e tg sulla falsariga della composizione del governo in carica M5S e Lega. Ora, cambiato il Governo, siamo al punto di partenza. Si vogliono fare nuove nomine (in parte già  avvenute con un nome “in quota” PD oppure uno un “quota” Lega). Ora non è tanto importante quanto sia pesante o verosimile la “quota” delle singole persone, ma il meccanismo che è stato attivato, per loro come per altri. Non si conoscono, appunto non sono trasparenti, i criteri e le procedure tali per cui è stata scelta Tizia piuttosto che Caia e così via. In Cda sono stati presentati i CV ma come sono stati pesati e confrontati con altri? A suo tempo, Riccardo Laganà di questo argomento ne ha fatto un cavallo di battaglia. 

Veniamo al passaggio “epocale” di questo atteggiamento: la nomina del DG, Alberto Matassino. La Legge del 2015, come noto,  ha abolito questa figura e ha messo al suo posto quella dell’AD. A suo tempo si diceva: “l’AD ha bisogno di una “cinghia di trasmissione” con l’Azienda”. Bene,  poniamo pure che questo ragionamento possa reggere. Ma perché allora andarla a cercarla fuori, affidarla ad una persona che con la logica, il ruolo e le finalità del  Servizio Pubblico non sembra che ne fosse particolarmente esperto  e non affidare questo incarico a chi l’Azienda la conosce fino nei sottoscala? Il messaggio arrivato a molti è stato chiaro: non mi fido di voi. Questo un primo passo falso che hai poi avuto conseguenze tutte ancora da verificare. Come abbiamo scritto ieri: di chi è la responsabilità? 
Oggi nessuna notizia di rilievo sulla stampa se non la piccola vicenda del Cda previsto a Milano e poi spostato a Roma  (della serie … fateci ridere) dove,forse, si potrebbe decidere sul canale inglese e istituzionale.
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