Trent’anni, esattamente trent’anni addietro, la domenica di questa
mattina, gli italiani andarono a votare per 12 referendum, dei quali quattro interessavano
la televisione ed uno, in particolare poneva il quesito sulla privatizzazione
della Rai. Come abbiamo scritto ieri sera, il referendum ottenne la
maggioranza dei votanti con quasi 14 milioni di si. Si tratta di un capitolo di
Storia italiana, di Storia del Servizio Pubblico ancora non scritto del tutto:
è rimasto incompiuto, anomalo e anonimo e nessuno si prende la paternità o la
responsabilità di capire e sapere perché l’esito del referendum è rimasto lettera
morta. E pensare che tra i “sostenitori” del Si c’era un certo Sergio
Mattarella, oggi autorevole e stimato Presidente della Repubblica.
Cosa è successo? Perché il PdS di allora e il PD di oggi se
ne sono completamente dimenticati? E perché oggi solo un paio di quotidiani di area
governativa se ne ricordano? Proviamo a fornire qualche ipotesi.
AA. Il referendum è abrogativo e il quesito poneva
la domanda sull’abolizione di quella parte della Legge 223 del 1990 laddove si
specificava “a totale partecipazione pubblica”. In altre parole con il Si veniva
abrogata una parte della vecchia Legge ma non se ne proponeva una nuova.
BB. Ne consegue che, subito dopo, il Parlamento avrebbe
dovuto approvare una Legge specifica laddove invece i nuovi equilibri politici raggiunti
con il Centrodestra al Governo (Berlusconi) non lo rendevano possibile.
CC. Il tema “privatizzazione” era (ed è tuttora)
urticante per molti: una buona parte la sosteneva e la sostiene tutt’ora (seppure
sottobanco) e solo una piccola parte si oppone ma non lo dice.
Fatto sta che da allora, 30 anni addietro, è avvenuta e
completata la mutazione genetica di tutto il sistema radiotelevisivo italiano che,
di fatto, è entrato pienamente nell’orbita del “mercato” e del “privato” a
tutto scapito della cultura e della missione del Servizio Pubblico universale e
generalista. Forse, non era più necessario sventolare lo “spauracchio” della
privatizzazione economica o finanziaria, era sufficiente adattarsi a quella
editoriale. La “privatizzazione” editoriale della Rai, di fatto, è avvenuta
e si è consolidata pienamente. Il “modello” commerciale a cui si ispira per
buona parte della sua offerta editoriale almeno in prima serata è solido e ben strutturato e il fragile equilibrio sulla ripartizione
della torta pubblicitaria sembra stabile. Del resto, la posta correlata alla
privatizzazione Rai inserita nei referendum del’95, quella sulla raccolta pubblicitaria,
venne bocciata sonoramente con oltre 15 milioni di No. Argomento chiuso. Da allora
una pietra tombale è stata posta sull’argomento, su quasi tutti gli argomenti connessi e
così siamo arrivati ai giorni nostri, alla Legge Renzi che tutti vorrebbero abolire
e che intanto applicano pure quando si poteva e doveva fare altrimenti (vedi
MFA).
Andiamo avanti. Dobbiamo mantenere un punto che riteniamo di
assoluto interesse strategico per il futuro del Servizio Pubblico: tra pochi giorni
Stefano Ciccotti, attuale CTO Rai, uscirà dalla Rai e ancora, per quanto
sappiamo, nessuno sa nulla su chi potrà succedergli. Il suo settore, le tecnologie,
rappresentano un pilastro fondamentale su cui poggia tutta l’architettura dell’Azienda.
Il CTO governa l’innovazione, gli investimenti fondamentali di prodotti e strutture,
e guarda obbligatoriamente al futuro tecnologico della Rai (nonostante le volpi
dell’Ufficio Studi Rai che se ne dimenticano quando scrivono di IA). Chi prenderà
il suo posto? Sarà un interno o andranno a pescare sul “mercato”? La
caratura professionale e la postura aziendale, la cultura di “servizio pubblico”
di chi verrà scelto sarà decisivo per capire se e come la Rai sarà in grado di
affrontare questo futuro. Ricordiamo sempre che sul tavolo Rai c’è il dossier
Rai Way che non è e non dovrebbe essere una questione di alchimia finanziaria
come a qualcuno piacerebbe ma di politica industriale della Rai che però si
fatica a comprendere quale possa essere. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo:
qualcuno si prende la briga di rimettere in discussione l’oneroso contratto di Servizio
tra Rai e Rai Way arrivato oggi ad oltre 210 milioni? Nella memoria sindacale
che abbiamo citato ieri questo tema appare in secondo piano e non c’è alcun riferimento
al futuro del CTO.
Nota a margine: ieri sera è andato in onda una sorta di
scontro ideale tra il “bene” con Che ci faccio io qui di Domenico
Iannaccone e il “male” di Belve Crime con Francesca Faggiani. Vedremo gli
ascolti da che parte si schiereranno. Intanto registriamo un tratto comune: sia
il prodotto di RaiDue che quello di Rai Tre sono realizzati da produttori
esterni (Fremantle e Hangar). Ci chiediamo sempre perché la Rai non è in grado
di produrre e realizzare per conto proprio prodotti del genere. Il format è
sempre lo stesso ed è molto semplice: un intervistatore intervista un intervistato.
Punto.
bloggorai@gmail.com
PS: per chi lo avesse perso, consigliamo di rivedere il Post
di ieri sera ( https://bloggorai.blogspot.com/2025/06/rai-uno-specialino-con-qualche-spuntino.html
) con la parte su “Azienda pubblica e interessi privati”.
A proposito di Storia, stiamo raccogliendo appunti, note,
diari, memorie e quant’altro possa raccontare la propria esperienza in Rai. C’è
tanta Storia da scrivere.
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